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Per favore, cercate di capirmi

Laura Cappelli Liceo Classico Statale “Galileo” di Firenze

 

Mi sembra di impazzire. Anzi no, ne sono certa, sono impazzita. Ascoltatemi, vi prego, ascoltatemi, ho solo bisogno di qualcuno che mi ascolti.

Cominciò tutto in quel dannato giorno, quando lui, Victor, tornò a casa.
Victor, il mio fratellino… correvano due anni tra di noi… correvano…
Erano i primi di agosto e, come era consuetudine, avevamo la casa solo per noi: niente genitori, solo io e mio fratello, insomma, una bella vita. Passavamo le giornate sulla spiaggia e tornavamo a casa la sera tardi, vita normale, da normali adolescenti. Poi, ad un tratto, cambiò tutto.
Ci fu solo un giorno in cui mio fratello uscì da solo e tornò a casa visibilmente sconvolto, ma non volle dirmi perché. Io so solo che, da quella volta, non sembrava più lo stesso, mangiava poco, era costantemente nervoso e, quando possibile, mi evitava, non me ne facevo una ragione, eravamo sempre stati molto uniti tra di noi… ero l’unica che sapeva la verità su di lui, nessun altro sapeva, nessun altro… Ma una notte tornò il fratello che conoscevo: entrò in camera mia, era sudato fradicio, aveva sudato freddo, era terrorizzato, forse aveva fatto un incubo o forse no: era eccessiva una reazione del genere, in effetti, poi si mise a piangere. Provai a farmi spiegare cosa fosse successo ma niente, non riuscii ad ottenere nessuna spiegazione. Solo lacrime e scatti isterici. Alla fine, nonostante tutto il mio autocontrollo, non riuscii a trattenermi e gli tirai uno schiaffo, come se non bastasse, iniziai anche io a piangere per la rabbia dentro. Continuavo a ripetermi: “Perché non ti confidi con me? Perché?”
I giorni passavano, e la vita di mio fratello sembrò tornare alla normalità fino a che non arrivò il giorno precedente a quello del suo sedicesimo compleanno. Io ero relativamente contenta, erano quasi quattro giorni che mio fratello non si tagliava, sembrava migliorato anche moralmente ma finì tutto troppo in fretta. Ricordo che mi disse:”Nebu, io esco. Oggi sto meglio del solito e voglio fare una passeggiata. Penso di riuscire a tornare entro un’ora o due. Se ci fossero problemi, ti avverto.” Io, inizialmente, non mi preoccupai. Che stesse meglio me ne ero accorta; sembrava non fare più caso neanche al suo “problema”, forse era riuscito ad accettarsi, forse aveva capito che lui, rispetto agli altri ragazzi, non aveva nulla di diverso; ma mi sbagliavo… mi sbagliavo di grosso… Passarono le ore, una, due, tre, quattro e lui non tornava; controllo il cellulare e vedo che non mi aveva ancora chiamato, mi cominciai a preoccupare e provai a chiamarlo. Segreteria telefonica: una, due, tre volte… nulla, non riesco a contattarlo, arrivò la sera e finalmente lo vedo tornare. All’apparenza sembrava tranquillo ma… ben presto mi resi conto della realtà: Victor era più agitato del solito, mi ero sbagliata, qualcosa era successo. Cominciò a tremare, gli vennero le lacrime agli occhi e ricominciò a piangere e ad avere altri attacchi isterici… cominciai a dubitare seriamente della sua sanità mentale. Cominciò a urlare, farneticava di un ragazzo che lo aveva illuso, trattato male, minacciato eccetera, eccetera… Certo, mio fratello aveva sempre avuto dei problemi “sociali” e “psicologici”, c’erano dei momenti in cui gli prendevano attacchi di isteria ed era tutto legato a quel suo problema, quando gli prendevano gli attacchi Victor diventava intrattabile, ma stavolta sembrava una cosa diversa… sembrava una cosa molto più seria delle sue solite paranoie.
Arrivò il giorno del suo compleanno, le cose peggiorarono. Mantenne un’aria assente per tutto il giorno, sembrava, anzi era apatico, la paura crebbe dentro di me… quell’apatia… l’avevo già vista addosso a Victor, due anni prima, quando, ancora quattordicenne, si faceva di eroina, i nostri genitori non lo sono mai venuti a sapere, ma lui c’era quasi morto per la droga, avevo il terrore che fosse rientrato nel giro ma mi sbagliavo… eccome se mi sbagliavo. Me lo vedo di fronte, anche in questo momento; rivedo la mattina del 16 agosto, quando entrò in camera mia, con gli occhi spenti, come coperti da un velo, cominciò, al solito, ad urlare, ma stavolta non era un attacco di isteria, era più panico, una paura folle… ma di cosa? Non riuscivo a capire.
