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Gandhi: le origini del mito

In occasione del 72esimo anniversario della morte del Mahatma ripercorriamo le tappe della sua vita

ROMA – Quando un uomo entra nell’immaginario collettivo perde le sue sembianze umane, la sua storia si confonde con il mito e anche le personalità più complesse si riducono a qualche tratto, rinchiuse in una simbologia austera. E allora può accadere che di Napoleone si ricordi solo l’altezza e la classica posa con la mano infilata nella giacca all’altezza del cuore o che Charlie Chaplin non sia altro che la bombetta, i baffetti e il bastone del suo personaggio più celebre, il vagabondo Charlot.

All’Union Square Park di New York c’è una statua, la statua di un uomo vestito con un dhoti, un bastone nella mano destra, un libro nella sinistra e sul naso un paio di occhiali. E non importa di quale nazionalità sei o quanto hai studiato, quando passi lì davanti non hai dubbi: quello è Mohandas Karamchand Gandhi o il Mahatma titolo onorifico che per lui coniò il poeta premio Nobel Rabindranath Tagore unendo le due parole sanscrite Maha, grande, e Atma, anima. La grande anima dell’India.

Gandhi nasce nel 1869 a Porbandar, nello Stato del Gujarat, cittadina sulla costa occidentale dell’India, da una famiglia della casta dei commercianti, il cognome Gandhi significa ‘droghiere’, nonostante suo padre e suo nonno fossero uomini politici. Il padre Karamachand Uttamchand Gandhi, fu diwan, primo ministro, del principato di Rajkot, mentre la madre Putlibai proveniva da una famiglia ricca.

A 13 anni sposa Kasturba Gandhi, la figlia di un ricco uomo d’affari, in un matrimonio combinato secondo la tradizione indù; anche se per tutta la vita combatterà contro questa pratica. Nel 1888 conclude le superiori e chiede di essere mandato a Londra per studiare giurisprudenza alla University College. Nel 1891 terminati gli studi fa ritorno in India per esercitare la professione di avvocato presso l’alta corte di Bombay, ma è di indole timida e nei suoi discorsi in tribunale non spicca per la sua arte oratoria. E’ ancora lontano dalla figura carismatica che ispirerà i movimenti pacifisti di tutto il mondo e che porterà il poeta premio Nobel Rabindranath Tagore a coniare per lui l’appellativo di Mahatma, la grande anima.

L’esperienza in Sudafrica

L’inizio della trasformazione avviene qualche anno dopo quando la ditta Dada Abdullah & C. per cui aveva iniziato a lavorare lo spedisce nel Sudafrica britannico per seguire una causa nella provincia del Natal. Qui entra in contatto con l’apartheid, il pregiudizio razziale e con le condizioni di semi schiavitù in cui versano circa 150 mila suoi connazionali. Sono tante le ingiustizie di cui è testimone e protagonista. Viene buttato fuori dal vagone di prima classe di un treno a Pietermaritzburg perchè non accetta di passare in terza classe. Una volta in un tribunale di Durban si rifiuta di togliersi il turbante come richiesto dal magistrato e viene espulso dall’aula o quel giorno in cui viene addirittura picchiato da un controllore su una diligenza dopo che si rifiuta di viaggiare sul predellino lasciando il suo posto fra alcuni viaggiatori europei.

Gandhi a seguito di questi episodi inizia a riflettere sulle ingiustizie della società, sul suo ruolo e sullo stato del suo popolo. Inizia così la sua militanza: scrive numerose lettere di protesta sulla stampa, coordina varie riunioni a Pretoria a cui prendono parte molti indiani del Sudafrica e redige una petizione di protesta.

Il suo impegno culmina nel 1893 quando riesce ad aggregare in una forza politica la comunità indiana in Sudafrica fondando il Natal Indian Congress di cui diviene il segretario. Le sfide sono tante in primis le nuove leggi approvate dall’assemblea del Natal che hanno abolito il diritto di voto degli indiani e hanno istituito tasse pesantissime per i lavoratori indiani che a fine contratto non ritornano nel loro Paese.

Nel 1899, allo scoppio della seconda guerra boera, Gandhi si schiera a favore della partecipazione indiana a fianco delle truppe inglese nella recondita speranza che questo impegno possa legittimare la richiesta di pari diritti per gli indiani dell’Impero britannico. Organizza così un corpo di volontari ambulanzieri composto da 300 indiani liberi e 800 coolie indiani, al termine della guerra però la situazione degli indiani in Sudafrica invece di migliorare peggiora.

