esperimenti di Vita
Medicina e tecnologia, biologia e fisica. Sono 13 gli esperimenti di matrice italiana di cui si occuperà l’astronauta Paolo Nespoli durante la missione Vita sulla Stazione Spaziale Internazionale.
I loro risultati contribuiranno alle cure per numerose patologie, aumenteranno la nostra conoscenza dello Spazio e saranno utili a preparare le missioni di lunga durata del futuro, a partire da quella dell’Uomo su Marte.
L’Agenzia DIRE li racconterà, uno per uno, con interviste ai responsabili e visite ai laboratori in cui sono nati.
L’esperimento di cui ci occupiamo questa settimana è Perseo.
L’obiettivo è costruire un’armatura spaziale in grado di difendere gli astronauti dalle radiazioni cosmiche. In questa fase embrionale del progetto la protezione è affidata a una giacca piena di acqua. Paolo Nespoli la indosserà a bordo della Stazione Spaziale Internazionale.
Perseo consiste “nella realizzazione di un prototipo di giacca che sia un dispositivo di schermatura dalla radiazione in particolare in caso di eventi solari– spiega Giorgio Baiocco dell’Università di Pavia, responsabile dell’esperimento insieme ad Andrea Ottolenghi-. Gli eventi solari sono delle tempeste, dei momenti in cui l’attività del sole fa sì che vengano emesse nello Spazio particelle, principalmente protoni. Queste particelle sono in grado di penetrare le schermature dei vari veicoli, dei possibili habitat, raggiungere l’astronauta e possono causare danni alla salute, anche danni immediati. L’idea di Perseo è quella di sviluppare una giacca che possa essere riempita d’acqua. Questo perché l’acqua ha delle buone proprietà in termini di schermatura, quindi di protezione da questo tipo particolare di radiazione, e soprattutto perché l’acqua è un materiale facilmente disponibile. Qualora si preveda una futura missione di lunga durata l’acqua dovrà sicuramente essere disponibile. L’idea è quella dell’ottimizzazione di risorse sicuramente a bordo. Quindi non lanciare nuovo materiale ma usare quello che si ha”.
Tecnicamente, cosa dovrà fare Paolo Nespoli sulla Stazione Spaziale Internazionale?
“Nespoli dovrà verificare che il design della giacca sia ben fatto, che il prototipo che abbiamo costruito sia semplice da utilizzare in termini di praticità, in termini di riempimento dell’acqua dal dispenser di bordo, e che, una volta indossato, gli permetta di muoversi liberamente. Non deve sentirsi impedito nei movimenti. Dovrà svolgere attività molto semplici per verificare che ci sia libertà di movimento e che l’astronauta riesca ad adattarsi a questo aumenti di massa. Siamo in assenza di gravità, ma l’astronauta si fa carico della massa di 20 litri d’acqua, deve imparare a muoversi. Deve poi svuotare questa giacca. L’acqua non viene sprecata, ma viene re-impiegata per i sistemi di bordo. Resta comunque a disposizione”.
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Per ora è un giubbotto, ma l’evoluzione di Perseo potrebbe arrivare ad essere una copertura per tutto il corpo.
“Nella concezione della schermatura quello che abbiamo pensato per il momento è proteggere gli organi più radio sensibili dell’astronauta. Nella fase preliminare abbiamo verificato che gli spessori scelti e la posizione di questi spessori siano tali da garantire una buona riduzione di dose, quindi di quantità di energia che la radiazione deposita, al midollo spinale. Chiaramente i modelli futuri potranno prevedere degli sviluppi. Per esempio potremmo disegnare una giacca più ergonomica. Per iniziare ci siamo dovuti forzatamente basare su un design molto semplice. Vogliamo innanzitutto verificare che la cosa sia fattibile”.
Il giubbotto anti-radiazioni ha conquistato l’immaginario collettivo, come se facesse diventare l’astronauta un Supereroe.
“Uno dei punti di forza è sicuramente la semplicità dell’idea nel senso che proteggersi con quello che si ha a disposizione è un messaggio forte e molto valido in un ambiente ostile come lo Spazio. L’idea ha un che anche di fantascientifico, si tratta di una specie di armatura, come dice Nespoli: ha scatenato interesse per questo aspetto più fumettistico, da cinema”.
Perseo, coordinato e finanziato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi), è un esperimento che coinvolge molte realtà universitarie e aziendali. Oltre al Dipartimento di Fisica dell’università di Pavia, partecipano Thales-Alenia Space, Aviotec, Altec, la Società Metropolitana Acque Torino (Smat), Kayser Italia, Arescosmo e l’Università di Roma Tor Vergata.
E’ un progetto che apre anche altre strade: contiene infatti anche altri esperimenti paralleli.
“La Società metropolitane delle acque di Torino è stata incaricata di fornire l’acqua che utilizziamo per un altro contenitore che lanciamo insieme alla giacca. E’ un contenitore pieno che poi porteremo a Terra per effettuare delle analisi su questo mezzo litro. E’ una sorta di esperimento parallelo.
Così facendo verifichiamo che il contenitore è in grado di mantenere la potabilità dell’acqua. Così dei possibili modelli futuri potranno prevedere direttamente l’utilizzo di un materiale tale da garantire la potabilità dell’acqua a contatto con questo materiale.
In un futuro non troppo lontano potrebbe essere possibile bere in caso di necessità da questa giacca. Partner è anche il dipartimento di Fisica di Roma Tor Vergata. In una fase successiva del progetto il ruolo è di verificare con delle misure di radiazione sulla Stazione spaziale di quanto questi spessori di acqua sono in gradi di ridurre il livello di radiaizoni. Saranno fatte delle misure con i rivelatori Altea-Lidal”.