Nel primo pomeriggio decise di uscire, disse che voleva cambiare aria, aveva bisogno di distrarsi… per la prima volta in sedici anni, dubitai della sua parola; mio fratello che decideva di uscire per distrarsi? Ma quando mai… Annuii debolmente e lui uscì, passarono dieci minuti e presi una decisione: dovevo seguirlo, non potevo permettere che succedesse qualcosa a mio fratello, anche se mi chiedevo cosa mai sarebbe potuto succedergli, abitavamo in un paesino tranquillo, non gli sarebbe mai successo nulla di male, almeno, lo credevo.
Cominciai a seguirlo, inizialmente sembrava tutto normale, Victor camminava lentamente, ma in modo tranquillo, forse uscire gli aveva fatto bene davvero, forse si era calmato ma poi… poi capii perché era desideroso di uscire e mi si strinse il cuore… andò incontro ad un ragazzo molto bello, aveva i capelli castani tenuti lunghi, da lontano notai che gli occhi cambiavano dal verde all’azzurro, a seconda di come il sole li baciava. Quel ragazzo a me non piaceva, per nulla.
Decisi di fare la sorella protettiva, mi avvicinai a mio fratello e ascoltai quello che si dicevano; sentii frasi anche troppo dolci, ma ero contenta, mio fratello sembrava a suo agio ma, ovviamente, se accade una cosa bella, a mio fratello non può durare per più di dieci minuti a dir tanto… Il ragazzo biondo dovette notare che li stavo osservando e mi indicò, così Victor mi vide, mi si avvicinò e mi urlò contro, mi disse cose che non mi sarei mai aspettata di sentir dire da lui, poi si girò verso il biondo e gli disse qualcosa tipo “Ulisse, andiamo. Non ti preoccupare, è solo mia sorella”. Detto questo si girarono ed andarono via, tornai a casa, mi sentivo stranamente triste. Come poteva dirmi quelle cose? Cosa gli aveva fatto quel ragazzo? Quello non era il Victor che conoscevo io, quella era una fotocopia venuta male di mio fratello. Quando lo dico io che i nostri momenti di felicità non possono durare a lungo, ho ragione. Il mio stato d’animo era cambiato in peggio in circa trenta secondi; inizialmente ero felice perché mio fratello aveva trovato compagnia, diciamo così, ma poi avevo provato una tristezza così grande quando lo avevo visto trattarmi in quel modo.
Quel giorno non tornò a casa. Provai a chiamarlo e notai che aveva lasciato il cellulare a casa; lo presi e guardai tra le chat e trovai l’indirizzo di casa di Ulisse; seguii le indicazioni e arrivai di fronte ad un magazzino abbandonato, feci un rapido calcolo e giunsi ad una rapida conclusione: mio fratello era in quell’orrendo posto, dovevo aiutarlo, anche se non avrebbe gradito. Ancora non potevo sapere che quello sarebbe stato l’errore più grande che io potessi mai fare.
Entrai, era tutto calmo, calmo in un modo innaturale, neanche il vento sembrava entrare in quel posto, ci saranno state sì e no trenta stanze, era un posto enorme ma, in quale potevano essere Victor e Ulisse? Presi a correre, guardai dietro svariate porte, ma niente, poi sentii urlare, bastò un urlo, non ebbi bisogno di nient’altro per capire che stava accadendo qualcosa a mio fratello. Mi diressi verso la stanza da cui avevo sentito provenire il grido e vidi Ulisse minacciare mio fratello. Non sentivo cosa si dicevano ma entrai, forse avevo perso la testa, probabile, ma non potevo accettare che qualcuno si prendesse gioco di mio fratello. Il biondo si girò “Sempre tra i piedi, eh? Pensi che tuo fratello non possa vivere senza di te? Mi fai pena, adesso lui è mio, almeno fino a quando non lo finirò”. Non riuscivo a capire il senso di ciò; le mie orecchie avevano sentito chiaramente che Ulisse aveva detto “Ti amo” a mio fratello e allora, perché…? Andai verso il ragazzo e gli strappai il coltello di mano, l’avrei ucciso pur di salvare mio fratello. Andò via la luce. Provai a colpirlo, alla cieca, non avevo mai tenuto in mano un’arma, non sapevo che fare, poi sentii il coltello scivolarmi di mano, era insanguinato, completamente, ma io ero sicura che per un certo periodo di tempo non lo avevo avuto in mano, non lo avevo sentito urtare niente… sentii Ulisse ridere e dire “E un altro è andato. Ma non mi fermerò qui, andrò avanti. Addio, ragazza”. Tornò la luce, Victor era disteso senza vita ai miei piedi. L’aveva ucciso, ma come era stato possibile?

Ora, immagino che neanche voi che mi state ascoltando abbiate capito la realtà dei fatti. Mio fratello era morto sì, ma non era stato Ulisse ad ucciderlo… ero stata io, per sbaglio, senza volerlo, avevo ucciso la persona più importante che avessi al mondo.
So che adesso ho ricominciato a piangere, ma come potrei essere forte? …come potrei?
Vi chiedo solo una cosa: capitemi, vi prego, capitemi, ho solo bisogno di qualcuno che mi capisca…

Laura Cappelli
Classe 1B – Liceo Classico Statale “Galileo” di Firenze

2016-07-13T11:35:57+02:00