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Streetwear. Dropout, il primo negozio a Milano di reselling

L'intervista è a cura di Draftin' Mag

ROMA – Il team di Draftin’ Mag è partito alla volta di Milano per intervistare Kola Tytler e Andrea Canziani, i fondatori di Dropout: il secondo negozio di reselling d’Italia e il primo a Milano.

Com’è nata l’idea e perché è nata?

K:L’idea di Dropout nasce da una mia passione, e di altri ragazzi conosciuti negli ultimi anni, di portare a Milano un concetto nuovo, sulla base di quelle che erano le nostre esperienze sia nel mondo delle streetwear, sia del reselling, e non solo. E’ nata perché io e il mio socio, Andrea, abbiamo visto l’opportunità di creare un negozio fisico in una scena che era quella del reselling, a Milano”.

Com’è il mondo dello streetwear per voi? E com’è vissuto secondo voi in Italia?

A:In Italia, per certi versi, essendo la capitale della moda, è “il primo gradino. E’ anche vero che le mode le inventano in Italia, ma le indossano in altri Paesi, come se sotto questo aspetto arrivasse dopo. Detto ciò, non abbiamo nulla a che invidiare all’estero, sia dal punto di vista della produzione , sia dell’inventiva, che è italiana, anche se poi le presentazioni le fanno a Miami piuttosto che qui. Non mi sento di dire che all’Italia manchi qualcosa.  Sicuramente l’Italia è sempre in via di sviluppo nell’ambito streetwear e dei ragazzi, dei giovani. Per quanto riguarda a ‘come la vivo io’, ti posso dire che la vivo come un mestiere, innanzitutto, dato che Dropout è il nostro lavoro e, in generale, la vivo bene, mettendo a disposizione del cliente che entra e chiede quel “poco che conosco” e “quel poco che ho”. Devo dire che i clienti spesso sanno già, attraverso altri canali, che magari possono essere i vari influencer e youtuber, i quali lanciano un po’ la moda e la fanno seguire, che cosa vogliono prendere”.

K:Per quanto mi riguarda, prendo lo streetwear come una passione che ho da sempre, anche se ultimamente è più mainstream rispetto a quanto lo potesse essere 10 anni fa. In Italia, in termini di qualità, inventiva, produzione credo che sia al pari di altri Paesi, se non addirittura avanti. Per il pubblico, per un pubblico più generalista, in Italia arriva in ritardo, arriva a tutti un po’ dopo, rispetto a Inghilterra e Stati Uniti, anche se questo dipende molto da un fattore linguistico: lo dimostra il fatto che gli stessi brand italiani, emergenti e non, si relazionano di più all’estero, in primis Stati Uniti, Inghilterra e poi Italia, proprio perché possono riferirsi a un pubblico più ampio”.


L’INTERVISTA CONTINUA SU DRAFTIN’ MAG

2019-04-13T10:58:22+02:00