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5 gennaio 1984, l’assassinio di Giuseppe Fava

Il giornalista siciliano venne freddato da cinque proiettili. Per il suo omicidio sono stati condannati all’ergastolo i boss mafiosi catanesi Benedetto ‘Nitto’ Santapaola e Aldo Ercolano

ROMA – Giuseppe Fava nacque a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa. È stato un giornalista, un intellettuale eclettico, un pittore, uno scrittore e un drammaturgo. Laureatosi in Giurisprudenza a Catania, abbandonò in fretta l’idea di una carriera da giurista per dedicarsi alle sue passioni: la letteratura, il teatro, il giornalismo. Da giornalista, ricoprì gli incarichi di caporedattore del quotidiano Espresso sera, inviato del settimanale Tempo Illustrato, direttore del Giornale del Sud, fondatore e direttore dei Siciliani a Catania. Denunciò la mafia e i comitati d’affari politici ed economici che dominavano la Sicilia dagli anni ’70, e si impegnò nella battaglia contro l’installazione dei missili nucleari nella base di Comiso. Le inchieste dei Siciliani portarono la mafia catanese alla ribalta nazionale e decretarono il suo assassinio. Alle ore 22.00 del 5 gennaio 1984 Giuseppe Fava si trovava in via dello Stadio a Catania e stava andando a prendere la nipote al Teatro Verga. Aveva appena lasciato la redazione del suo giornale. Non ebbe il tempo di scendere dalla sua Renault 5 che fu freddato da cinque proiettili. Aveva 58 anni. Per il suo omicidio sono stati condannati all’ergastolo, nel 2003, i boss mafiosi catanesi Benedetto ‘Nitto’ Santapaola e Aldo Ercolano.

Da quel gennaio 1984 partì un’altra storia, una storia di giornalismo impegnato in prima linea. In un primo tempo furono proprio i cosiddetti ‘carusi di Fava’ -il figlio Claudio, Riccardo Orioles, Michele Gambino, Antonio Roccuzzo, e molti altri- a portarne avanti l’eredità. A loro si unirono sin da subito moltissimi giovani. Forse non tutti sanno che furono proprio i giovani catanesi i primi ad apporre una targa commemorativa, seppure di cartone, sul muro esterno del teatro. Negli anni, poi, quei primi Siciliani gemmarono numerose altre esperienze di giornalismo antimafioso, sia giovanile che professionale, locale e nazionale.

“Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società.

Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza e la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali. Tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo.

Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. […] Un giornalista incapace – per vigliaccheria o calcolo – della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere”

Così scriveva l’11 ottobre 1981 in ‘Lo spirito di un giornale’, l’ultimo editoriale per il Giornale del Sud prima del suo licenziamento. Fava infatti aveva reso quella testata un quotidiano coraggioso, con una redazione giovanissima e affamata di inchieste brucianti su Cosa nostra e il sistema di potere etneo. L’editore però era Gaetano Graci, uno dei cavalieri del lavoro di Catania- o dell’Apocalisse mafiosa, come scriveva lui- che Fava e i suoi carusi avevano ampiamente iniziato a smascherare. Ecco perché, dunque, la necessità di ricominciare e di fondare ‘I Siciliani’.

Il nucleo storico de ‘I Siciliani’ nacque quel giorno, ha ricordato Claudio Fava: “una dozzina di ragazzi in tutto: per un’avventura del destino e per merito del loro direttore, quel gruppo umano aveva imparato più rapidamente d’ogni altro cos’era diventata Catania. […] Nell’autunno del 1981, quei ragazzi rappresentavano per la città il primo autentico movimento d’opinione antimafioso”.

2019-12-12T14:26:00+01:00