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Amatrice calcio: una storia da riscrivere, un trionfo da conquistare

Racconto di una passione, di uomini e ragazzi forti e coraggiosi, ai quali la vita ha chiesto una marcia in più

ROMA – Questa è la storia di una passione, di uomini e ragazzi forti e coraggiosi, ai quali la vita, senza alcun complimento, ad un dato momento ha chiesto una marcia in più da usare per andare avanti. Tutti quanti, nessuno escluso, hanno risposto presente, fosse solo per il gusto di non dargliela vinta, a quel destino cinico e baro che si è preso case, cose, amici, parenti, sogni, speranze e quella tranquillità ed ordinarietà che, spesso bistrattata, è la base di ogni cosa. Destino infame che nulla in cambio ha dato, ma proprio nulla: mai ospite fu più indesiderato. È la storia di una squadra di calcio che diventa comunità, che si fa punto di riferimento, e non conta se sei forte, alto, bello, brutto, italiano, straniero: l’unico requisito che si richiede è avere voglia di reagire, di provare a stupirsi ancora. Con gli scarpini ai piedi , correndo dietro ad un pallone, con la maglia rossoblù indosso e la croce ed i tre gigli sul cuore. Questa è la storia dell’Amatrice Calcio, cinquantuno anni di calcio ben portati. Sabato abbiamo incontrato questi uomini e ragazzi forti, abbiamo trascorso con loro l’avvicinamento alla gara di campionato, li abbiamo visti giocare, vincere , portarsi ad un passo da quella strameritata promozione. Terza Categoria, girone A della provincia di Rieti, è lotta serrata tra i rossoblù, secondi in classifica, e il Quattro Strade del Sacro Cuore, primo in graduatoria, ma con un solo punto di vantaggio. In Seconda Categoria ci si arriva anche così piazzati, ma se c’è una cosa che, dopo il terremoto di Agosto e le sue propaggini, questo gruppo si è ripromesso di fare, è quella di non mollare. E sabato, penultima gara di campionato prima di chiudere in casa contro l’Equicola, scontro diretto tra le due formazioni: ecco la possibilità di sorpasso e di primato, come dire: “Permesso, adesso tocca a noi”.

LA STORIA SI SCRIVE A TAVOLA

Quando, in settimana, confermo l’appuntamento con il mister Romeo Bucci, la location indicata per l’incontro mi appare da subito molto confortevole e indicativa: appuntamento alle 12:30, in un noto ristorante di Borbona. Si, siamo a Borbona, trenta chilometri prima di Amatrice, cittadina a cui va riconosciuto il grande merito di ospitare sul proprio campo le gare interne dell’Amatrice; d’altronde nella città squassata dal sisma i campi da calcio sono requisiti: uno fa da basamento alle “casette”, nell’altro staziona la mensa da campo. Necessario quindi, migrare altrove: messi in soffitta rivalità e antagonismi locali, Borbona ferma la sua squadra e ospita i rossoblù: chapeau. Mister Bucci è già seduto, accanto a lui c’è Xhesildo Serjanaj, giocatore albanese della rosa da tanti anni in Italia. Hanno già ordinato, pasta al pomodoro per tutti, cronista compreso. Mister Bucci, cortese e ospitale da subito, ingegnere nella vita di tutti i giorni, ha lo sguardo pulito dell’uomo di campo, di chi il calcio lo vive con profonda passione. Si commuove quando ricorda il primo allenamento dei suoi ragazzi, ancor di più quando con la mente va alla prima gara di campionato, lo scorso 15 ottobre. Quel giorno, a Rieti, al “Manlio Scopigno” c’erano televisioni, radio, giornali, tutti, ma proprio tutti a testimoniare il ritorno al campo di una comunità straziata. Molti imbevuti di retorica, qualcuno meno, tutti però con la corsa allo scoop della prima gara dopo il terremoto. Bucci tentò, riuscendoci, di isolare il suo gruppo da questo can can di telecamere e taccuini invadenti di cui tutti avrebbero fatto volentieri a meno: racconta che addirittura anche a Sky impedì l’accesso allo spogliatoio; scaramanzia a parte, c’è un limite a tutto. Ai suoi giocatori chiese di ridare alla comunità quanto avevano ricevuto in termini di solidarietà: fu vittoria, la prima di una lunga serie, il Cittaducale piegato senza mezzi termini. Ci racconta il sacrificio che fanno lui e la sua squadra per allenarsi: lui, che dopo ogni gara o allenamento, torna a San Benedetto del Tronto, in hotel, dove vive con la sua famiglia: più di un’ora di macchina, perché, con la casa inagibile, è tra quelli che le autorità hanno ricollocato sul litorale marchigiano.

