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Quelle mele galeotte…

Noelia Ragusa Liceo classico G. Carducci - Comiso (RG)

(Amor vincit omnia)

Aveva appena finito di scolarsi quei tre bicchieri di Whiskey in quel baraccio di periferia “Blue Moon”, Jeff, venticinque anni, originario di Brooklyn. Stava lì, poggiato con i gomiti sul bancone del bar a stropicciarsi gli occhi e stringersi le tempie, a piangersi addosso e rimproverarsi di aver rovinato così stupidamente quello che per tutto il corso di quell’ultimo anno aveva cercato di costruire. Jeff aveva avuto una vita del tutto normale, non era nemmeno diplomato; aveva frequentato le scuole medie ed aveva superato gli esami a malapena, non era stato giocatore di football, né il secchione di turno, né rappresentante, né cocco di professori né niente di niente. Era stato un ragazzo con la testa sulle spalle, che lottava sempre per ottenere ciò che voleva, che si rimboccava le maniche per sé e per gli altri, ma non era proprio portato per lo studio. Intorno ai ventidue anni aveva iniziato a lavorare in uno squallido fast-food di periferia per potersi comprare quella macchina che tanto desiderava e buttare finalmente via quel catorcio di motorino che lo aveva accompagnato sin dal primo giorno di patentino. Non viveva più con i suoi, anzi non era più tornato a Brooklyn da quando era scappato di casa, aveva mantenuto pochi ma buoni amici i quali andavano da lui ogni due week end sempre ben accetti, a patto però, che dormissero in hotel perché Jeff poteva a stento mantenersi un misero appartamentino in periferia, atto solo ad accogliere una cucina, un bagno e una camera da letto: niente spazio per uno studio, niente spazio per una stanza dedicata a piccoli svaghi. Ma, il problema stava lì, il suo svago, il suo sollievo lo trovava in una bottiglia di Whiskey che si riprometteva di non comprare più ogni volta che aveva tra le mani la paga mensile, ma che, puntualmente, come un rito, andava ad acciuffare nello scaffale della bottega sotto casa sua. Certo ad Anthony, il cassiere, facevano comodo quei 25$ settimanali, non contestava mai le spese di Jeff, che provava un fatuo senso di pentimento ogni qual volta poggiava quella stupida bottiglia sul bancone, rimorso che dimenticava subito quando arrivava a casa e bicchiere dopo bicchiere scolava il suo RED LABEL fino all’ultima goccia.

Fu in quella sconcia e disastrata bottega che conobbe Isabella: un pomeriggio di pioggia era andato lì per la sua consueta e stupida spesa, ma non sapeva che lì dentro avrebbe trovato la causa di tanta felicità ed orgoglio e che, però, da lì a poco, avrebbe buttato al vento. Isabella stava al reparto ortofrutticolo a selezionare e scrutare la frutta; era sua abitudine guardare e riguardare, controllare e ricontrollare ogni singolo prodotto prima di metterlo in busta, voleva essere sicura di prendere i pezzi giusti, stava lì quel giorno e Jeff, entrando dalla porta, buttò subito gli occhi su di lei. Bellissima, delicata, elegante, con quei suoi gesti armoniosi l’aveva catturato, lo teneva già in pugno, e l’avrebbe fatto per il resto della sua vita, se solo lui non fosse stato così incosciente -Quella mela sarà marcia entro due giorni – sussurrò lei volgendo leggermente il mento verso Jeff e guardandolo dalle bionde ciglia colorate di nero. – Non penso vorresti spendere quei cent per una mela che non mangerai. A meno che tu non voglia consumarla entro domattina. – Jeff non rispose, non sapeva cosa dirle, nella sua mente calò il vuoto; non trovò parola che potesse essere all’altezza della melodiosa voce di quella splendida creatura al suo fianco. – Già … – Jeff posò la mela, sorrise, acciuffò la bottiglia di Whiskey ed uscì correndo dalla bottega. “Già? Già! Oh maledetto, maledetto Jeff! Non avevi nient’altro da dirle? Solo Già? Ma dai! Non vedrai più quella ragazza, ti pentirai di aver detto quella stupidaggine”. Per tutto il tragitto verso casa continuava a tormentarsi per non esser riuscito a dire altro. Arriva a casa, accende le luci, apre la busta di carta del Fast Food, la poggia sul tavolo della cucina e inizia a divorare la cena portatasi via. Teneva lo sguardo fisso per terra perso nel vuoto e pensava e ripensava a quella donna, a quella bellissima donna, la voleva tra le sue braccia, voleva conoscere il suo sorriso, voleva ammirarla con la sua chioma bionda al vento; ma era stato stupido! Il rimorso lo riportò sulla terraferma e si accorse che aveva già trangugiato d’un colpo il panino, ma era rimasto in piedi, non si era nemmeno accoccolato sul divano, come suo solito, ad ingozzarsi di schifezze … esce dalla cucina, si dirige in bagno, scaraventa a terra i vestiti e si immerge sotto il getto d’acqua fredda, una vera e propria doccia svedese da brivido… Jeff era stanco, non pensò nemmeno minimamente di spaparanzarsi sul divano a guardare i suoi programmi preferiti, quindi, si infilò direttamente sotto le coperte e si addormentò.

