hamburger menu

VIDEO | Roma, lo street artist Diavù: “Senza simboli le storie scompaiono”

Durante l'emergenza realizza workshop rivolti ai bambini

ROMA – “Quando sono tornato a vivere al Quadraro mi sono chiesto: ma dove sono tutte quelle storie mitiche che mi raccontavano quando ero bambino? Il problema non era il mio ricordo, ma che le storie scompaiono se non hanno dei simboli, e questo succede soprattutto nelle periferie, che sono la storia dimenticata del ‘900”.

David Vecchiato, in arte ‘Diavù’, uno dei massimi esponenti della street art italiana- non solo in qualità d’artista, ma anche come curatore e promotore culturale- ha le idee molto chiare sul ruolo che dovrebbe svolgere questa forma d’arte:

“Per me la street art doveva venire a colmare questo vuoto, per diventare il simbolo dei luoghi e delle persone che ci hanno vissuto”.

A dieci anni dalla nascita del progetto MURo (Museo Urbano di Roma) nel quartiere Quadraro di Roma, Diavù condivide con grande spontaneità i suoi ricordi, gli aneddoti e le riflessioni elaborate nella sua prolifica carriera artistica e curatoriale. Una lunga serie di progetti, di cui è stato protagonista e promotore, che hanno riemepito d’immagini e simboli i quartieri periferici della capitale e non solo. Dal ritratto di Sisto Quaranta, antifascista deportato nel rastrellamento del Quadraro del ’44, fino all’ultimo muro di Roma, il Grande Raccordo Anulare che, grazie al progetto GRAart del 2017, è stato ricoperto di opere che ripercorrono il mito e la storia di Roma, realizzate da artisti provenienti da varie parti del mondo. I suoi progetti infatti sono soprattutto collettivi, a sottolineare l’importanza della dinamica di gruppo, e guidati dalla stessa filosofia: “recuperare qualcosa di molto forte a livello di concetto e trasformarlo in simbolo”.

Ma al di là del suo percorso artistico personale, Diavù si sofferma soprattutto sulla sua concezione di ciò che è arte, sul valore politico e sociale dell’arte urbana, che si sta affermando sempre più come le nuova arte pubblica.

“Spesso le amministrazioni quando chiedono delle opere di arte urbana vogliono la decorazione, che non da fastidio a nessuno, non disturba nessuno- racconta- Con questo non voglio togliere niente a queste opere, ma la bellezza della decorazione si ferma agli occhi. Se invece riesci a creare un simbolo, puoi penetrare anche nelle coscienze, se hai delle motivazioni politiche”.

Infine, parlando della crisi che stiamo vivendo oggi, il pensiero di Diavù va soprattutto ai bambini:

“A differenza dei ragazzi del liceo, per cui si è ormai avviata la didattica a distanza- osserva- i bambini sono stati dimenticati, il loro coinvolgimento è stato lasciato alle iniziative spontanee delle maestre. Io ritengo che sia gravissimo, anche per questo mi sono dedicato a dei workshop rivolti ai bambini”.

Con la figlia più piccola sperimenta tutte le tecniche di street art, mentre la più grande li riprende perché, dice, “ora bisogna trovare il modo di fare questo, di fare gruppo, di fare qualcosa insieme”.

“Nel mio piccolo- conclude- sto cercando di scatenare nei bambini la voglia di fare qualcosa di bello una volta che potranno uscire, un modo per dirgli: quando usciamo, riempiamo la città di opere di street art”. 

2020-04-23T11:15:52+02:00