Altri ragazzi sono a Roma, chi a L’Aquila. Se questa non è passione, amore per quello che si fa, trovatelo voi, un termine migliore. Mentre parliamo di calcio, del terremoto e della sua violenza, della recente visita di Roberto Baggio, arrivano gli altri commensali: il dirigente Andrea Teofili, prezioso tuttofare e deus ex machina della squadra, i giocatori Daniele Vitale e Salvatore Arciprete (lui viene e va da L’Aquila, dove il sisma del 2009 lo ha duramente colpito), ragazzi genuini e solari, ed infine il presidente, Tito Capriccioli, stazza imponente e grande passione per quelli che definisce “i miei ragazzi”. Sembra la Sampdoria di Boskov, che i suoi successi li costruiva al ristorante “Da Carmine” a Quinto; è l’Amatrice di Bucci, che davanti a bruschette, prosciutto e grana, scrive un pezzetto di storia del calcio amatriciano.

UNA SQUADRA, MILLE SIGNIFICATI

Una battuta con la proprietaria del ristorante, un’altra su chi paga il conto, ma è ora, bisogna andare al campo. Il freddo all’uscita è tagliente e non promette nulla di buono per i prossimi novanta minuti. Giunti a dstinazione, alla spicciolata arriva tutto il resto dei convocati. Intercettiamo Luca Piroli, “senatore” della squadra e modi gentili: oggi è in panchina perché diffidato; lui a Rieti, sabato prossimo vuole esserci. Conosciamo il capitano dell’Amatrice: si chiama Remo Berardi, ha ventun’anni, ma sembra un uomo maturo, già al suo posto nel mondo. Quando approfondiamo la nostra conversazione capiamo il perché di questa impressione. Ci racconta che la sera del 23 Agosto, lui e la squadra erano in centro, ad Amatrice, a festeggiare il cinquantesimo anno di vita della società. Mai un fallimento, dieci lustri sempre con la stessa matricola federale: un vanto da condividere insieme. Dopo i festeggiamenti ufficiali, un giro al bar del centro è un must, è piena estate. Ci racconta dell’incredulità quando, ad un certo punto (le drammatiche 3:36, ndr) il corso è letteralmente venuto giù, come fosse “un bombardamento”, ci dice testualmente. Remo è stato probabilmente uno dei primi soccorritori: capitano sempre. Gli chiediamo quanto pesa la maglia dell’Amatrice: ci guarda, sorride, ci dice che “in particolare, quest’anno, questa fascia per me è ancora più importante”. Lo lasciamo prepararsi, torna in campo dopo quasi due mesi, uno strappo che non perdona da poco recuperato. Mister Bucci è nervoso, nonostante l’avversario, classifica alla mano, non dovrebbe creare problemi. Più del Poggio Bustone, fanalino di coda, teme che la sua squadra possa prendere sottogamba l’impegno: perdere punti, a questo punto del torneo, sarebbe delittuoso. Chiediamo di assistere al discorso finale, prima del match: con cortesia e col sorriso sulle labbra, Bucci si dice scaramantico e garbatamente rifiuta la nostra proposta. Tutto pronto, si entra in campo.

IL SENSO DI UNA COMUNITA’

Forse il più nervoso di tutti è il presidente Capriccioli, il “Pres”, come lo chiamano tutti qui. Anche lui, alla parola terremoto, si emoziona, riesce a stento a trattenere le lacrime. Ci spiega che il “senso di comunità” che qui si viveva prima della tragedia, è anch’esso vittima. “Chi ti vende il pane, chi ti vende il giornale”, sono questi i volti della tragedia, di chi ha perso tutto. È l’arrivo dell’arbitro la distrazione che interrompe i ricordi.Meglio così, c’è da concentrarsi sul match. Segue la partita in panchina, ma attende una delegazione di tifosi dell’Udinese (in marcia verso Pescara dove la squadra friulana giocherà domenica pomeriggio) carica di abbigliamento sportivo per ragazzi e di un defibrillatore. La gara, intanto, non ha storia: troppo grande la voglia dell’undici di Amatrice di chiudere la pratica. Al 28’, Bucci e i suoi sono già avanti di due reti (Augusto Pica e Aleandro Bucci i marcatori).

Gara a tratti ruvida, c’è lavoro anche per il dottor Di Fazi e il suo “spray magico”. Anche gli ospiti pagano dazio: dopo mezz’ora si fa male l’esterno destro, ma cambi non ce ne sono, si va avanti in dieci. Intanto Simone Laurenzi, centravanti di sostanza, cala il tris che diventerà poker nella ripresa con la doppietta di Pica, in piena lotta per il titolo di capocannoniere del girone. Il Poggio Bustone, paese natale di Lucio Battisti, troverà spazio per il gol della bandiera allo scadere. Bucci si rilassa, nessun cartellino pesante, tre punti guadagnati, a lui l’ennesimo applauso. Lasciando il campo, anche noi emozionati, crediamo però che anche Yuri, Andrea, Remo, Massimo, Florence, Daniele, Augusto Aleandro, Simone, Antonio, Gianluca, Daniele, Luca, Michele, Xhesildo, Tommaso, Salvatore, Gabriele, Tito, Andrea, tutti quanti, nessuno escluso, siano da applausi, anzi, da standing ovation. Tu chiamale, se vuoi, emozioni rossoblù.

2017-03-14T11:52:05+01:00