Vibra il cellulare, sono le 8:30. – Cristo Santo Jeff! Dove sei? Ci hai lasciati nei casini! Sbrigati a venire o puoi considerarti DISOCCUPATO!- Salta giù dal letto, mette addosso i primi jeans che trova e la divisa del fast food – Come ho fatto a non sentire la sveglia? Merda, devo essere un fulmine! – Corre in bagno, si butta l’acqua in faccia, sistema i capelli, come può, con le mani, mette le scarpe, acciuffa il cappotto e le chiavi e… Bum! Un colpo al cuore, gira lo sguardo verso il tavolo e cosa vede? La bottiglia di Whiskey ancora dentro la busta. – Non può essere … – Non c’è tempo di pensarci adesso. Jeff fila al lavoro, entra, il locale è pieno, il capo è furioso; evita il suo sguardo e si rintana in cucina, pronto a servire le comande. Per tutto il corso della giornata non ha tempo di pensare a ciò che ha visto quella mattina sul tavolo ma, d’altro canto, ha il tempo di pensare a quello sguardo penetrante: ha tutto il tempo che vuole. Finita la giornata sfibrante, alle 21:00 lascia il posto di lavoro e si cimenta nel suo consueto e stupido acquisto: il Whiskey. – Ciao Greg! – Anthony gli sorride ma non è il cassiere che interessa a lui. Vuole vederla, vuole vedere lei. Passa e ripassa tra gli scaffali ma non c’è … non c’è un’anima viva dentro quella bottega; dimentica persino di essere entrato lì per la bottiglia e in fretta e furia paga solo un pacco di caramelle, prese alla cassa con noncuranza, solo per dare l’impressione di essersi recato lì per un motivo. Va alla porta, esce, attraversa la strada, ma qualcosa attira la sua attenzione. Si volta indietro e la scorge, la vede di spalle avvolta in un cappotto color borgogna mentre sta per entrare nella bottega. Corre verso di lei, le si para davanti – Ehi, hai visto? Ho seguito il tuo consiglio, nemmeno oggi ho comprato le mele – Lei lo guarda, accenna un sorrisetto con gli occhi e risponde – Già … Con permesso – e lo lascia lì, basito e confuso. “Mannaggia Jeff! Ti ha riposto allo stesso modo. È una presa in giro? O significa che non ha dimenticato l’incontro di ieri?”. Continua a interrogarsi, a chiedersi cosa volesse significare per tutto il resto della serata. Si sente deluso e demoralizzato; non aveva mai provato quella sensazione, ci stava male. Non cena, afferra la bottiglia del giorno prima e in meno di un’ora può già rialzarsi a cestinarla. Fa la doccia, va a letto. Passano i giorni ed è sempre la stessa routine, lui continua ad andare in quella bottega, ma lei non c’è. Le uniche cose sempre presenti sono 2 bottiglie di RED LABEL, una che troneggia sul tavolo della cucina e l’altra nel cestino. Ci sono sempre, sono sempre lì, immancabilmente!

