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Dai mari ai nostri piatti. Buon appetito, ecco la plastica

Tonno, sgombro ma anche cozze e granchi. L’allerta di Greenpeace

plastica mare 3ROMA – “La plastica nel piatto, dal pesce ai frutti di mare”. Questo il nuovo inquietante rapporto pubblicato da Greenpeace sullo stato di salute dei nostri mari. Un documento molto dettagliato che raccoglie i più recenti studi scientifici sugli impatti delle microplastiche – incluse le microsfere – sul mare e quindi su pesci, molluschi e crostacei. Da questi all’uomo il passaggio è davvero molto breve. Per capire l’importanza dello studio basti pensare che la plastica rappresenta circa il 60-80 per cento dei rifiuti presenti in mare.

Plastica, microplastica e mesoplastiche. Tutte nei nostri mari

La presenza di plastica nei mari e negli oceani è talmente diffusa che manca la possibilità di effettuare una stima certa di questa particolare forma di inquinamento. “Alcuni modelli teorici  – si legge nel rapporto -ne stimano la quantità totale tra cinquemila e cinquantamila miliardi di frammenti (praticamente è impossibile ottenere stime precise) equivalenti in peso a più di 260 mila tonnellate, senza contare i rifiuti di plastica presenti sulle spiagge o sui fondali”. A preoccupare molto scienziati e ricercatori è la presenza delle microplastiche ovvero “particelle di plastica di diametro o lunghezza inferiore ai 5 mm, che possono essere prodotte dall’industria (come le microsfere utilizzate in molti prodotti cosmetici o per l’igiene personale), o derivare dalla degradazione in mare di oggetti di plastica più grandi per effetto del vento, del moto ondoso o della luce ultravioletta”.

Plastica, una produzione in costante aumento

La produzione globale di plastica negli ultimi anni, dal 2002 al 2013, è aumentata da 204 a 299 milioni di tonnellate/anno. “Gran parte della plastica – avverte Greenpeace – è utilizzata per gli imballaggi (39.6 per cento) o comunque per prodotti monouso, generando montagne di rifiuti che finiscono in gran parte nelle discariche o semplicemente dispersi per finire negli oceani tramite i corsi d’acqua, gli scarichi urbani, percolando nel terreno dalle discariche o perché deliberatamente buttati in mare. La presenza delle microplastiche in mare potrebbe generare impatti maggiori di quelli delle macro e mesoplastiche. A causa delle ridotte dimensioni, le microplastiche, infatti, possono essere involontariamente ingerite da un numero enorme di organismi e (per il maggior rapporto superficie/volume) possono assorbire più contaminanti tossici (a parità di peso) dei frammenti di maggiori dimensioni. Tali sostanze, possono essere poi rilasciate (assieme a tutte le sostanze utilizzate nel ciclo produttivo della plastica) dopo l’ingestione accidentale.

Plastica, ingerita o filtrata poco cambia

Nel rapporto Greenpeace ha raccolto i risultati dei più recenti studi scientifici sulla presenza di microplastiche plastica nei mari greenpeacenell’ambiente marino e, in particolare, sulla presenza di microplastiche in pesci e molluschi e sul potenziale effetto sanitario derivante dal consumo di prodotti ittici contaminati con frammenti plastici. L’ingestione di microplastiche da parte di organismi marini è stata ampiamente documentata: sono almeno 170 gli organismi marini (vertebrati e invertebrati) che certamente ingeriscono tali frammenti. Tra i mangiatori, loro malgrado, di plastica anche specie commerciali come il pesce spada, il tonno rosso e tonno alalunga.  “Studi condotti su 26 specie di pesci delle coste atlantiche portoghesi hanno evidenziato la presenza di microplastiche nel 19,8 per cento dei campioni di pesci analizzati: i quantitativi più elevati sono stati ritrovati nel lanzardo (Scomber japonicus) una specie simile allo sgombro e presente sul mercato italiano. Un altro studio sugli scampi (Nephropos norvegicus) ha dimostrato la presenza di frammenti di plastica nello stomaco dell’83 per cento degli esemplari raccolti lungo le coste britanniche”.