Nel 1903, fonda un giornale: l’Indian opinion. La lettura dei libri sacri dell’induismo e di alcuni saggi di John Ruskin lo convincono a iniziare un percorso di cambiamento radicale. Acquista un terreno di circa 50 ettari a Phoenix, presso Durban, dove organizzerà il primo ashram in cui andrà a vivere con i suoi familiari e i collaboratori. Qui, tutti i membri della comunità, compresi i redattori del giornale, partecipano ai lavori agricoli e sono retribuiti con lo stesso salario indipendentemente dalla nazionalità e dal colore delle pelle. Sarà questo il primo modello di villaggio autogovernato in cui si praticano, in un regime di vita monastica, la povertà volontaria, il lavoro manuale e la preghiera. Nel 1910 fonderà il secondo ashram a Johannesburg che prenderà il nome di fattoria Tolstoj, mentre 5 anni dopo sarà la volta della prima comunità fondata in India, nella periferia di Ahmedabad vicino al fiume Sabarmat. Nel 1906 Gandhi fa voto di castità, brahmacharya, per elevare lo spirito, inizia la pratica del digiuno e smette di consumare latte, si taglia da solo i capelli e pulisce le latrine, un’attività riservata alla casta degli intoccabili che Gandhi aveva ribattezzato figli di Dio, harijan, nel tentativo di affrancarli dalla loro situazione di subalternità.

La prima satyagraha

Il governo sudafricano approva il Black Act, una serie di nuove leggi che, fra le altre cose, obbligavano gli indiani residenti nel Transvaal di farsi schedare oltre a limitarne gli spostamenti fra uno Stato e l’altro. Durante una protesta all’Empire Theatre of Varieties di Johannesburg, l’11 settembre, perfeziona il proprio metodo di lotta a cui dà un nome ben preciso: satyagraha, dal sanscrito satya=verità e agraha=forza, chiamando i suoi compagni a sfidare la nuova legge subendo le punizioni previste senza ricorrere alla violenza.

Il satyagraha porta i primi risultati, ma ha costi altissimi da sostenere, sono infatti migliaia gli indiani e i cinesi che vengono imprigionati e frustati per aver scioperato, per essersi rifiutati di iscriversi, per aver bruciato la propria carta di registrazione o per aver resistito in maniera non violenta. Alcuni di essi saranno persino uccisi. Durante la sua prima prigionia legge Disobbedienza civile di Henry David Thoreau e inizia una corrispondenza con Lev Tolstoj che durerà fino alla sua morte.

La battaglia dura 7 anni e culmina nel 1913, a seguito dell’ennesima legge razzista che vieta i matrimoni fra non cristiani, con lo sciopero e la marcia delle donne indiane. L’opinione pubblica reagisce e solidarizza con i manifestanti pacifici, così il generale Jan Christiaan Smuts viene obbligato a negoziare un compromesso con Gandhi. Viene firmato nel 1914 il patto Gandhi-Smuts che rende nuovamente legali i matrimoni misti e abolisce la tassa di tre livre, circa sei mesi di salario, imposta agli indiani che vogliano diventare lavoratori liberi.

La lotta per l’indipendenza dell’India

Scoppia la prima guerra mondiale e il Mahatma decide di schierarsi nuovamente a fianco delle truppe inglesi sempre nella speranza che l’impegno indiano possa valere in cambio l’indipendenza. Nel frattempo però, fra il 1916 e il 1917, accetta la proposta del leader del Congresso indiano Gopal Krishna Gokhale di fare un anno di silenzio politico per viaggiare in treno, nelle carrozze di terza classe, fra gli oltre 700 mila villaggi indiani. Tornato dal pellegrinaggio applica il metodo della disobbedienza civile, che aveva sperimentato in Sudafrica, per aiutare i contadini del Champanar, del Gujarat e gli operai di Ahmadabad. I primi lamentavano lo sfruttamento nelle piantagioni di indaco da parte degli inglesi, Gandhi allora crea un’organizzazione di volontari e con il loro aiuto inizia una campagna di pulizia dei villaggi, la costruzione di scuole e ospedali. Viene arrestato poco dopo per ‘turbamento dell’ordine pubblico’, ma la presenza di migliaia di manifestanti induce le autorità a liberarlo per istituire una Commissione con il compito di trovare una soluzione. Viene trovata dopo poco tempo e il sistema vessatorio nei confronti dei contadini del Champanar finisce. Nel Gujarat i contadini del Kheda non ce la fanno a sostenere la tassazione imposta dal Governo, Gandhi li organizza in una comunità coesa, li istruisce sul satyagraha e promuove lo sciopero fino a quando non si giunge a un accordo, poco più di venti giorni dopo. Lo stesso fa con gli operai tessili di Ahmadabad guadagnandosi l’appellativo di Bapu, il padre, e la sua fama si estende in tutto il subcontinente indiano.