È lunedì e Jeff si alza dal letto già stanco e con due occhiaie da fare spavento, non vuole ricominciare un’altra settimana… Non senza rivederla. Si alza a malincuore, si veste e va al lavoro. Il suo cattivo umore si ripercuote sul lavoro. Finisce la sua giornata e si precipita in quella bottega, sta pensando a lei, ai suoi occhi ma non ha la minima speranza di vederla, se non che, appena gira l’angolo la trova poggiata al muro, proprio vicino alla porta della bottega a braccia conserte. “Jeff …è qui! Non dirle niente, fila dritto e fa finta di non vederla” lui entra, fa quel che deve fare ed esce. – Ciao! Non sapevo lavorassi in quel marciume di fast food – “Oddio e lei come fa a saperlo? Io non ho accennato al mio lavoro” Jeff fa una faccia stranita e mezzo imbarazzata, poi sorride e sussurra : – Eh … Ma tu come lo sai? – sorride lei: – Sono passata quasi all’ora di chiusura, ma tu non te ne sei accorto, non volevo disturbare: avevo il piacere di scambiare quattro chiacchiere con l’uomo del Whiskey – “Uomo del Whiskey? Ah è così che mi chiama? Non so se ridere o piangere… ma aspetta! Vuole scambiare quattro chiacchiere con me? Sii! Sì, certo! “ Non si aspettava un invito, gli sale l’ansia, un nodo gli si ferma in gola e poi dice entusiasta: Ah, beh io sono libero, sai ho già finito il turno di lavoro, ti va di andare a mangiare qualcosa insieme? Pago io ovviamente… – Isabella sorride, lo prende a braccetto e si incamminano. Si raccontano un po’, parlano del più e del meno, del lavoro e sciocchezze varie. Jeff è un poco agitato, ma lei sembra così a suo agio, così serena, inizia sempre lei i discorsi e poi entrano in una trattoria italiana, si siedono ad un tavolo e lui chiama il cameriere. Dall’ordinazione capisce che lei è vegetariana – “Oh no, io mi considero un cannibale quasi, voglio darle una buona impressione di me “ – Prendo quello che ha preso lei – mormora mezzo indeciso, consegna i menù e poggia i gomiti sul tavolo, fissandola negli occhi. – Allora – dice lei – come mai un ragazzo così timido, lavoratore e all’apparenza intelligente, spreca così la sua vita? – “Non capisco” – Cosa intendi? Hai detto che sono un gran lavoratore ed intelligente, cosa ti fa credere che io stia sprecando la mia vita? – Isabella lo imita poggiando i gomiti sul tavolo e poi dice severa : – Tu bevi. Ogni santo giorno. Ti ho osservato per tutta la settimana, volevo vedere che vita faceva l’uomo che mi ha tormentato i pensieri da quando ho posato quell’ultima mela. Io non voglio accanto un uomo che puzza di alcool e che, magari, ha anche sbalzi d’umore non dovuti al ciclo mestruale. Ora non dico che tu debba sposarmi perché ti conosco appena ma sei interessante, mi piacerebbe conoscerti meglio ma questo non mi piace, potrebbe bloccarmi! – è confuso. Non ha ancora metabolizzato tutte quelle informazioni, ma ha capito che potrebbe perderla ancora prima di averla. – Posso cambiare! Ti prometto che abbandonerò completamente questo vizio e spenderò al meglio la mia vita. Te lo dimostro, se mi dai una possibilità – lei sospira e accenna un sorriso – Allora accetti? – dice lui ammiccando. Lei non risponde, ma si sono già capiti. Da quel sorriso in poi i due iniziano a frequentarsi, a passare più tempo insieme, ad uscire nei week end. Lui ha mantenuto la promessa per circa cinque mesi, ma poi… poi, non ha più resistito oltre. Maledetto.

È giovedì e Jeff, finito il turno, s’incammina verso casa, ma è nervoso… Il lavoro è sempre più stressante e con Isabella si vedono poco e niente. Lei è avvocato e tra un caso e l’altro è sempre in Tribunale o allo studio, anche se prima riusciva a trovare sempre il tempo per lui. Ma quell’ultima settimana non erano andate così le cose, si erano visti poco e lo stress faceva capolino un giorno sì e uno no. Così, strada facendo a Jeff venne la brillante idea di far visita ad Anthony, il cassiere della sua bottega “preferita”. “Tanto Isabella non lo verrà a sapere, non viene da me dalla settimana scorsa, ho il tempo per buttare tutto e far scomparire la bottiglia”. Deciso e convinto del piano, entra in quella bottega, prende il solito RED LABEL e si precipita verso casa. Sta spaparanzato sul divano, tv accesa, cibo sul tavolinetto e bottiglia in mano, “aaaah … era da tanto che non passavo così la serata, tutto questo mi dà un senso di tranquillità, di familiarità, di tanta agognata solitudine… Ogni tanto posso concedermelo, non casca mica il mondo, starò attento a non far sapere nulla a lei”; scola l’ultimo sorso e poi, con gli occhi già pesanti lascia scivolare il braccio fuori dal divano e con la nenia delle chiacchiere del notiziario si addormenta. L’indomani mattina non deve andare al lavoro perché aveva cambiato il turno con un collega sotto richiesta del capo, quindi la sveglia non suona. Sono le 10:30, si sveglia mezzo intontito, si mette seduto sul divano, sbadiglia, stropiccia gli occhi e intravede, con le palpebre ancora socchiuse e pesanti, la bottiglia vuota posata a terra. – Oddio! Porca miseria! L’avevo completamente dimenticato! – si alza di scatto, afferra la bottiglia, corre in cucina e la scaraventa nella spazzatura, prende il secchio e scende giù di corsa a buttare l’intero sacco. Si guarda attorno circospetto: non c’è nessuna traccia di lei, corre in casa tirandosi dietro il portoncino alle spalle e raggiunge trafelato il suo appartamento; via i vestiti e si infila sotto la doccia. Apre il getto d’acqua, chiude gli occhi e si lascia coccolare dalle gocce d’acqua che scorrono sul suo corpo, calde … sente i muscoli e la sua mente che si rilassano. Ma poi la coscienza riaffiora: “Ma cosa ho fatto? Forse non avrei dovuto… se lo scopre si arrabbierà, non posso rischiare di perderla… Non deve succedere più”. Esce dalla doccia, prende la tovaglia e va in camera da letto con gli occhi bassi e con la faccia da cane bastonato. Si butta sul letto e chiude gli occhi cercando di eliminare i sensi di colpa per ciò che aveva fatto, non è facile. Squilla il cellulare, è lei. Ha un colpo al cuore nel vedere scritto il suo nome, prende un bel respiro e risponde : – Ehi piccola! – sente una risatina dall’altra parte del cellulare, significa che è di buon umore e quindi non deve trasparire nulla del suo “peccato”. Parlano un po’ dell’esito dell’udienza di lei e in generale di come sono andate le giornate di entrambi per quella settimana; prima di chiudere si danno appuntamento per quella sera in un ristorante dietro l’angolo e poi riattaccano. La conversazione va a buon fine, anzi è proprio tutto ok! Lei non ha capito nulla, ma lui non è tranquillo.

