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LA LEGGE non È UGUALE PER TUTTI

Il progetto dell’IIS ‘Luigi Savoia’ – Chieti, per il contest ‘Percorsi di legalità’

Il progetto dell’IIS ‘Luigi Savoia’ – Chieti per il contest ‘Percorsi di legalità’.


DESCRIZIONE: testo narrativo ispirato all’ art. 3 della Costituzione italiana, Principio uguaglianza.

Di Cialone Gabriele, Lamonaca Lorenzo, Teodori Micahel, classe VC LS.


“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”, così il mio avvocato ed io abbiamo esclamato dinnanzi al Giudice… ma ora sto correndo troppo …Mi presento: mi chiamo Giuseppe Mucci e vi racconterò un’amara e dolorosa disavventura, sopravvenuta nella mia vita. Tutto cominciò quando il mio primogenito, Angelo, terminato il suo percorso di studi di Giurisprudenza, conclusosi brillantemente con l’ambito e prodigioso “Bacio Accademico”, partecipò ad un concorso a numero chiuso per un posto di lavoro come Avvocato, presso una nota industria automobilistica. Non mi vergogno a dire che la mia famiglia non ha mai fatto parte di elevati ranghi sociali, dato che mia moglie ed io non abbiamo avuto la possibilità di aspirare ad occupare cariche politiche o impieghi di maggiore prestigio e rilevanza rispetto a quelli da noi ricoperti attualmente. Come vi ho precedentemente detto, mio figlio, conseguita la laurea con il massimo dei voti, partecipò ad un concorso, classificandosi “primo ex-aequo” con un altro “aspirante Avvocato”, al quale però sarebbe stato assegnato il posto di lavoro presso la nota industria automobilistica, “OBR&H”, avendo pagato una tangente e superato in tal modo la laurea con lode del mio primogenito. Tutto ciò mi fu riferito da un generoso segretario di questa importante multinazionale, che era stato testimone dell’atto di corruzione da parte dell’altro candidato. Non avendo ingenti somme di denaro a disposizione, fui costretto a chiedere un prestito, che avrei dovuto rimborsare entro e non oltre 365 giorni. Mi recai, dunque, nella sede della società, dove mi indicarono il soggetto che avrei dovuto corrompere: uno dei giudici del concorso. Sfortunatamente, la Guardia di Finanza, da diversi mesi teneva sotto controllo la grande società per altri illeciti e, quindi, venni individuato per mezzo delle intercettazioni. Gli inquirenti mi sorpresero a casa, alle quattro del mattino e mi prelevarono per condurmi in caserma, dove fui interrogato e accusato di corruzione. Non battei ciglio, poiché ero consapevole di stare in torto, ma solo in quel momento mi resi conto della gravità del mio gesto. Proprio io, che ogni volta che sentivo parlare di corruzione, tangenti ed estorsioni, rabbrividivo; proprio io, che avevo sempre sostenuto che corrompere una persona fosse un atto di vigliaccheria e meschinità. In seguito all’interrogatorio, fui ritenuto colpevole, anche perché mi fecero ascoltare le intercettazioni delle mie chiamate, in cui era impressa la mia voce e mi fecero guardare le immagini che mi incriminavano, nel momento in cui mi apprestavo a consegnare al corrotto la squallida mazzetta. Fui costretto a farmi difendere da un avvocato d’ufficio in Tribunale e Corte d’Appello, non avendo a disposizione denaro per nominarne, personalmente, uno di fiducia. Anche un avvocato di fama non avrebbe potuto salvarmi dal quel baratro in cui mi ero indotto, poiché “tutte le prove a disposizione contro di me erano schiaccianti”: così mi venne ripetuto più volte dall’ Ispettore di Polizia. La mia testa era sconvolta da tutto quello che stava accadendo e che era scaturito dal mio comportamento immaturo, disonesto e incosciente. La mia famiglia fu costretta a vendere casa, per risanare i debiti da me contratti. In seguito all’interrogatorio, fui condotto in carcere. Dopo alcuni giorni, il mio avvocato mi consegnò una lettera che mi era stata spedita dalla mia figlia più piccola, Angelica, nella quale mi aveva scritto: “Sai papà, i clochard che vivono a fianco a noi, ci hanno detto che sposteranno la seggiola per farci posto… Che bravi, vero papà?!” In quel momento avrei voluto scomparire… scomparire nel nulla, nella dimenticanza.
L’avvocato mi invita ad esporre la mia versione dei fatti.
Il giudice aveva poco prima esordito, chiamandomi in causa e dicendomi: “Lei, Signor Giuseppe Mucci, è accusato di tentata corruzione ed è condannato per tale reato ad anni 3 di reclusione…” Mi sento trascinato lentamente in un baratro di follia e disperazione, tali da non riuscire più a sentire le parole pronunciate dal Giudice, che legge la sentenza del processo, nel quale, però, ironia della sorte, l’unico imputato sono solo io. Il padre dell’altro ragazzo, invece, non è stato identificato nemmeno come possibile indiziato per partecipazione alla corruzione, grazie alle imponenti ombre alle sue spalle, nonostante l’articolo 3 reciti: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”. Detto ciò vi aspettereste che l’Italia sia la patria dell’uguaglianza sociale fra tutti gli individui che ne fanno parte. Invece, nel mio caso, solo io sono stato punito, mentre al padre dell’altro concorrente al posto di lavoro come avvocato nella nota industria automobilistica, non è stata inflitta alcuna pena, grazie alle proprie, importanti “entrature sociali”. Questo non è giusto, come ho pagato e dovrò pagare io, per il mio comportamento illecito, così dovrebbe scontare la pena anche lui e, se veramente la Legge fosse uguale per tutti, anche lui avrebbe dovuto essere qui con me ad ascoltare le parole che iniziano a pesare come un macigno sulla mia coscienza e le accuse pronunciate dal Giudice in un lungo discorso, che ha avuto, purtroppo, un inizio e sembra non aver mai fine. Invece sono solamente io a sopportare il peso di questa giusta condanna. Mio figlio non vuole più saperne nulla di me, amareggiato dal fatto che il padre gli abbia infranto tutti i sogni in cui aveva tanto creduto e per i quali aveva dedicato buona parte della sua vita. Sto pensando che oramai il luogo più adatto a me sia proprio quella cella sporca, buia e lugubre, che però avrebbe dovuto condividere con me “il protetto”.

2017-10-30T14:20:18+01:00