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L’alito delle ombre

Edoardo Merlini Scuola Secondaria di primo grado “Puccini” di Firenze

 

Un alito gelido mi soffiava sul collo. Ero imprigionato da una catena fredda e umida.
Sentii come uno scricchiolio e delle vocine spaventose, che provenivano dal profondo delle ombre. Non riuscivo a capire dove fossi né come avessi fatto ad finire in quella prigione buia come l’Inferno. Sudavo dal terrore, le lacrime mi scendevano pian piano dalle palpebre. Ad un certo punto sentii che stavo toccando qualcosa. Mi ci aggrappai. Quel gelido respiro calmo mi soffiava ancora addosso e, non riuscendo a controllarmi, mossi il braccio verso quella direzione, capendo di aver colpito qualcosa.
Tutti i rumori erano scomparsi e, per un secondo, mi sentii più calmo, ma non era così.

Ogni minuto che passava, rimanevo con la sensazione che, da un momento all’altro, sarei morto. Ad un tratto le catene caddero in terra distrutte ed io, preso dalla paura, corsi nel buio in cerca di un’uscita o di un posto sicuro, ma sfortunatamente venni placcato da qualcosa: venni strattonato e buttato in terra, mentre numerose lacrime mi scendevano dalle guance e urlavo invocando aiuto. Una mano arrivò dal basso afferrandomi la caviglia. Caddi a terra preso dal panico, cercando con tutte le mie forze di correre dalla parte opposta di dove mi stava trascinando quella cosa. Tirai un calcio nel vuoto ed il braccio scomparì. Ora ero rannicchiato sul pavimento cercando di pensare al meglio, mentre uno scricchiolio di stivali si avvicinava sempre di più a me.
Ormai ero finito, non valeva la pena continuare la battaglia. Feci un bel respiro e mi alzai in piedi.
– Eccomi! Mi vuoi, mostro? Sono qui, vieni a prendermi! – non ottenni nessuna risposta ma, a differenza della prima volta, il silenzio non spaventava.
– È tutto nella mia mente –.
Allora ricordai che tutto era iniziato con la mia paura del buio, e ora sapevo che potevo combatterlo.
Chiusi gli occhi ed iniziai a camminare davanti a me, avvolto da un’oscurità nera come la pece, mentre cento mani mi toccavano le spalle tremanti.
Un urlo echeggiò nella stanza e le luci si accesero.
Davanti a me c’era una porta e basta: niente mostri. La aprii e mi trovai nel bel mezzo di una via lunga piena di porte. Le luci erano mezze rotte e tutto era spaventoso; ma io sapevo che dovevo resistere.
– È tutto nella mia testa – mi ripetei chiudendo gli occhi.
Dopo averli riaperti mi ritrovai a letto, di notte. Ero ormai libero da quella tortura e, dopo essermi riaddormentato, l’ombra di qualcosa si alzò al muro, senza che ne fossi consapevole.

Edoardo Merlini
Classe 1E – Scuola Secondaria di primo grado “Puccini” di Firenze

2016-07-13T15:31:11+02:00