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Natale in piazza Duomo

Simone Torricini Liceo Classico “Galileo” di Firenze

 

Firenze, Piazza del Duomo. Il primo gelo pre-invernale ha finalmente rotto le acque, tra lo stupore di una città che da tempo non viveva un simile ritardo nell’avvento della più fredda tra le stagioni. Così, come accade tutti gli anni, viene puntualmente issato nello scorcio della piazza tra il Duomo e il Battistero l’ormai più che usurato abete, con lo scopo di ricreare l’atmosfera natalizia, molto più cara al consumismo piuttosto che a coloro che dovrebbero respirarla girando per la città. Nel vago alone abitudinario che si viene, di conseguenza, a creare, ognuna delle mattine a partire dal primo giorno di dicembre è sconvolta dallo sgradevole via vai delle gru, atte ad addobbare prima l’abete, e successivamente le vie Fiorentine. Pam è ancora molto giovane, e di tempo per lasciarsi infastidire dal frastuono mattutino ne ha a sfare: così dicembre diventa per la bambina il mese in cui strattonare il babbo, piantargli grane su grane, supplicarlo con gli occhioni lucidi che tanto le riescono, con lo scopo di convincerlo ad allungare il tragitto verso la scuola, proprio per fermarsi ad ammirare le gru in azione. Pam adora la loro meccanica: come si piegano su se stesse, come ruotano per circondare ogni singolo lato dell’abete. E ancor di più, non può fare a meno di fissare lo sguardo sugli operai. Le loro movenze e in particolare la loro abilità nel tenere tra le mani una gran bella quantità di addobbi la attraggono in modo smisurato. Per non parlare della sua convinzione. Ebbene, sì: Pam è fermamente e fieramente convinta che gli operai siano nientemeno che gli elfi che Babbo Natale manda ogni anno nella sua città sia per colorare l’albero, sia per illuminare le antiche vie del centro, e proprio per questo motivo tenta sempre di incrociare i loro sguardi, per catturarne l’espressione, o semplicemente per stamparsi in faccia i loro volti. Durante una di quelle tante mattine, mentre Pam stava come suo solito osservando gli operai al lavoro, ad uno di quelli cadde sbadatamente una pallina da addobbo mentre tentava di appenderla all’albero. Pam, che si trovava, in linea d’aria, proprio sotto all’operaio, vide presentarsi l’occasione di una vita: congiunse dunque le mani, coperte dai guanti, per formare una superficie abbastanza ampia da poter acchiappare al volo la pallina. Dentro la sua testa vagavano le più azzardate fantasie. Pam sperava che, se avesse preso al volo la pallina, evitandole una sorte atroce, sarebbe stata in qualche modo ricompensata: ecco, in questo caso la bambina non avrebbe potuto desiderare di meglio, se non l’invito da parte di uno degli operai a salire sulla gru e – perché no? – ad appendere la pallina che ella stessa aveva salvato. Ci sarebbe stato da convincere il babbo, e sicuramente non sarebbe stata una passeggiata, ma Pam l’avrebbe fatto, si sarebbe impuntata, lo avrebbe pregato con tutte le sue forze: insomma, sarebbe salita su quella gru. Questa moltitudine di pensieri vagava in ordine sparso nella sua mente, nella frazione di secondo in cui la pallina si adagiò tra le mani che aveva coscienziosamente disposto a forma di conca. L’aveva presa, era sua: ora niente le avrebbe impedito di essere ricompensata. Mentre l’operaio scendeva dalla gru per recuperare la pallina ormai tra le piccole mani, Pam continuava a fantasticare, e quando questo le si fece davanti, la bambina era talmente assorta tra un sogno e un altro che non fece in tempo a realizzare l’accaduto. L’uomo si era limitato a strapparle di mano la pallina che lei aveva coraggiosamente conquistato, le aveva voltato le spalle e si accingeva or ora ad arrampicarsi nuovamente sulla gru. Pam rimase in silenzio, e vi sarebbe rimasta per molto tempo se il babbo non la avesse affettuosamente tamburellato la guancia con il pollice, per sollecitarla a ripartire. D’altronde la scuola non poteva aspettare, e poco importava se Pam aveva visto infranto il suo sogno pochi secondi prima, o se quella mattina per lei era stata, seppur in negativo, molto più significativa di altre. La bambina si sentiva ferita, estremamente delusa. Le era effettivamente crollato il mondo addosso, tutto ad un tratto: sogni, fantasie, speranze. Tutto svanito. Il babbo le aveva detto che situazioni di questo tipo facevano parte della vita, che tutti cresciamo, e che prima o poi scopriamo cose che non si