Purtroppo il lealismo indiano verso la Corona britannica non porta i risultati sperati, anzi il governo del Regno Unito promulga il Government of India, nel 1919, che attua un parziale decentramento dei poteri e istituisce la parità nelle amministrazioni distrettuali fra indiani e rappresentanti inglesi. Un modo per attirarsi le simpatie delle elite indiane e per allontanare ogni velleità indipendentista. E il 18 marzo dello stesso anno viene approvato il Rowlatt Act che estende in tempo di pace restrizioni di libertà entrate in vigore durante la guerra. Gandhi si oppone organizzando, il 6 aprile, un hartal, uno sciopero di massa della nazione che prevede: l’astensione da lavoro, la preghiera e il digiuno. Per l’ennesima volta si ritrova in prigione. Nel frattempo l’India entra nel caos, scoppiano disordini in tutto il Paese che culminano il 13 aprile nel massacro di Amritsar, nel Punjab, in cui le truppe del generale Edward Dyer massacrano circa 4 mila persone e ne feriscono circa 1200. L’episodio acuisce i malumori e scatena reazioni violente da parte dei manifestanti in tutta la nazione. Gandhi si addossa le colpe della strage e ammette di aver commesso “un errore grande come l’Himalaya”, sospendendo la lotta.

Il Mahatma condanna anche la violenza inglese e si radicalizza sulle posizioni di Bal Gangadhar Tilak che, all’interno del Congresso Nazionale indiano, spinge per l’Home rule, l’autogoverno, rispetto a Gopal Krishna Gokhale che sosteneva una linea conciliante e riformista. L’obiettivo quindi diventa lo Swaraj, l’indipendenza completa: individuale, spirituale e politica. In questo senso lavora per lenire le frizioni fra musulmani e indù che non permettevano all’India di creare un fronte comune per combattere contro i colonizzatori inglesi. Nel 1920 decide di schierarsi a difesa del Califfato musulmano che rischiava di essere spazzato via dal governo britannico dopo aver perso la guerra al fianco della Germania, riesce anche a creare un’alleanza tra il partito del Congresso Nazionale Indiano, a maggioranza indù, e il Movimento Khalifat, a maggioranza musulmana.

In poco tempo diventa il leader del movimento anti coloniale indiano e nel 1921 viene eletto presidente del Partito del Congresso fissando come obiettivo lo swaraj da raggiungere attraverso:

  • La guerra all’intoccabilità;
  • Unità d’azione fra indù e musulmani;
  • Raggiungimento dello swaraj con ogni mezzo legittimo e pacifico;
  • Boicottaggio delle istituzioni giudiziarie e scolastiche con la dimissione dai posti governativi e il rigetto dei titoli e delle onoreficenze britanniche;
  • Boicottaggio dei prodotti stranieri;
  • Promozione dell’artigianato locale;

Sprona tutti gli indiani, sia ricchi che poveri, all’utilizzo del khadi, il vestito filato a mano con l’arcolaio a ruota (il charka), per boicottare le stoffe inglesi. La produzione casalinga della veste avrebbe permesso di combattere la povertà dovuta alla disoccupazione invernale dei contadini indiani permettendo di includere anche le donne nel movimento di indipendenza. Per dare l’esempio Gandhi fila ogni giorno, anche quando si trova all’estero, e va sempre in giro vestito di un dhoti bianco fatto in khadi che diventerà l’uniforme del Partito del Congresso indiano. Il khadi diventerà la stoffa ufficiale con cui fabbricare la bandiera del Paese, viene messo anche al centro della bandiera indiana nel 1931, per poi essere sostituito, nel 1947, dalla ruota della legge, l’ashoka chakra.