Plastica, a rischio il tradizionale “spaghetti alle vongole”

Le microplastiche possono essere non solo ingerite ma anche filtrate. È questo il caso di cozze, vongole e ostriche. “Una ricerca stima un potenziale accumulo annuale di undicimila pezzi di microplastiche per i consumatori europei di molluschi. Studi effettuati su cozze raccolte lungo le coste brasiliane hanno evidenziato la presenza di microplastiche nel 75 per cento dei campioni analizzati. Le cozze sono organismi filtratori e recenti studi hanno dimostrato che sono in grado di accumulare nell’intestino microplastiche di dimensioni comprese tra i 3 nanometri e i 9,6 nanometri. Una volta ingerite, queste particelle possono raggiungere il sistema circolatorio e permanere nell’organismo per oltre ai 48 giorni”.

Plastica, da preda a predatore

Un problema derivante dalla presenza di microplastiche in mare, avverte ancora Greenpeace, è il rischio di un trasferimento e accumulo lungo la catena alimentare per l’ingestione, da parte dei predatori, di prede contaminate. “Uno studio condotto su pesci che si nutrono di plancton del Pacifico del Nord ha infatti riscontrato la presenza di frammenti di plastica nel 35 per cento degli individui analizzati. Tali pesci possono essere a loro volta preda di altri pesci più in alto nella catena alimentare e tale contaminazione potrebbe arrivare a avere impatti fino ai grandi predatori, come il tonno. Il trasferimento di microplastica lungo la catena alimentare è stato confermato da studi in cui granchi comuni (Carcinus maenas), nutriti con cozze (Mytilus edulis) contaminati con microplastiche, mostravano la presenza di microplastiche anche 21 giorni dopo l’ingestione di cozze contaminate.

Plastica, gli effetti sugli organismi marini

Come evidenziato da numerosi studi in laboratorio, l’ingestione di microplastiche può generare sugli organismi marini due tipi di impatti differenti: di natura fisica (ad esempio lesioni agli organi dove avviene l’accumulo) e chimica (trasferimento e accumulo di sostanze inquinanti). In esperimenti condotti su spigole (Dicentrarchus labrax) nutrite con frammenti di PVC per 90 giorni, sono stati evidenziati danni di natura fisica, come lesioni al tratto intestinale, sia in individui nutriti con frammenti di plastica contaminata sia in animali nutriti con plastica non contaminata. I risultati di questo studio suggeriscono che la sola ingestione di microplastica, indipendentemente dal contenuto di sostanze tossiche, può generare gravi impatti negativi sulla specie presa in esame

Plastica, gli effetti sugli organismi umani

plastica nei mari greenpeace“Gli studi che riguardano il possibile effetto tossicologico generato dall’ingestione di cibo contaminato con microplastiche (ad esempio molluschi o pesci) nell’uomo sono ancora agli albori”, spiega, infine, Grenpeace. “Tuttavia, considerando che le microplastiche sono presenti in diverse specie ittiche consumate dall’uomo, è verosimile che con l’alimentazione si possano ingerire microplastiche soprattutto nel caso dei molluschi, che sono consumati interi. Anche se al momento è difficile definire i possibili rischi per la salute umana, sono stati identificati una serie di problemi (ancora oggetto d’indagine) che potrebbero derivare dall’ingestione di microplastiche tramite prodotti ittici contaminati: dalla diretta interazione tra le microplastiche e i nostri tessuti e cellule, fino a un ruolo come fonte aggiuntiva di esposizione a sostanze tossiche. Considerando che molti degli additivi e contaminanti associati alle microplastiche sono pericolosi per la salute umana e per l’ambiente, questo aspetto rimane una delle principali aree su cui concentrare le ricerche del futuro”.

Il rapporto completo al seguente link di greenpeace

 

2018-06-05T15:08:27+02:00