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Cerere: sei articoli sul pianeta nano pubblicati su Science

Sei inattese “facce” di Cerere illustrate in altrettanti studi pubblicati, tutti in un colpo solo, sull’ultimo numero di Science

2 Settembre 2016

Cerere pianeta nano

Risultati delle osservazioni della nuova stella scoperta il dì primo gennaio all’Osservatorio Reale di Palermo – Palermo 1801.Già da nove anni travagliando io a verificare le posizioni delle stelle che si trovano raccolte ne’ vari Cataloghi degli astronomi, la sera del primo gennaio dell’anno corrente, tra molte altre cercai la 87.a del Catalogo delle stelle zodiacali dell’Abate La Caille.

Vidi pertanto che era essa preceduta da un’altra, che secondo il costume, volli osservare ancora, tanto maggiormente, che non impediva l’osservazione principale.Piazzi_Cerere

La sua luce era un poco debole, e del colore di Giove, ma simile a molte altre, che generalmente vengono collocate nell’ottava classe rispetto alla loro grandezza. Non mi nacque quindi alcun dubbio sulla di lei natura.

La sera del due replicai le mie osservazioni, e avendo ritrovato, che non corrispondeva né il tempo, né la distanza dallo zenit, dubitai sulle prime di qualche errore nell’osservazione precedente: concepii in seguito un leggiero sospetto, che forse esser potesse un nuovo astro.

La sera del tre il mio sospetto divenne certezza, essendomi assicurato che essa non era Stella fissa. Nientedimeno, avanti di parlarne aspettai la sera del 4, in cui ebbi la soddisfazione di vedere, che si era mossa colla stessa legge che tenuto aveva nei giorni precedenti…

(dal diario di Giuseppe Piazzi)

cerere

Era il 6 marzo 2015, quando la sonda della Nasa Dawn entrava nell’orbita del pianeta nano situato tra Marte e Giove. Da allora la sonda ha raccolto un enorme quantità di immagini e dati che ci permettono di conoscere più da vicino questo pianeta fino ad ora inesplorato.

Dalla presenza di ghiaccio d’acqua al criovulcanesimo, sono tutti dedicati ai recenti risultati della missione spaziale Dawn i sei articoli sul pianeta nano Cerere pubblicati sul numero odierno di Science. Due in particolare si basano sui dati raccolti dallo spettrometro italiano VIR, fornito dall’ASI sotto la guida scientifica dell’INAF, e vedono fra i coautori numerosi ricercatori dell’INAF IAPS di Roma.


Cerere_copertina-science

Gli articoli su Cerere pubblicati sulla rivista Science firmati da ricercatori dell’Inaf

Sei inattese “facce” di Cerere illustrate in altrettanti studi pubblicati, tutti in un colpo solo, sull’ultimo numero di Science. Numero del quale il pianeta nano si è così aggiudicato anche la copertina. Dai risultati dei sei studi emerge il ritratto d’un mondo di roccia e ghiaccio nel quale si scorgono i segni di crateri, di fratture, di criovulcani, forse persino di una debole atmosfera e che, nel complesso, delineano l’attività geologica che ne ha caratterizzato il passato recente.

I sei studi derivano tutti da dati raccolti grazie alla missione Dawn della NASA. Tutti gli articoli sono firmati anche da ricercatrici e ricercatori, o da associati, dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali (IAPS) dell’INAF di Roma, e due in particolare sono specificatamente dedicati ai risultati delle osservazioni dello spettrometro italiano VIR (Visual and Infrared Spectrometer) a bordo della sonda: strumento chiave per la comprensione di un oggetto come Cerere, VIR è stato fornito dall’agenzia Spaziale Italiana (ASI) sotto la guida scientifica dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Partiamo dunque da questi ultimi per scoprire il volto inedito del più grande oggetto celeste fra quelli che popolano la cosiddetta “fascia principale”, la cintura d’asteroidi che si trovano fra le orbite di Marte e Giove.


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C’è ghiaccio d’acqua nel cratere Oxo

Lo studio guidato da Jean-Philippe Combe del Bear Fight Institute di Winthrop (USA) dimostra la presenza di acqua ghiacciata in superficie. “Già si sapeva della presenza di ghiaccio d’acqua, ma ci si attendeva che su Cerere il ghiaccio in superficie fosse instabile lontano dai poli: trovarlo proprio lì è stata dunque una sorpresa“, spiega Maria Cristina De Sanctis, coautrice dello studio e ricercatrice presso l’INAF IAPS di Roma, nonché responsabile di VIR.

Gli scienziati del team se ne sono accorti utilizzando VIR in cinque occasioni, nel corso del 2015, per analizzare – nel visibile e nel vicino infrarosso – una zona estremamente riflettente del cratere Oxo, che si trova a circa 42° Nord (la latitudine di Roma, per intenderci). I dati rivelano, in un’area di meno di un chilometro quadrato, la presenza di materiali contenenti acqua: molto probabilmente ghiaccio d’acqua, scrivono gli autori, anche se potrebbe trattarsi di minerali idrati.

Ora, le condizioni ambientali presenti su Cerere fanno sì che il ghiaccio d’acqua non riesca a permanere in superficie per più di qualche decina di anni a basse latitudini. Di conseguenza, i risultati di Dawn si potrebbero spiegare solo con un’esposizione o una formazione d’acqua in tempi recenti. Tra le varie ipotesi avanzate dagli autori dello studio – tra i quali, oltre a De Sanctis, anche altri tre ricercatori dell’INAF IAPS di Roma: Federico Tosi, Filippo Giacomo Carrozzo e Andrea Raponi – quella ritenuta più plausibile è l’esposizione di materiali ricchi d’acqua, vicini alla superficie, a seguito d’un impatto o di uno smottamento.