Nel 1921 in India è atteso Edoardo VIII, principe del Galles e futuro re, i manifestanti si riuniscono prima a Bombay e poi a Calcutta per bruciare pile di vestiti all’occidentale. Un solo episodio di violenza permise al Governo inglese di imprigionare più di 30 mila persone. Nel febbraio del 1922 nella città di Chauri Chaura nell’Uttar Pradesh: un corteo di manifestanti, provocati dalla polizia, reagiscono violentemente bruciando vivi 22 poliziotti. L’episodio rende vane tutte le trattative in corso, Gandhi profondamente amareggiato interrompe la campagna di disubbidienza e digiuna per cinque giorni, dopo pochi giorni viene arrestato, lui si dichiara colpevole e chiede il massimo della pena. Verrà condannato a sei anni nella prigione di Yeravda, ma dopo due viene liberato a seguito di un’operazione di appendicite.

In sua assenza il Congresso si divide, appaiono due fazioni: la prima, Swarajista, guidata da Chitta Ranjan Das e Motilal Nehru, favorevole alla partecipazione del partito agli organi legislativi indiani; la seconda, che vi si oppone, guidata da Chakravarti Rajagopalachari e Sardar Vallabhbhai Patel. Anche la cooperazione fra indù e musulmani, voluta fortemente da Gandhi, si disgrega in concomitanza con la disfatta del Movimento del Califfato.

Fra il 1922 e il 1928 il Mahatma si ritira in un momento di attesa e maturazione. In questi anni moltiplica il suo impegno contro la segregazione degli intoccabili, l’alcolismo, l’ignoranza e la povertà, nel 1926 fa un voto di silenzio per un anno, in quell’occasione darà forma alla sua autobiografia dal titolo ‘Storia dei miei esperimenti con la verità.

La marcia del sale

Nel 1928 ritorna in scena. L’anno precedente il governo britannico aveva nominato la Commissione Simon per la riforma della Costituzione, nella quale sedeva un solo indiano, la commissione viene boicottata da tutti i partiti indiani. Gandhi appoggia la risoluzione del congresso di Calcutta del dicembre 1928 che richiede al vicerè Lord Irwing di scegliere tra concedere all’India lo statuto di protettorato, dominion, o far fronte a una campagna di non violenza per ottenere l’indipendenza. Il governo britannico non concede lo statuto di protettorato e il Congresso indiano, diretto da Nehru, approva il documento che dichiara il Purna Swaraj, l’indipendenza completa. Il 31 dicembre 1929 viene issata a Lahore la bandiera indiana. Il 26 gennaio 1930 viene celebrato dal Partito del Congresso e dalla maggioranza delle organizzazioni indiane, come giorno dell’indipendenza dell’India.

Nel marzo dello stesso anno il governo britannico decide di alzare la tassa del sale e Gandhi decide di riprendere la satyagraha. L’obiettivo è sempre quello: aggirare in modo non violento le leggi ingiuste della Corona. Organizza una marcia che partita, il 12 marzo, dall’ashram Sabarmati di Ahmedabad lo condurrà sulle coste dell’Oceano indiano a Dandi, il 6 aprile 1930. Qui insieme ai suoi 78 compagni di viaggi con i quali era partito e le migliaia di manifestanti che si erano uniti lungo i 380 chilometri di cammino inizia a estrarre il sale dall’oceano in aperta violazione del monopolio reale, un gesto di disubbidienza che verrà imitato in tutto il Paese.

La marcia del sale ebbe un’eco mondiale, ma questo non impedì agli inglesi di reagire violentemente imprigionando più di 60 mila persone, fra le quali anche lo stesso Gandhi e molti esponenti del Congresso.

Il Mahatma in prigione però rischia di far salire tensioni in tutta l’India e così, nel 1931, viene nuovamente scarcerato e il vicerè Lord Irwin decide di trattare con lui. Dopo una serie di lunghi incontri arrivano al Patto di Delhi o il patto Irwin-Gandhi con cui gli inglesi si impegnano a liberare tutti i prigionieri politici, legittimare la raccolta del sale per uso casalingo delle popolazioni costiere e riconoscere il diritto degli indiani a boicottare i tessuti inglesi. Dal canto suo Gandhi si impegna a sospendere nuovamente la disobbedienza civile.

