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Blade Runner 2049, l’omaggio di Villeneuve al capolavoro di Ridley Scott

Non sempre è un bene che tutti i nodi vengano al pettine...

blade runner 2049ROMA – Non sempre è un bene che tutti i nodi vengano al pettine.
Questo è il caso di Blade Runner 2049, sequel del popolare cult degli anni ’80 nei cinema italiani il 5 ottobre con Warner Bros.
La regia di Denis Villeneuve (Arrival) non fa rimpiangere l’assenza di Ridley Scott, che ritorna come produttore esecutivo.
Forse siamo davvero davanti ad un capolavoro.
Visivamente impeccabile, Villeneuve “rivisita” la natura filosofica dell’opera, ne coglie le sfumature, centra il bersaglio.
E chiude un cerchio aperto 35 anni fa.
Ma. C’è un ma.
I puristi di Blade Runner, forse, quel cerchio non vorrebbero chiuderlo.

Blade Runner 2049

Trent’anni dopo gli eventi del primo film, un nuovo blade runner, l’Agente K della Polizia di Los Angeles (Ryan Gosling) scopre un segreto sepolto da tempo che ha il potenziale di far precipitare nel caos quello che è rimasto della società.
La scoperta di K lo spinge verso la ricerca di Rick Deckard (Harrison Ford), un ex-blade runner della polizia di Los Angeles sparito nel nulla da 30 anni.

Blade Runner 2049 è stato scritto da Michael Green e Hampton Fancher (che ha co-scritto il film originale), da una storia di Fancher e Ridley Scott.

“E’ il mio miglior film”, ha dichiarato Villeneuve.
E non gli si può dar torto.

Il comparto tecnico è maestoso.
Le atmosfere dark e cupe del cult del 1982 riaffiorano nella città di Los Angeles, ancora sfondo della perpetua pioggia che sporca le strade di una città dimenticata dal Sole.
Ogni luogo ha il suo colore dominante che, fondendosi al tema musicale come un unico corpo, accompagna lo spettatore in un viaggio distopico.

Ryan Gosling affronta egregiamente il ruolo da protagonista, adempie al suo compito, è credibile, maturo, espressivo.

E a proposito di espressività, Harrison Ford arranca.
Vecchio e stanco, il suo Deckard perde di appeal.

Come lacrime nella pioggia

La scena chiave di Blade Runner, il monologo di Roy Batty (“Io ne ho viste di cose…”), pone lo spettatore a chiedersi: cosa differenzia gli esseri umani dai replicanti?
Un quesito complesso, cuore dell’opera originale, che nel suo sequel si spinge ad un nuovo – o meglio diverso – livello.

L’amore in senso assoluto è il motore delle azioni dei protagonisti, umani e non.

I replicanti sono “più umani degli esseri umani”, pronti a dare la loro vita pur di dargli un senso.
E se gli uomini si preoccupano di “non abbattere il muro”, gli androidi non esitano a sacrificarsi per rivendicare un posto nel mondo.

Chiusa la porta, si apre un portone: ci sarà un terzo capitolo?

Il fascino di Blade Runner non si può replicare, ma gli si può rendere rispettoso omaggio, come ha fatto impeccabilmente Villeneuve.

2017-10-03T21:17:45+02:00