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Diregiovani a Rio 2016 – In Germania scoppia la grana ‘social’: no sponsor? no tweet!

Profili facebook, account twitter, instagram, e via dicendo: tutti pronti a rubare, immortalare, un volto, un’espressione, una dichiarazione che possono fare storia

mascotte rio 2016ROMA – Che Rio 2016 rappresentasse la nuova frontiera della comunicazione “social” c’era da immaginarselo. Profili facebook, account twitter, instagram, e via dicendo: tutti pronti a rubare, immortalare, un volto, un’espressione, una dichiarazione che possono fare storia.

La grande diffusione dei network, riaccende inevitabilmente le discussioni anche sulla loro regolamentazione o sulla loro fruibilità. Interessante quanto sta accadendo in Germania. Sull’edizione on line del Der Spiegel, nelle scorse settimane, si è acceso un dibattito assai serrato, che rischia di non rimanere ancorato alle sole frontiere tedesche.

Motivo del contendere? Gli hashtag twitter

La storia: come prevedibile, sono già attivi hashtag twitter che hanno come oggetto i Giochi, ma l’unico ufficiale è #Rio2016, che ha un carattere internazionale, mentre in Germania, ha patente di ufficialità #OlympischeSpiele.

Il Deutscher Olympischer Sportbund minaccia azioni legali

Il Deutscher Olympischer Sportbund (DOSB), nato nel 2006 dalla fusione tra il Comitato Olimpico Nazionale Tedesco e il Deutscher Sportbund, e che ha l’onere e l’onore di rappresentare quasi trentamila atleti tedeschi, ha minacciato azioni legali se aziende tedesche legate al mondo dello sport utilizzeranno i due hashtag twitter, postando foto o dichiarazioni, senza che le stesse abbiano lo status di “sponsor ufficiale”. Come a dire: se volete immagini e dichiarazioni le dovete pagare. Apriti cielo: categorie commerciali sul piede di guerra, avvocati che minacciano ricorsi e denunce, con il DOSB che rincara la dose, paventando cause e ricorsi, anche nel caso di semplici condivisioni di materiale proveniente da hashtag e account ufficiali da parte di “no sponsor”.

Il DOSB, in realtà, non fa altro che applicare alla lettera le disposizioni in materia segnalate dal CIO ad ogni Comitato Olimpico nazionale. Da Losanna, il messaggio partito è stato chiaro: “tenere lontano dal marchio olimpico chi non paga per esibirlo”. Può piacere o non piacere, ma tant’è.  Ad onor del vero, va detto che il DOSB ha rilasciato un lasciapassare -lievemente cervellotico , in verità- a quelle aziende che promuoveranno gli atleti da esse sponsorizzati, ma solo se “in qualità di atleti e non di partecipanti ai Giochi”.

“Questo è il massimo concedibile”, commenta Malte Spitz, portavoce del DOSB, a cui fa da contraltare la replica dell’avvocato Carsten Ulbricht, legale di un pool di aziende e partner media, che bolla il tutto come “libero arbitrio del DOSB”, poiché sostiene che il marchio “Rio 2016” , registrato già anni fa, non abbisogna di un secondo permesso per poter essere citato. Tempi duri, anche per il “retweet”: guai a replicare se non si è “main sponsor”, gli strali del DOSB colpiscono anche il quel caso. Come andrà a finire? Lo vedremo, ma sicuro che basteranno centoquaranta caratteri?

2016-08-02T16:01:35+02:00