vorrebbero mai scoprire. Eppure Pam non era soddisfatta, e quella notte, oltre a non chiudere occhio, cominciò a piangere, così su due piedi, da un momento all’altro. Il cuscino si bagnava sempre di più, ma la bambina non era in grado di frenare la fuoriuscita di lacrime. Pianse a tal punto che la mattina seguente, nonostante percepisse uno stato d’animo molto simile a quello della notte precedente, i suoi occhi rimanevano asciutti. Implorò per l’ultima volta il babbo, ma una volta sotto l’abete gettò solo un’occhiata di sfuggita agli operai, per poi proseguire dritto come se nulla fosse. Era la sua vendetta, il modo di ribellarsi di una bambina che sentiva ancora aperta la ferita che le era stata inflitta. Mentre girava l’angolo incrociò il solito ritrattista di strada che la salutava cordialmente ormai ogni mattina. Le era capitato più volte di udire i passanti commentare maleducatamente come quell’uomo si trovasse lì da sempre, ma Pam non ne aveva mai provato curiosità. Anzi, quando passava da quella strada, la bambina provava una sensazione sgradevole, come se l’uomo la influenzasse. Non aveva, effettivamente, un gran bell’aspetto: schiena curva, piegata dagli anni, barba incolta e ispida, il tutto unito ad un odore poco gradevole. Quella mattina il ritrattista non si limitò al cenno di saluto che rivolgeva usualmente a Pam. Chiamò a sé la bambina, più volte, a tal punto che ella, seppur con diffidenza, gli si avvicinò. Non appena fu abbastanza vicina, l’uomo trasse dalla valigetta malandata che aveva sempre con sé una serie di dipinti. Nel primo di questi Pam si vide, con sorpresa, raffigurata proprio nella strada in cui si trovavano allora, per mano al babbo. In un altro dipinto era dietro l’angolo e, per spaventarlo, si era nascosta senza rendersene conto proprio a due passi dal ritrattista. Nella terza tela che l’uomo porse alla bambina, era raffigurata la gru nel bel mezzo della piazza, nell’atto di erigersi in tutta la sua lunghezza, per permettere agli operai di raggiungere il punto più alto dell’abete. In procinto di estrarre dalla valigetta il quarto e ultimo dipinto, il ritrattista guardò sorridendo la piccola Pam, sempre più confusa e piena di interrogativi. Nella quarta tela, molto più stropicciata e ingiallita delle altre, era raffigurato un bambino, che a occhio e croce doveva avere la stessa età di Pam. Si trovava proprio sotto l’abete, e aveva uno sguardo mesto e amaro. Poco più in là, sul margine sinistro della tela, Pam notò un uomo, vestito proprio come gli operai che sino al giorno prima aveva guardato con tanta ammirazione, che teneva fra le dita una pallina, mentre si stava arrampicando sulla gru. Continuava a non capire, così il ritrattista, che fino a quel momento aveva mantenuto un certo contenimento emotivo, la guardò affettuosamente mormorando qualche parola di tenerezza nei confronti di Pam. Voltò la testa, prima destra e poi a sinistra, come per verificare di non essere osservato. Ma l’unico individuo che pareva interessato alla loro conversazione, nel giro di qualche metro, era il babbo, che appariva decisamente spazientito dalla perdita di tempo della figlioletta. Dunque il ritrattista si avvicinò alla bambina, e le sussurrò una frase all’orecchio. Pam sgranò gli occhi, come se le si fosse accesa una luminosissima lampadina sulla testa. La quarta tela era più vecchia delle altre perché rappresentava l’uomo, diversi anni prima, mentre volgeva lo sguardo con ammirazione verso gli operai, proprio come Pam faceva fino al giorno precedente. E proprio come Pam, il ritrattista era stato ferito dall’insensibilità degli operai, nell’atto di restituire una pallina caduta. Forse, pensò ad alta voce la bambina, se quegli uomini fossero davvero stati gli elfi mandati da Babbo Natale in persona, non si sarebbero comportati così, né con lei né con l’uomo suo interlocutore. Dunque, decisamente soddisfatta dalla sua deduzione, la piccola Pam ringraziò il gentile ritrattista, che le aveva svelato il “segreto”, prese con sé i dipinti e, dopo essersi voltata, tornò rallegrandosi verso il babbo. Il ritrattista, commosso dalla giovane semplicità della bambina, osservò col cuore pieno di felicità quel piccolo quadretto familiare che si ricongiungeva, e non volse lo sguardo fino a quando Pam e il babbo, rimpicciolendosi sempre di più verso la strada che portava alla scuola, scomparirono.

Simone Torricini
Classe 4E – Liceo Classico “Galileo” di Firenze

2016-07-13T13:47:35+02:00