Distribuzione dei diversi materiali sulla crosta

In un secondo studio, guidato questa volta da Eleonora Ammannito dell’Università della California a Los Angeles, viene analizzata la distribuzione su Cerere dei minerali fillosilicati argillosi, che contengono magnesio e ammonio. In questo caso i ricercatori – fra i quali ben 14 dell’INAF IAPS di Roma: Maria Cristina De Sanctis, Mauro Ciarniello, Alessandro Frigeri, Filippo Giacomo Carrozzo, Andrea Raponi, Federico Tosi, Fabrizio Capaccioni, Maria Teresa Capria, Sergio Fonte, Marco Giardino, Andrea Longobardo, Gianfranco Magni, Ernesto Palomba e Francesca Zambon – hanno utilizzato la spettrometro VIR per determinare la composizione di questi fillosilicati da una parte all’altra del pianeta nano, risultata abbastanza uniforme, mentre è emersa notevole varietà nella loro abbondanza. Poiché questi minerali, per formarsi, richiedono la presenza di acqua, gli autori avanzano l’ipotesi che il materiale presente in superficie abbia subito alterazioni a seguito di un processo a larga scala nel quale l’acqua abbia avuto un ruolo fondamentale.

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Alcuni degli autori dell’INAF IAPS di Roma dei sei studi pubblicati su Science. Da sinistra: Andrea Longobardo, Michelangelo Formisano, Francesca Zambon, Mauro Ciarniello, Teresa Capria, Marco Giardino, Andrea Raponi, Fabrizio Capaccioni, Maria Cristina De Sanctis, Gianfranco Magni, Alessandro Frigeri e Federico Tosi. Crediti: Elisa Nichelli / Media INAF


Un’atmosfera per Cerere

Dallo studio guidato dal principal investigator di Dawn, Christopher Russell, anch’egli dell’Università della California a Los Angeles, emerge un risultato sorprendente: Dawn sembra aver rilevato, attorno al pianeta nano, una debole e precaria atmosfera. I dati raccolti dallo strumento GRaND (Gamma Ray and Neutron Detector) mostrano come Cerere abbia accelerato a energie molto alte, per un periodo di circa sei giorni, gli elettroni del vento solare.

Un fenomeno che, in teoria, potrebbe essere spiegato dall’interazione tra le particelle energetiche del vento solare e molecole atmosferiche. L’esistenza di un’atmosfera temporanea, notano gli autori dello studio, fra i quali di nuovo figura Maria Cristina De Sanctis dell’INAF IAPS di Roma ed altri associati INAF, sarebbe fra l’altro coerente con la presenza di vapore acqueo registrata su Cerere quattro anni fa dal telescopio spaziale Herschel. Gli elettroni rilevati da GRaND potrebbero infatti essere stati prodotti dall’impatto del vento solare sulle molecole d’acqua osservate da Herschel, ma gli scienziati stanno anche cercando anche altre spiegazioni.

Criovulcanesimo, ghiacci e crateri

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Immagine ad alta risoluzione di Ahuna Mons (la larghezza dell’immagine corrisponde a circa 30 km). Crediti: NASA / JPL – Caltech / UCLA / MPS / DLR / IDA

Dei tre studi rimanenti, tutti con autori INAF o associati, uno riguarda l’attività criovulcanica, e in particolare una formazione geologica chiamata Ahuna Mons – una montagna con la base ellittica e la sommità concava – che secondo lo studio guidato da Ottaviano Ruesch, del Goddard Space Flight Center della NASA, rappresenterebbe appunto l’esempio di un criovulcano: un vulcano che erutta non silicati bensì un liquido fatto di sostanze volatili, come l’acqua.

Un quinto studio, condotto da Harald Hiesinger dell’Università di Münster, in Germania, analizza i crateri da impatto presenti su Cerere, dai quali si evince che il guscio esterno del pianeta nano non è composto né di puro ghiaccio né di pura roccia, bensì di una combinazione dei due materiali.

Infine, lo studio guidato da Debra Buczkowski, della Johns Hopkins University, rivolge l’attenzione alle diverse caratteristiche geologiche osservate in superficie, fra le quali crateri, cupole (o duomi), flussi lobati e strutture lineari. Se alcune di queste caratteristiche sono il frutto di impatti, altre sembrano piuttosto suggerire processi geologici quali la fagliazione subsuperficiale. Alcune poi sembrerebbero dovute a processi criomagmatici o ciovulcanici, prodotti dunque da ghiaccio fuso che fuoriesce dal sottosuolo. FONTI: Agenzia Spaziale Italiana (ASI) MEDIA INAF


Informazioni sulla missione Dawn e il contributo italiano alla sonda spaziale:

La missione Dawn a Vesta e Cerere è gestita dal Jet Propulsion Laboratory per il Science Mission Directorate di Washington della NASA. Dawn è un progetto del Discovery Program, gestito dal Marshall Space Flight Center in Huntsville, Alabama della NASA. La UCLA è responsabile scientifico della missione. Lo spacecraft è stato progettato e costruito da Orbital ATK, Inc., di Dulles, Virginia. Le camere ad alta risoluzione sono fornite dal Max Planck Institute for Solar System Research, Gottingen, Germany, con contributi significativi dal German Aerospace Center (DLR) Institute of Planetary Research, Berlino, e in coordinamento con l’Institute of Computer and Communication Network Engineering, Braunschweig.

Il visible and infrared mapping spectrometer (VIR) è stato finanziato e coordinato dall’Agenzia Spaziale Italiana e costruito dalla Divisione in Sistemi Avionici e Spaziali di Leonardo-Finmeccanica, con la leadership scientifica dell’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali, Roma, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica ed è gestito dall’Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali, RomaCerere_VIR_Occator

2018-06-05T17:17:56+02:00