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Scuola, in classe solo alunni fragili: i paradossi delle ordinanze regionali

Presidi, docenti e esperti contestano decisioni dei governatori: "Si creano disparità"

ROMA – Abruzzo, Lombardia, Puglia, Campania. Quattro regioni dove le ordinanze dei governatori hanno ristretto le maglie dell’ultimo Dpcm chiudendo di fatto le scuole, chi per tutti i gradi di istruzione, chi solo per alcuni. Unica eccezione al divieto di accedere alle aule è per i cosiddetti ‘alunni fragili’, a vario titolo portatori di disabilità o bisogni educativi speciali individuati d’accordo con le famiglie. Nell’ultima ordinanza del governatore della Campania, Vincenzo De Luca, viene specificato che l’attività didattica in presenza è consentita solo per lo svolgimento delle attività destinate agli alunni affetti da disturbi dello spettro autistico e ai diversamente abili “il cui svolgimento in presenza è consentito previa valutazione, da parte dell’istituto scolastico e delle specifiche condizioni di contesto”.

Un modo per aiutare le famiglie e non lasciare indietro nessuno ma allo stesso tempo per alcuni presidi il rischio è di creare una situazione paradossale: soli in classe, gli alunni fragili perdono il contatto con il gruppo. Invece di promuovere l’inclusione si rischia così di isolare. “La scuola deve garantire uguaglianza- sottolinea la dirigente scolastica dell’istituto superiore ‘Cartesio’ di Cinisello Balsamo (Milano)– La distinzione di trattamento degli alunni fragili – come previsto dall’ordinanza regionale della Lombardia del 27 ottobre – rischia di creare disparità sociali tra gli alunni, evidenziando chi ha problemi e chi no e difficoltà ai docenti perché non è facile gestire contemporaneamente due didattiche completamente diverse come quella a distanza e quella in presenza”. A farne le spese, secondo la dirigente, è la qualità della didattica.

“Certo che la didattica individualizzata sarebbe l’optimum, ma i docenti non hanno abbastanza ore e io, tuttora, non ho abbastanza docenti”. “Se tutti gli studenti staranno a casa per un lungo periodo di tempo ci dovremo confrontare con una doppia criticità. La prima riguarda l’inclusione. Alunni con bisogni speciali hanno necessità della presenza dei compagni per potersi integrare. Ogni strategia di inclusione può essere praticata solo nella relazione. La seconda criticità riguarda perlopiù gli istituti tecnici e professionali dove la dimensione laboratoriale della didattica è prevalente. Uno studente di alberghiero non impara a fare il cuoco guardando la televisione. Allora, la didattica digitale va bene ma può funzionare solo se integrata”, ha spiegato Antonello Giannelli, presidente dell’Anp, l’Associazione nazionale dei presidi.

La scuola ghetto è un “rischio reale. Per questo ho investito il Gruppo di lavoro per l’inclusione del compito di analizzare a uno a uno i singoli casi e proporre ai genitori le loro considerazioni sulla positività della presenza a scuola del figlio e confrontarsi eventualmente col medico. Il tutto sentito anche il parere del Consiglio di classe”, ha detto Franco Tornaghi, preside dell’istituto ‘Maxwell’ di Milano.

“È un provvedimento che non ha senso, non è inclusivo né efficace- ha sottolineato Olga Cirillo, docente del liceo ‘Flacco’ di Portici (Napoli) commentando l’ordinanza di De Luca– Non vedo il rischio di ghettizzazione perché il provvedimento non avrà il tempo di radicarsi nella pratica didattica, lascerà semmai il tempo che trova. Io penso che se la scuola avesse dovuto reagire veramente, avrebbe dovuto farlo rinunciando al concetto di classe” differenziando “docenti che seguono solo la Dad e docenti che seguono gli studenti in presenza” perché “sono didattiche che richiedono metodologie completamente diverse”.

Roberto Castaldo, docente dell’istituto ‘Europa’ di Pomigliano d’Arco (Napoli), ha aggiunto: “Credo che questo provvedimento sia il ripiego del ripiego”, dove il primo ripiego è la Dad stessa. “Il principio dell’inclusione è sacrosanto. In una situazione normale una decisione simile sarebbe da rivoluzione” ma “in questo periodo in cui la coperta, comunque la tiri, è corta, io penso che sia un tentativo, per quanto rozzo, di fare attività con ragazzi che se rimanessero a casa rischieremmo di perdere di nuovo. Seppure terribile esasperazione delle differenze, forse è il male minore”. Ad ogni modo “bisogna valutare da caso a caso”.

“Il problema che abbiamo attualmente, e che tutte le famiglie vivono, sono i dubbi legati all’apertura o alla chiusura delle scuole– ha sottolineato Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta dell’età evolutivaNon si tratta di palestre ma di luoghi dove arrivano 8 milioni di famiglie, che significa 16 milioni di persone che lavorano e che hanno difficoltà a farlo se bambini e ragazzi sono a casa. L’altro problema sono i docenti, che sono disorientati dalle diverse indicazioni regionali, e gli studenti, che sono la parte vulnerabile in questa situazione. Sicuramente una chiarezza di espressione e di decisioni condivise aiuterebbe tutti noi che siamo a contatto con bambini e ragazzi a spiegare quello che accade. Ci sono due aspetti fondamentali da evidenziare: il primo riguarda le ordinanze regionali che lasciano tutti gli studenti a casa tranne i soggetti della legge 104, legge che prevede il supporto per un progetto di inclusione, che sono del tutto incongrue. Un progetto di inclusione che preveda solo la loro presenza nelle aule è paradossale. Da classi speciali passiamo a scuole speciali. Il secondo aspetto riguarda la motivazione per cui viene chiusa una scuola. Non può essere trattata come una Rsa per anziani dove se fossero stati più protetti avremmo avuto giovamento tutti, ma questa pericolosità non la si può addebitare alla scuola. Se un governatore vuole chiudere la scuola deve spiegare perché, chi si tutela? Non certo i ragazzi. Se la motivazione è che sui trasporti si possono prendere il Covid bisogna dirlo, difficile da accettare ma comprensibile. Certo bisogna smetterla di dire bugie ai ragazzi e farli passare come untori dandogli una responsabilità che non è la loro”.

2020-11-02T13:01:04+01:00