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Venezia 78. Centoundici, il corto sulla ripartenza con Adriano Occulto de Il Collegio

Nel cast anche Cristiana Capotondi, Giorgio Colangeli e Alessio Boni

Non avere sogni grandiosi è l’unica cosa che ci può fermare”. Ed è Centoundici. Donne e uomini per un sogno grandioso, ideato e promosso da Confindustria, a mostrarcelo nel cortometraggio diretto da Luca Lucini. Diciassette minuti intrisi di storia, di speranza, di coraggio, di scelte e di voglia di vivere. Ma anche guardare avanti sull’impresa di fare cinema, il futuro dei giovani e la volontà di riaccendere la nostra macchina dei sogni. Presentato alla 78esima Mostra del Cinema di Venezia, all’interno della sezione Venice Production Brigde (dedicata ai professionisti dell’industria cinematografica). Ad incarnare tutto questo un cast d’eccezione composto da Cristiana Capotondi, Giorgio Colangeli, Alessio Boni e Adriano Occulto.

Centoundici non è solo il titolo del corto ma anche anche gli anni della Confederazione generale dell’industria italiana e il numero delle persone che hanno lavorato a questo film di 17 minuti.  “Questo corto racconta la storia dell’Italia, dei nostri papà e dei nostri nonni. Attraverso questo film volevamo raccontare i sentimenti in relazione a quello che stiamo vivendo in questo momento e parlare della filiera, delle persone che lavorano ‘dietro le quinte’ che hanno sofferto la pandemia“, ha detto Carlo Bonomi, presidente di Confindustria. Credo che abbiamo raggiunto l’obiettivo di parlare di chi non si vede, abbiamo contribuito nel nostro piccolo a 111 famiglie e ribadito l’importanza della filiera della cultura che è un’eccellenza nel mondo. Se pensiamo alla cultura come il petrolio d’Italia sta a noi metterlo a reddito. Il film – ha proseguito Bonomi- è un omaggio e un sostegno all’intera filiera della produzione cinematografica e audiovisiva italiana e di tutta l’industria culturale: un pezzo fondamentale della nostra industria culturale, che occupa circa 690mila persone e che è stata colpita pesantemente dal Covid e dalle restrizioni sanitarie. E che ha trovato solo tardivo e parzialissimo ristoro rispetto a lavoro perso e redditi azzerati“. Bonomi ha poi concluso: “In questo momento occorre essere un po’ meno politici e un po’ più statisti, bisogna guardare al futuro e non al presente. Non avere sogni grandiosi è l’unica cosa che ci può fermare, è necessario che questo  Paese torni a sognare”.

CENTOUNDICI, LA STORIA

Il cortometraggio, prodotto da Maremosso e realizzato in collaborazione con Adverteam e Next Group, presenta al pubblico uno spaccato di vita vera dei nostri giorni, alternati da ‘riavvolgimenti’ riferiti al passato. Chiara (interpretata da Cristiana Capotondi) è una giovane professoressa di storia, insegna alle superiori ed è innamorata del suo lavoro. La pandemia ha significato per Chiara doversi confrontare con un modo completamente nuovo di fare il proprio lavoro: la didattica a distanza. Gli manca l’aula, il rapporto con i colleghi, il contatto con gli studenti perché – come sottolinea nel film – “una persona insegna anche guardando i ragazzi negli occhi”. Chiara è il simbolo dell’umanità di questa pandemia. E rappresenta molto bene il tema delle donne con il riferimento a Teresa Mattei, la più giovane madre della Costituente, nelle sue battaglie per l’uguaglianza dei diritti e, in particolare, dei diritti delle donne.

Alberto (interpretato da Giorgio Colangeli) è un pacato signore di ragguardevole età. L’incontro con Chiara avviene in un centro vaccinale ospitato da una grande azienda. È un’azienda italiana che ha saputo resistere nel tempo, rinnovandosi. Sono cambiati i processi produttivi e le tecnologie sono 4.0. E oggi in azienda c’è perfino un museo. Il dialogo tra Chiara e Alberto fa emergere assonanze e coincidenze: la capacità delle imprese di essere motore di ripartenza, oggi con la campagna vaccinale così come nel Dopoguerra, la loro vocazione a innovare, la capacità di fare quello c’è da fareperché le cose si possono cambiare se si vuole e se si lavora tutti insieme”. Alberto l’ha imparato, da giovanissimo, in fabbrica. E così ricorda quel suo primo giorno di lavoro “bellissimo”, quando dalla campagna è arrivato in città, proprio in quella stessa azienda che oggi ospita il centro vaccinale. La guarda con l’orgoglio di chi ne ha fatto parte, riconoscendo l’utilità del progresso e scommettendo che guardando avanti, senza rimanere ancorati a metodi e processi appartenenti al passato, si può vincere.

Era il 1955, l’ultimo anno di Luigi Einaudi Presidente della Repubblica Italiana. Un flashback accompagna il pubblico indietro nel tempo: qui vediamo un giovane Alberto (interpretato da Adriano Occulto), intento a fare delle consegne in azienda e a un tratto fermarsi dietro alla porta del Direttore Rota (interpretato da Alessio Boni). Il capoazienda è impegnato con due collaboratori. La discussione è animata. C’è un problema di materie prime. Il rame è fermo alla frontiera e la produzione non si può fermare. “Ma  neanche le bombe ci hanno mai fermato”, tuona Rota nel film. È un riferimento alla responsabilità, al coraggio, alla tenacia dell’imprenditore di “fare quello che c’è da fare” e di non fermarsi di fronte agli ostacoli, di guardare alla risoluzione dei problemi, di investire sulle nuove generazioni. In questo contesto risuona nel film il discorso di Einaudi: “Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritrarre spesso utili che potrebbero sicuramente e comodamente ottenere con altri impieghi”.