Gandhi visita l’Europa

Il patto di Delhi non piace a gran parte del Congresso, in particolare a Nehru che esprime le proprie perplessità sull’accordo. Il Partito del Congresso vuole una nuova costituzione indiana e Gandhi viene scelto come rappresentante per discuterne in una tavola rotonda organizzata a Londra. Soggiornerà per tre mesi in Europa, visitando Londra, Parigi e arrivando, attraverso la Svizzera, a Roma e a Brindisi dove poi si imbarcherà per Bombay. A Londra vorrebbe incontrare Churchill che però lo liquida descrivendolo come “un fachiro seminudo”, a Roma, dopo aver conosciuto Mussolini, chiede di incontrare il Papa, ma anche lui si nega, si dice, per due motivi: il primo ha sempre a che fare con il suo abbigliamento, troppo ‘scoperto’ per il pontefice; il secondo è più di natura diplomatica, Pio XI non vuole inimicarsi la Corona e il governo inglese. Anche a livello diplomatico Gandhi non riesce a raccogliere grandi risultati, nella Conferenza gli inglesi hanno centrato la discussione maggiormente sui principi indiani e sulle minoranza senza affrontare realmente il trasferimento dei poteri dall’impero britannico alle autorità indiane. Il suo più grande successo lo riscuote con le masse, i lavoratori inglesi, ma anche con intellettuali e personaggio dello spettacolo da Charlie Chaplin a Bernard Shaw passando per Romain Rolland e Tat’jana Tolstaja.

Intanto Lord Irwing ha lasciato il posto a Freeman Thomas, primo marchese di Willingdon, che inizia una nuova campagna di repressione contro i nazionalisti indiani. Nel Bengala, nel nord ovest e nelle provincie unite scoppiano disordini causati dalla mancata applicazione del patto Irwin-Gandhi e così quando, nel 1932, il Mahatma torna dalla conferenza chiede di incontrare il nuovo vicerè che di tutta risposta lo fa nuovamente imprigionare nelle carceri di Yeravda. La strategia però non paga, Gandhi inizia uno sciopero della fame per protestare contro il provvedimento del governo Mac Donald che istituisce elettorati separati per gli intoccabili. A questo scopo cede al rappresentante degli intoccabili B.R. Ambekdar più seggi di quanti gliene avessero concessi gli inglesi. Dopo sei giorni di digiuno, sul punto di morire, raggiunge un accordo e il governo britannico revoca il provvedimento. Nel 1933 fonda un quotidiano dal titolo ‘Harijan’ per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema degli intoccabili e nello stesso anno lascia il suo ashram per costruire un ‘villaggio di servizio’, un modello di comunità organizzato secondo i criteri del suo programma integrale.

Nel 1934 si ritira nuovamente dalla vita politica, d’ora in poi si occuperà più per una riforma spirituale dell’India più che per la sua indipendenza. Nonostante gli intenti per Londra rimane lui l’interlocutore principale col quale negoziare il passaggio dell’India a un nuovo regime politico. Tre anni dopo alle elezioni il Partito del Congresso indiano raccoglie il 70% delle preferenze, ma lo scarso risultato della lega musulmano acuisce nuovamente le tensioni fra indù e musulmani. Inizia a farsi strada l’idea della ‘Teoria delle due nazioni’.

Nel 1939 allo scoppio della seconda guerra mondiale Gandhi, senza consultarsi con il Partito del Congresso, offre un appoggio morale non violento allo sforzo bellico britannico. Una decisione che irrita i membri del Congresso che si dimettono in massa. A quel punto il Mahatma fa marcia indietro dichiarando che l’India non può partecipare a un conflitto per la democrazia quando la stessa democrazia è negata agli indiani. Il governo britannico non cede sul piano dell’indipendenza, ma al contrario agisce per creare una spaccatura tra induisti e musulmani all’interno del movimento politico indipendentista indiano.

Quit India!

Churchill preoccupato per i successi giapponesi nel sud est asiatico invia un ministro laburista, Cripps, per proporre di trasformare l’India, a guerra finita, in un’unione federale provvista di autogoverno. Gandhi rifiuta definendo la proposta “un assegno postdatato emesso da una banca prossima al fallimento” e il 13 aprile del 1942 scrive una risoluzione per richiedere al governo inglese di lasciare ll’India, inizia il movimento che prenderà il nome di: Quit India!

