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“Amore mio”, quando l’amore nasconde la violenza

ROMA – Lo spettacolo del regista francese Olivier Malcor, organizzato con PartecipArte e l’associazione le Kassandre, affronta il tema delicato della violenza sulle donne con un approccio divertente e interrattivo, tramite la tecnica del teatro dell’oppresso, dove il protagonista è il pubblico. Amore mio, quando il non amore diventa violenza Marco e Susan stanno insieme, […]

9 Dicembre 2017

ROMA – Lo spettacolo del regista francese Olivier Malcor, organizzato con PartecipArte e l’associazione le Kassandre, affronta il tema delicato della violenza sulle donne con un approccio divertente e interrattivo, tramite la tecnica del teatro dell’oppresso, dove il protagonista è il pubblico.

Amore mio, quando il non amore diventa violenza

Marco e Susan stanno insieme, vivono nella stessa casa e hanno progetti comuni. Roberta, grande amica di Susan, è preoccupata dall’atteggiamento del ragazzo, che si dimostra sempre più possessivo e che cerca, in maniera sempre più decisa, di allontanare Susan dalle sue amiche.

Nonostante gli ammonimenti di Stefania, altra compagna di Susan, che sostiene che “tra moglie e marito non mettere il dito”, Roberta tenta inutilmente di recuperare il rapporto con l’amica che è sempre più distante e concentrata su Marco.

Fino a quando la situazione non degenera il giorno del compleanno della ragazza: le amiche sentono un urlo mentre vanno a casa sua per farle una sorpresa. E’ qui che accade la violenza.

Quella di Susan e Marco è una storia comune, che potrebbe capitare a chiunque, un’amore che inizia e che, mano mano, si trasforma in un incubo di violenze e vessazioni.

Amore mio, con il teatro dell’oppresso il pubblico diventa regista

Tuttavia non mancano i campanelli d’allarme, possibilità di intervento. E’ proprio qui che entra in gioco il teatro dell’oppresso, il pubblico si fa regista, e può intervenire sul palco per parlare con Susan o con Marco.

Sono tre i diversi livelli del problema: possessione, isolamento e violenza, tantissime le soluzioni.

C’è chi dalla platea cerca di convincere a Marco a essere inclusivo, chi invece vorrebbe allontanare la ragazza dal suo compagno.

C’è anche chi le chiede: “Cosa hai fatto?” e nessuno invece “Cosa vuoi fare?”, sottolineando come nel nostro paese, si deve fare ancora molto in ottica di concezione e preparazione alle situazioni di violenza.

Quello che però colpisce di più è la volontà empatica della platea. Mano mano che gli spettatori si avvicendano sul palco, cresce la voglia di ascolto, di intervento.

Amore mio, la violenza sulle donne come problema collettivo

Susan e Marco hanno un problema, la loro relazione che purtroppo si trasforma in violenza. Questo problema però diventa collettivo, non per il senso di colpa che naturalmente ingenera la violenza in sé, l’esserne complici, ma piuttosto perché è un problema che passa sotto l’indifferenza e la minimizzazione di Marco e di Stefania, diventa così intollerabile, da combattere alla radice.

La tecnica del teatro dell’oppresso consente così la riflessione sull’amore violento, qual è il suo realizzarsi ma, soprattutto, il concretamento della reazione della società alla violenza alla quale si è desolatamente impreparati, cercando di definire “insieme” quando si manifesta un comportamento sbagliato e come intervenire.

Amore mio, il regista: bisogna agire collettivamente

Riflessione che prende le mosse dal divertente Power Point “umano” iniziale nel quale gli attori hanno mimato e portato a conoscenza del pubblico la situazione sociale attuale delle donne in Italia, dove si è appreso del divario persistente tra uomini e donne dal punto di vista delle condizioni lavorative, l’assistenza medica, la visione della donna intrappolata tra “angelo del focolare” o la donna giovane, ipersessualizzata, trofeo da esibire.

“Con Amore mio vogliamo cercare di semplificare un problema irrisolto, del quale siamo tutti complici, anche con le parole. Pensa ai termini calcistici violare la porta o penetrare la difesa, la nostra società patriarcale li normalizza, ecco perché dobbiamo agire collettivamente, noi ci proviamo col teatro”, afferma il regista Malcor.

2017-12-09T10:48:25+01:00