MILANO – “La scuola è la più grande palestra di democrazia a nostra disposizione, motivo per cui è fondamentale lavorare sull’educazione come bene comune”. Con queste parole Elena Taverna, responsabile della comunicazione presso ‘Labsus, il Laboratorio per la sussidiarietà’, introduce un tema attuale e complesso, quello dei beni comuni. “Quando si parla di beni comuni ci si riferisce a quei beni, materiali o materiali, la cui cura condivisa realizza, come diceva Stefano Rodotà, delle utilità funzionali all’esercizio delle libertà fondamentali. Forse una definizione di più immediata ricezione del termine- ha aggiunto Taverna– è quella di Labsus: i beni comuni sono quei beni che, se arricchiti, arricchiscono tutti, se danneggiati, danneggiano la comunità nel suo complesso”.
Associare il concetto di bene comune a quello di scuola è un passaggio quasi scontato se si pensa che la scuola è spazio di comunità per eccellenza, nonché luogo primario di formazione e sviluppo di tutte quelle utilità funzionali cui pensava Rodotà, come ricordato da Taverna. Motivo per cui è importante che ‘l’esperienza scuola’ non resti circoscritta e “non si esaurisca all’interno delle mura dell’edificio scolastico”.
Se immaginare la scuola ‘aperta’ risulta difficile, a volte burocraticamente complesso, potrà allora aiutare conoscere lo strumento dei ‘patti di collaborazione’. Insieme ai ‘Regolamenti di amministrazione condivisa’, i patti sono uno dei prodotti ‘Labsus’ più noti e studiati in Italia. Nei Comuni che hanno adottato il Regolamento – attualmente sono 236 – associazioni, privati cittadini, ma anche commercianti (in generale qualsiasi ente interessato alla cura) può sottoscrivere un patto con l’amministrazione comunale per la gestione di un bene comune. Uno strumento, quello dei patti, in grado di rendere concreto un principio astratto della nostra Costituzione, la sussidiarietà orizzontale, e di articolare il rapporto tra pubblico e privato in termini di collaborazione e non di contrapposizione. I patti si concretizzano nel territorio adattandosi alle esigenze particolari di gestione e amministrazione e spesso riescono a snellire la complessità di una burocrazia ingombrante. Non esiste poi, “un elenco fatto e finito di beni comuni. Piuttosto, i beni comuni vanno intesi come il risultato di un processo, che inizia con il riconoscimento di un bene come bene comune e prosegue con un’azione collettiva, di cura e rigenerazione”.
A Milano è poi attiva anche una piattaforma digitale, Oppidoo, attraverso la quale è possibile candidare idee di rigenerazione e cura di alcuni spazi aperti. “La piattaforma può essere adottata da qualsiasi amministrazione per facilitare l’iniziativa dei cittadini che vogliono proporre un patto. È utile anche perché aumenta la trasparenza dell’iter di approvazione di un patto”. Come anticipato, qualsiasi entità interessata alla cura del bene comune può sottoscrivere un patto, anche una scuola. “Si tratta di una grandissima opportunità per le scuole, sia per quanto riguarda gli spazi interni che per gli spazi esterni. I patti sono un dispositivo utilissimo all’attivazione di tutti quei soggetti diversi che vanno poi a comporre la comunità educante e rappresentano un ottimo strumento attraverso cui sviluppare delle vere e proprie competenze di cittadinanza”.