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Milano, la strage di piazza Fontana cinquant’anni dopo

Cinquant'anni dopo, tanto è il tempo che è passato, ci sono ancora due verità che non coincidono: la storica, stabilita con lo studio delle carte e delle testimonianze, e la giudiziaria, che dovrebbe essere accertata nelle aule di giustizia. Vediamo quindi di ricapitolare per sommi capi quanto sappiamo.

Milano, 12 dicembre 1969. Banca nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana. Aria gelida di Natale sotto la Madonnina, pieno centro cittadino. L’orologio segna le 16.38. Agli sportelli della banca si stanno ultimando le operazioni di cassa quando all’improvviso una bomba esplode uccidendo 18 persone e ferendone 87. Sette chili di tritolo creano una voragine nell’androne dell’istituto di credito.

La strage di piazza Fontana è un romanzone angosciante, pieno di morti, di personaggi sul filo dell’invenzione, di povere vittime incolpevoli e anche di uomini che, come succede nei grandi casi della vita, scoprono sé stessi e lottano in nome della verità e della giustizia. È anche il romanzo di una società. Milano soprattutto, divisa in due, gonfia di passioni, di fervori, di odii, vitali e faziosi, una piccola Parigi dei tempi del caso Dreyfus, così come la descrive Proust”.

A scrivere è Corrado Stajano, una delle firme più prestigiose del giornalismo italiano, testimone e narratore di uno dei periodi più bui della storia contemporanea nazionale. Il periodo in cui si sono consumate molte stragi ancora irrisolte. La stagione della strategia della tensione, del terrorismo cosiddetto ‘nero’ (animato dalle destre neofasciste, di matrice eversiva e reazionaria) e successivamente di quello cosiddetto ‘rosso’ (che invece puntava a sovvertire l’ordine democratico dello “Stato borghese” per instaurare la “dittatura del proletariato”).

La strage di piazza Fontana: cosa, chi, dove, quando, come e perché

L’Italia della fine degli anni ’60 era caratterizzata da una fiducia decrescente nei confronti delle forze di governo. Dopo gli anni floridi del boom economico, la classe dirigente si stava infatti dimostrando incapace di garantire una crescita stabile del benessere della popolazione. Nascono quindi in questo clima le contestazioni studentesche del 1968, che generano poi le proteste del mondo operaio. È il cosiddetto “autunno caldo” degli scioperi in fabbrica. Avete presente l’album ‘Storia di un impiegato’ di Fabrizio De Andrè? Una testimonianza poetica e musicale impareggiabile di quegli anni. La radicalizzazione del conflitto sociale rivelò la fragilità del sistema politico e di questa fragilità si approfittarono le forze neofasciste. L’attentato del 12 dicembre 1969 è stato, per gli storici e i testimoni dell’epoca, il tentativo di incrinare le basi dello stato democratico a favore di svolte autoritarie.

Il primo atto della strategia della tensione

E su questa verità c’è ormai un certo consenso generalizzato. A compierla è stato il gruppo fascista ‘Ordine nuovo’, ben collegato con servizi segreti e apparati deviati dello stato italiano. I responsabili sono due capi padovani dell’organizzazione filonazista, Franco Freda e Giovanni Ventura, e anche su questo il consenso è abbastanza ampio. Però, ci sono diversi però.

La pista anarchica: la storia nella storia

Innanzitutto, la grande confusione, i depistaggi e il clima di mobilitazione post ’68 portarono inizialmente gli inquirenti a cercare i colpevoli tra le forze della sinistra extraparlamentare, specie le frange anarchiche. Ecco quindi che i sospetti si concentrarono su alcuni militanti anarchici. Tra questi il ferroviere milanese Giuseppe Pinelli, interrogato in Questura dal commissario Luigi Calabresi. Pinelli e Calabresi si aggiungono all’elenco delle vittime della strage: il primo cadde misteriosamente dalla finestra del quarto piano della Questura dopo più di 48 ore di interrogatorio. Il secondo venne ucciso a colpi di pistola nel 1972 perché ritenuto colpevole della morte di Pinelli. Un’altra storia nella storia. Anche questa ancora in attesa di essere del tutto chiarita.

La verità giudiziaria (mancata)

Nonostante persino una sentenza del 2005 della corte di Cassazione (il grado di giudizio più alto del sistema giudiziario italiano) abbia individuato i due capi padovani come responsabili della strage “sia pure in chiave storica”, Freda e Ventura sono sempre stati assolti per insufficienza di prove nè possono più essere processati perché definitivamente assolti per lo stesso reato nel 1987 (se sentirete parlare del principio giuridico ‘ne bis in idem’ d’ora in poi saprete cosa significa).