Di fronte al più grande movimento indipendentista indiano di tutti i tempi la Corona reagisce nel solito modo: con arresti di massa, repressioni e violenza. Sono migliaia i manifestanti uccisi, feriti o arrestati e fra quelli non mancano Gandhi e i dirigenti del Congresso che vengono presi a Bombay e rinchiusi il 9 aprile del 1942. Il padre dell’India verrà imprigionato per due anni nel palazzo dell’Aga Khan a Pune. Qui muoiono la moglie Kasturbai, per una crisi cardiaca in seguito a una polmonite non curata, e il suo fedele segretario Desai. Nel 1943 inizia un digiuno per 21 giorni per espiare le violenza commesse durante l’insurrezione indiana, il movimento Quit India si è rivelato un disastro. Gandhi viene rilasciato il 6 maggio del 1944, le sue condizioni di salute stanno peggiorando, è gravemente ammalato di dissenteria e di malaria e gli inglesi non vogliono che muoia in una delle loro prigioni.

Alla fine della guerra il nuovo primo ministro britannico Clement Attlee, succeduto a Churchill, annuncia che il potere verrà trasferito agli indiani, Gandhi annuncia la fine della lotta e circa 100 mila prigionieri politici vengono liberati. Una volta vinto il fronte esterno ora il Mahatma deve contrattare con Jinnah, il leader della Lega musulmana, che non vuole un’India laica e unita.

La liberazione dell’India e la nascita del Pakistan

Il 24 marzo del 1947 il Regno Unito nomina il suo ultimo vicerè: Lord Mountbatten con il difficile compito di preparare l’indipendenza indiana. L’Indian Indipendence Act entrerà in vigore nella notte fra il 14 e il 15 agosto del 1947 e suddividerà il subcontinente indiano in due: l’India e il Pakistan, la terra dei puri.

Con l’indipendenza però non si risolvono tutti i problemi. Il maharaja indù del Kashmir, al momento di scegliere se unirsi con l’India o con il Pakistan esita e il suo Stato viene invaso dalle tribù islamiche locali e da irregolari pakistani. Il maharaja opta successivamente per l’annessione all’India, malgrado la popolazione sia a maggioranza musulmana, aumentando le tensioni già presenti nel Paese. Si arriva così alla guerra indo-pakistana. Il governo indiano decide di sospendere la liquidazione imperiale al Pakistan per timore che le 550 milioni di rupie dovute potessero essere utilizzate per acquistare armamenti.

Il 13 gennaio 1948 all’età di 78 anni, Gandhi inizia il suo ultimo digiuno a Delhi per chiedere che il governo indiano continui a versare i soldi dovuti al neonato Stato del Pakistan e che l’India garantisca la libertà di credo. Di nuovo la sua tattica non violenta porta i suoi risultati, il governo indiano cede e paga la somma dovuta al Pakistan.

La morte del Mahatma

Sarà questa l’ultima battaglia combattuta dal Mahatma prima di essere ucciso il 30 gennaio del 1948, mentre si recava alla preghiera delle 17:00 nei giardini di Birla House, da un fondamentalista indù Nathuram Godse che riteneva Gandhi colpevole di aver protetto e aiutato i musulmani nelle divisione dell’India. Nel gennaio del 1949 Godse viene processato e condannato a morte, esecuzione che, nonostante l’opposizione dei familiari e sostenitori di Gandhi, viene eseguita una settimana dopo.

Ai funerali del padre dell’India parteciparono oltre due milioni di indiani, oltre a tantissime personalità, la salma venne trasportata su e giù per il Gange permettendo a coloro che stavano sulle sponde di rendergli omaggio. Le ceneri del padre dell’India furono ripartite fra 12 urne, di cui alcune vennero disperse nei maggiori fiumi del mondo: il Nilo, il Tamigi, il Volga e il Gange; altre nella congiunzione dei ‘tre mari’ del sud e dei tre fiumi sacri del nord, ma anche nel mar Arabico e lungo la costa sudafricana.

Neanche il tempo è riuscito a placare gli animi e nel 2019, in occasione del 150 esimo anniversario della nascita del Mahatma, uno sconosciuto è riuscito a introdursi nel suo memoriale a Bapu Bhawan per rubarne le ultime ceneri rimaste. E’ stato imbrattato anche un poster che lo ritraeva su cui è stato scritto: traditore. Molte statue che lo rappresentavano sono state profanate da chi, soprattutto nazionalisti indù e dalit, non si riconosceva nella sua politica di apertura verso le caste più basse, ancora oggi schiacciate dal sistema di privilegi vedico.

Satyagraha = sanscrito, forza della verità

Swadeshi = autosufficienza

Swaraj = autogoverno

Ahimsa = non violenza

Aparigraha = non possesso

Brahmacharya = castità, purezza delle aspirazioni e dei pensieri, autocontrollo del palato e autodisciplina

2020-01-22T09:42:43+01:00