Così la memoria va a uno dei momenti più difficili della recente storia d’Italia, la seconda metà degli anni Quaranta, quando, di fronte a un paese distrutto dalla guerra, furono proprio gli attori sociali, la Confindustria e i sindacati a concordare un impegno comune: la ripresa delle attività e del lavoro. Va alle donne che, quando tutti gli uomini erano al fronte, hanno portato avanti le fabbriche negli uffici ma anche al tornio, alla catena di montaggio. Va al piano Marshall e all’analogia con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza oggi. E va a quello straordinario fermento di idee e alla voglia dilagante di cambiare per costruire insieme un futuro migliore, di sicurezza, di benessere e di pace. Alberto è dunque il simbolo dell’Italia che ha risposto al disastro della guerra mondiale con il lavoro. Lavoro che è attaccamento all’azienda, che è l’emozione di entrare in fabbrica, che è il desiderio di far parte di un mondo nuovo. La speranza di un sogno grandioso per che è il desiderio di far parte di un mondo nuovo.

La speranza di un sogno grandioso per il futuro – quello dei giovani di ieri e della nostra generazione Covid – che ritroviamo nel volto entusiasta e trasognato di Adriano Occulto. Un’immagine iconica che diventa, per questo, la locandina del film. Il filo rosso tra il passato e il presente di Alberto permette di guardare oltre la pandemia con fiducia come si fa con un nuovo inizio che fa eco a quello che tutti noi stiamo vivendo. Perché le grandi crisi portano con sé anche grandi opportunità: è l’insegnamento della storia. Bisogna però farsi trovare pronti per restituire fiducia ai giovani e costruire un futuro migliore.

Avevo molta ansia perché raccontare un momento storico così importante che tutti ricorderemo come punto di svolta nel mondo, però da regista raccontare alla gente di un periodo storico così importante è il massimo dell’ambizione. Siamo riusciti a farlo grazie al lavoro degli autori, la collaborazione degli storici e l’adesione degli attori“, ha detto Luca Lucini.

CENTOUNDICI, ADRIANO OCCULTO PORTA SULLO SCHERMO IL FUTURO DEI GIOVANI

È la prima volta che vengo qui alla Mostra del Cinema di Venezia, quindi sono emozionatissimo, ha detto Adriano Occulto.Il mio personaggio non ha battute, quindi l’ho preparato concentrandomi sugli sguardi e sulle sue emozioni. Quindi ho cercato di trasmettere un’emozione reale attraverso i movimenti, non è stato facile ma nemmeno difficile. Quell’emozione che io ho visto sullo schermo – ha proseguito –è la stessa che provavo quando a 15 anni andavo a cercare lavoro nelle fabbriche ed è la stessa dei miei amici quando un datore di lavoro gli fa un contratto di 2 o 3 mesi. Quell’emozione che avete visto nel corto è realmente la mia. Quella di un ragazzo che è felice di andare a lavorare“.

CENTOUNDICI, TUTTI ABBIAMO BISOGNO DELLA CULTURA (E DI RIPARTIRE)

L’arte fa tante cose. In pandemia abbiamo capito quanto abbiamo bisogno di cultura, ha detto Cristiana Capotondi. “Chi fa il nostro mestiere ha a che fare con delle famiglie che si creano durante le riprese. Queste famiglie sono fatte di tante storie diverse. Durante la lavorazione di un film succedevano tante cose: ci si sposava, nascevano bambini. Questo senso di comunità e di famiglia che appartiene a chi fa il nostro lavoro fa sentire l’esigenza di dimostrare solidarietà a chi in questo momento – ha proseguito – ha sulle spalle la disperazione del periodo che stiamo vivendo, come chi lavora nello spettacolo dal vivo che non è ancora ripartito“. Alla presentazione nella Sala degli Stucchi dell’Hotel Excelsior anche Giorgio Colangeli: “Se il nostro comparto non produce cultura, soffrono sia i lavoratori ma anche chi non può usufruire di quell’opera. C’è una scena in ‘Ladri di biciclette’ in cui il protagonista e suo figlio, durante la ricerca disperata della bicicletta rubata, vanno in trattoria. L’unico momento in cui sorridono. Questo dimostra che stare insieme agli altri crea sollievo, si ha una sospensione della sofferenza. E anche l’intrattenimento ha questo valore”.

Nei titoli di testa vediamo le interviste a tutte le figure che hanno lavorato al cortometraggio, dal microfonista alla truccatrice e fino al responsabile Covid, che raccontano il loro lavoro e le sfide di quest’anno e mezzo di pandemia. “Spesso nei backstage si sente parlare i caporeparti, invece qui abbiamo voluto dar voce a tutte le maestranze“, ha aggiunto l’attrice. 

CENTOUNDICI, IL TRAILER

2021-09-11T13:18:32+02:00