Su questa strage sono stati celebrati numerosi processi in diversi tribunali da Milano a Catanzaro, tutti con depistaggi, latitanze, prove parziali o arrivate troppo tardi, condanne tramutate in assoluzioni. Fino alla definitiva assoluzione dei presunti esecutori: Delfo Zorzi, Giancarlo Rognoni e Carlo Maria Maggi. “Ma non dell’area nazifascista che aveva organizzato la strage (Freda e Ventura, ndr) e di quella parte degli apparati dello Stato con loro collusa” ha dichiarato in un’intervista a Focus Storia il giudice milanese Guido Salvini.

Il giudice Salvini ha condotto l’ultima istruttoria in ordine di tempo su Piazza Fontana, durata dal 1989 al 1997, sulla base della quale si sono avute la condanna dei tre imputati in primo grado (30 giugno 2001) e la loro assoluzione in appello (12 marzo 2004) con conferma dell’assoluzione in Cassazione (3 maggio 2005, cioè la stessa di cui abbiamo detto a inizio paragrafo).

Attualmente non c’è un fascicolo di indagine aperto sulla strage perché anche la procura di Milano ha archiviato l’inchiesta nel 2013. Per questo l’associazione dei famigliari delle vittime della strage ancora si batte per chiedere verità e giustizia.

“La strage di Piazza Fontana non è un mistero senza mandanti” ha ribadito con fermezza il giudice Salvini. Terroristi e pezzi collusi delle istituzioni speravano di trarne un beneficio politico. Non fu così perché i milanesi e gli italiani si mobilitarono. “Per questo- ha aggiunto- non dobbiamo vivere l’anniversario del 12 dicembre solo con amarezza, o addirittura rimuovendolo, ma trarne un insegnamento utile, soprattutto per le giovani generazioni”.

Le vittime, i funerali, la mobilitazione

Milano rispose al dolore con partecipazione e compostezza scendendo in piazza per i funerali che si celebrarono il 15 dicembre 1969. Il sagrato del Duomo e le strade intorno erano stracolmi di persone. Alcuni dicono trecentomila. Chiedevano giustizia, a dispetto di ogni strategia eversiva di ottenere un nuovo ordine con il terrore.

I testimoni dell’epoca ricordano ancora il silenzio glaciale al passaggio dei feretri delle vittime. Ecco i loro nomi: Giovanni Arnoldi, Giulio China, Eugenio Corsini, Pietro Dendena, Carlo Gaiani, Calogero Galatioto, Carlo Garavaglia, Paolo Gerli, Luigi Meloni, Vittorio Mocchi, Gerolamo Papetti, Mario Pasi, Carlo Perego, Oreste Sangalli, Angelo Scaglia, Carlo Silva, Attilio Valè.

Ogni 12 dicembre di ogni anno dal 1969 Milano scende in piazza per ricordarli e chiedere verità per le loro morti.

La strategia della tensione: le altre stragi

Come ricostruito dal giornalista Gianni Barbacetto, tra il 1969 e il 1984 in Italia sono avvenute otto stragi politiche dalle caratteristiche simili: piazza Fontana (12 dicembre 1969), stazione di Gioia Tauro (22 luglio 1970), Peteano (31 maggio 1972), Questura di Milano (17 maggio 1973), piazza della Loggia a Brescia (28 maggio 1974), Italicus (4 agosto 1974), stazione di Bologna (2 agosto 1980), treno di Natale 904 (23 dicembre 1984).

15 anni, 150 i morti, oltre 600 i feriti. Una guerra psicologica di logoramento. Per tutte le stragi (con qualche differenza solo per quella del 1984, che una sentenza definitiva giudica promossa dall’organizzazione mafiosa Cosa nostra), i responsabili sono stati cercati nei gruppi dell’estrema destra. In tutte, le indagini sono state inquinate dai depistaggi da parte di organismi dello stato. Tutte sono rimaste per molti anni senza spiegazioni ufficiali, senza colpevoli, senza esecutori, senza mandanti. Ancora oggi, quasi tutte sono senza colpevoli, esecutori, mandanti.

Per approfondire

Su questa strage e il clima che l’ha generata sappiamo molte cose, in verità. Per approfondire ti consigliamo alcuni materiali.

Tra i libri, ci sono le più recenti ricostruzioni di: Gianni Barbacetto; Enrico Deaglio; Benedetta Tobagi; Aldo Giannuli con Davide Conti, Elia Rosati e Laboratorio Lapsus.

Dal punto di vista delle storie ci sono invece il testo di Licia Rognoni Pinelli, moglie di Giuseppe Pinelli, e il volume di Mario Calabresi, figlio di Luigi Calabresi.

C’è poi il film girato da Marco Tullio Giordana ‘Piazza Fontana. Romanzo di una strage’.

Internet, infine, aiuta sempre le nostre ricerche. Ecco alcuni link interessanti:

2019-12-12T17:02:05+01:00