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Ombra

Chiara Monetti Liceo Classico Statale “Galileo” di Firenze

 

Erano mesi che ci pensava. Forse avrebbe dovuto smettere, prendersi una vacanza. Stava diventando un’ossessione. Aveva provato di tutto: psicologi, la cosiddetta medicina tradizionale, chiromanti. Era addirittura arrivato ad entrare in una di quelle sette massoniche. Finalmente dopo sei mesi era stato accettato e come prova di iniziazione aveva dovuto sgozzare una gallina. Dopo aveva vomitato ininterrottamente per un’ora. Aveva anche provato ad affidarsi alla religione, lui, ateo da sempre. Eppure neanche così era riuscito a trovare una soluzione. Dopo mesi, l’unica cosa che era riuscito ad ottenere era il voltastomaco che lo prendeva ogni volta alla vista dei polli. Ma dopotutto, era solo un’ombra. Si svegliava ogni notte e la trovava a guardarlo. Disteso sul letto, lo scrutava da dietro l’angolo del muro. La prima notte aveva urlato di terrore. Ma era scomparsa subito, e così non si era preoccupato. La notte seguente era riapparsa, e anche la notte dopo, e quella dopo ancora, e così via. Non riusciva a distinguerne bene i tratti, perché era sempre in uno stato di dormiveglia. Era solo una sagoma scura, con due occhi bianchissimi senza pupille, nell’oscurità. Non si muoveva, restava immobile, e in quei pochi istanti poteva avvertire una puzza nauseabonda. Un’amica gli aveva consigliato di cambiare stanza, perché poteva essere uno spirito inquieto appartenente a quel determinato luogo. Inutile. Sul divano, da Marina, appariva ovunque. L’unica soluzione era non dormire. Ma, come si può immaginare, questo aveva avuto ripercussioni sia sulla sua vita privata che pubblica. Si era addormentato sul posto di lavoro e durante una cena con Marina. Così, come spesso succede, la paura dell’ignoto si era trasformata in curiosità, da curiosità ad ossessione. Era arrivato a sperare di vederla, aveva paura, ma anche una voglia matta di conoscere cosa fosse quella “cosa”. Quella presenza era diventata tutto il suo mondo. I suoi discorsi, i suoi pensieri alla fine portavano sempre a quello. Le persone cominciavano ad essere preoccupate. Finché una notte scomparve… così, improvvisamente, come era arrivata. I suoi problemi erano svaniti. Ma lui ancora non sapeva cosa fosse. Se ne era andata, e forse non l’avrebbe più rivista. Non avrebbe mai avuto una spiegazione. L’ossessione, invece che svanire, crebbe. Adesso passava le giornate a dormire, prendeva sonniferi e sostanze stupefacenti, sperando di avere delle visioni. Era scontroso, distante e lunatico. Smise di andare a lavoro. Smise di uscire di casa. Lasció Marina.
Un giorno suonarono alla porta. Andò ad aprire, confuso, scostando le torri di sacchetti dell’immondizia, come se fossero anni che non vedeva altro essere umano (e forse era così). “Venga con noi” si sentì dire.
Li odiava. Li odiava tutti. Dal primo all’ultimo. Lo impasticcavano, gli parlavano e dopo lo lasciavano solo in una stanza. Per ore. Avrebbe voluto urlare, ma quando lo faceva, quelli lo sedavano. Una volta ne aveva morso uno. Da allora avevano preso delle precauzioni, si tenevano a distanza e le sedute duravano al massimo dieci minuti. Gli facevano delle domande, le più varie, e lui, per la maggior parte del tempo rispondeva a monosillabi. Eppure loro scrivevano miliardi di parole sui loro fogli bianchi. Alla fine, i vari strizzacervelli, gli chiedevano se avesse bisogno di qualcosa. Idioti. Sapevano benissimo di cosa avesse bisogno. Voleva solo vedere l’ombra.

Chiara Monetti
Classe 2C – Liceo Classico Statale “Galileo” di Firenze

2016-07-13T12:39:55+02:00