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Pillole di stile |Il fashion rental secondo la Generazione Z: poco autentico e reale

L'effetto "Greta" ha influenzato anche la moda

ROMA – L’unicità è il criterio principale di acquisto della Generazione Z (i nati tra il 1992 ed il 2012) e, secondo l’ultimo sondaggio Mintel del 2019, quest’ultimi sono molto più ben disposti ad acquistare un capo di seconda mano ma unico, magari vintage, ma non ad affittare capi a rendere sulle piattaforme online. Il motivo principale risiede nel processo di riuso che comporta lavare, consegnare e riportare indietro un capo affittato considerato non molto etico e soprattutto poco sostenibile rispetto ad altre opzioni di rivendita, quali per esempio la seconda mano.

L’effetto ‘Greta’ ha colpito la generazione Z sempre più attenta all’ambiente e alla sua tutela, senza tralasciare l’ingiustizia sociale poco tollerata dai giovani. Scelte di marketing incongruenti da parte di marchi noti quali per esempio ‘H&M’, che continua a produrre larghi volumi di vestiario nonostante abbia lanciato lo scorso anno il servizio di affitto, o come ‘Urban Outfitters’ sotto i riflettori per aver cancellato ordini già eseguiti durante il periodo Covid-19 e non aver pagato i propri lavoratori (soprattutto asiatici), non passano inosservati ai giovani Z, sempre più informati e intransigenti alle ingiustizie di qualsiasi tipo nel mondo.

Ulteriore fattore di svantaggio delle piattaforme di affitto online, quali per esempio ‘Urban Outfitters’, ‘Anthropologie’, ‘Free People’ e ‘Rent the Runway (per citarne sono alcune) sono l’obbligatorietà della sottoscrizione al servizio generalmente mensile e con pagamento con carta di credito che poco si addice ad un target ancora non finanziariamente autonomo perché molto giovane. Non a caso il sondaggio Mintel conferma che il 46% degli intervistati tra i 16 ed i 24 anni, appartenenti a Paesi diversi, non è interessato all’affitto di capi di abbigliamento, il 34% non ha mai affittato vestiti ma non esclude di farlo in un prossimo futuro e solo il 20% ha affittato un solo capo di vestiario in vita sua. La verità è che mentre il mercato del fashion si è concentrato negli ultimi anni sui giovani Millenials e sulle loro esigenze, nel frattempo un altro target si è fatto spazio ed è quello della generazione Z sempre più somigliante a quella del dopoguerra: attenta al riuso di capi unici e di qualità a prezzi vantaggiosi.

Il magazine Vogue Business, impegnato da sempre a divulgare le ultime tendenze nel campo della moda ha menzionato un’interessante trend inglese ed irlandese che potrebbe ben presto diffondersi a livello più ampio anche qui in Italia che è quello del ‘Peer-to-peer clothes swapping’, o meglio lo scambio di vestiti e accessori tra amici e nella comunità in cui si vive. A Dublino, la studentessa del Trinity College Aisling Byrne, ha lanciato lo scorso anno nel proprio campus un servizio di ‘Peer-to-peer clothes swapping riscuotendo un enorme successo, ora diventato nazionale, con un costo base di sottoscrizione di £6-35 pounds; una somma irrisoria comparata alle attuali sottoscrizioni di affitto online.

Il mondo del fashion deve prepararsi ancora una volta a cambiare e sperimentare nuovi modi di vendere e promuovere i propri prodotti senza scorciatoie e sotterfugi per riuscire a conservare le vecchie generazioni e soddisfare le esigenze delle nuove. Lo stile passa anche attraverso l’etica e l’autenticità e le giovani generazioni ne vogliono essere i più attivi sostenitori.

2020-07-11T11:05:42+02:00