di Antonella Salini
Alcuni pianeti sono ricoperti di lava, altri sono fatti tutti di acqua, ce ne sono di minuscoli e di enormi, alcuni hanno periodi orbitali molto lunghi e altri brevissimi: la varietà dei pianeti fuori dal Sistema solare è sorprendente. Ne sono stati censiti quasi cinquemila, tutti da studiare: orbitano intorno a una stella, come fa la nostra Terra con il Sole, ma ognuno a modo suo. Tutto ciò era inimmaginabile quando, a Firenze, il 6 ottobre del 1995 il fisico svizzero Michel Mayor annunciò di aver scovato il primo pianeta extrasolare. Per quella scoperta gli è stato conferito il premio Nobel per la Fisica nel 2019, insieme a Didier Queloz e James Peebles. Lo abbiamo incontrato a Roma, nella sede dell’Istituto nazionale di Astrofisica (Inaf).
“Eravamo molto sicuri della qualità delle misure, credevamo di aver eliminato tutte le possibilità alternative, quindi ne eravamo veramente certi. Ma c’erano stati così tanti casi di falsi rilevamenti, in passato… Ho presentato i risultati a Firenze, c’erano almeno 300 astronomi in sala. C’era chi non ci credeva, chi contestava. Ma è così, è la scienza che funziona così”.
LE MISSIONI E GLI STRUMENTI PER TROVARE E CARATTERIZZARE GLI ESOPIANETI
Oggi la ricerca di pianeti che orbitano intorno a una stella fuori dal Sistema Solare avviene in maniera massiccia. Sono tanti gli strumenti tecnologici, avanzatissimi, che vengono impiegati per questo scopo. Una ricerca in cui l’Italia è in prima linea. Con il supporto dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) il nostro Paese partecipa alle missioni internazionali Cheops, Ariel e Plato, satelliti dedicati alla caratterizzazione dei pianeti e delle loro atmosfere. Non solo. L’Inaf è impegnato nel Telescopio nazionale Galileo, installato alle isole Canarie. Galileo può contare su strumenti particolarmente sofisticati: lo spettrografo ottico HARPS-N (High Accuracy Radial velocity Planet Searcher for the Northern hemisphere) e lo spettrografo infrarosso GIANO-B.
Sul Very Large Telescope dell’Eso, in Cile, sono installati gli strumenti SPHERE (Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet REsearch instrument), dedicato alla scoperta e cattura di immagini di esopianeti giganti attorno a stelle giovani a noi vicine, ed ESPRESSO (Echelle SPectrograph for Rocky Exoplanet and Stable Spectroscopic Observations), che permette di rilevare e caratterizzare pianeti di massa terrestre nella zona abitabile di stelle di tipo solare. Infine, dal 2013 in orbita c’è Gaia, satellite dell’Agenzia spaziale europea (Esa), dedicato a realizzare la mappa più precisa di sempre della Via Lattea. A fine missione, Gaia produrrà un catalogo contenente decine di migliaia di nuovi esopianeti.
LA ‘NUOVA’ TERRA
Tra questi, il presidente dell’Inaf Marco Tavani, è certo che troveremo anche ‘una nuova Terra’.
“Ci contiamo veramente. Gli avanzamenti tecnici il miglioramento dei telescopi, tutta l’elettronica alla fine portano a un grande avanzamento. è un po’ quello che avremmo potuto pensare quando il professor Mayor ha scoperto il primo pianeta alla fine di un lungo percorso di tentativi e di prove: sapevamo che prima o poi ci saremmo riusciti e poi è stato così. Oggi abbiamo migliaia di pianeti ma ancora non abbiamo trovato pianeti simili alla Terra, con atmosfera simile. Dobbiamo trovare l’ago nel pagliaio“. Per farlo serviranno strumenti molto potenti, come il telescopio E-Elt.
Sarà possibile “con E-Elt,che ha uno specchio di 39 metri. Avrà una raccolta di luce enorme e potrà vedere anche pianetini piccolissimi e caratterizzarli individuando firme inequivocabili delle molecole. è una battaglia, ci sono molti gruppi che concorrono per lo stesso risultato. La battaglia ‘amichevole’ è tra Europa e Stati Uniti e anche tra gli europei ogni Paese cerca di guadagnarsi una parte. L’Inaf è molto coinvolto nelle ricerche esoplanetarie e con il ministro Messa ne abbiamo parlato: io ho insistito molto e lei ha perfettamente capito l’importanza del programma futuro per la caratterizzazione delle atmosfere degli esopianeti con E-Elt: vogliamo che l’Italia giochi un ruolo di leadership”.
La ‘nuova Terra’ è un obiettivo ambizioso, ma va chiarito che sarà impensabile trasferirsi lì. Ovunque sia, sarà di certo troppo lontana per essere raggiunta da un’astronave. Ma va cercata. Mayor, che, per inciso, non crede affatto neanche alla possibilità della migrazione terrestre verso Marte, descrive questa ricerca come simile a quella di un archeologo: c’è chi scava in ogni parte del mondo per trovare tracce della nostra evoluzione, e chi cerca frammenti della nostra storia nell’Universo.