Passa la giornata a sistemare la casa e guardare la tv; dentro c’è ancora un leggero odore di alcool ma non gli dà peso tanto lei non avrebbe messo piede lì per un po’ di giorni ancora. Ma c’era un problema più grave: sentendo quell’odore lui era ancora più tentato di far passare per il gargarozzo un certo, delizioso Whiskey. “No matto! Sono le 17:00 e l’appuntamento è fissato per le 21:00, stringi i denti e pensa ad altro, stasera la vedi e non puoi presentarti con quel tanfo che esce dalla bocca.” È sera, lui è pronto davanti allo specchio per gli ultimi ritocchi ai capelli, quando finisce prende il portafogli ed esce di casa. Lei è seduta sugli scalini e lo sta aspettando; si schioccano un bacio sulle labbra per salutarsi poi lei lo prende per mano e si incamminano verso il ristorante. Durante la cena lei sembra diversa, fiacca, tormentata direi e lui lo nota. Le prende la mano e dice: – Cos’hai stasera? Sembri spenta, è successo qualcosa? – Lei abbassa gli occhi, ritira la mano e dice: – Devo dirti una cosa. – Jeff si schiarisce la voce, è impallidito e le fa cenno con la testa di continuare: – Bene… Dovrò sostenere una causa importante. – E non è una buona notizia? – lei fa un sospiro e poi tutto d’un fiato risponde: – In Giappone. Per un dottore sospettato di traffico d’armi, il viaggio ed il pernottamento sono pagati. Ma… dovrò stare lì per venticinque interminabili giorni e parto domani pomeriggio. – Si copre il viso con le mani; quelle mani delicate e leggere che stavano coprendo il viso di quella donna che gli aveva dato uno dei più grandi dispiaceri negli ultimi anni. Non vuole scoraggiarla, quindi sorride e finge di esserne felice: – Ehi… guardami, non ti devi preoccupare, siamo maturi abbastanza da superare questa distanza: ce ne sono altre quasi insormontabili! Dai, andrà tutto bene! Non puoi rifiutare quest’opportunità, sarebbe un passo da imbecilli – poi le prende la mano e finiscono di cenare.

La serata procede abbastanza bene, un po’ fiacca ma è giustificabile. Arrivano dinanzi alla porta dell’appartamento di lei e gli fa una richiesta: – Senti… visto che domani parto, che ne dici di salire e passare la notte insieme? – Jeff non esita a rispondere, e ovviamente la risposta è prevedibile! I due salgono, la casa è molto accogliente, ordinata, in stile classico con un’ampia sala ad ambiente unico tra soggiorno, cucina e sala da pranzo. Sulla sinistra si staglia un bel caminetto in muratura, ed un profumo di muschio misto a gelsomino rende pregna l’atmosfera. “Wow … non c’è nulla in comune con il mio appartamento qui. Se la casa rispecchia chi ci abita, allora io e lei non abbiamo assolutamente nulla in comune”. Ma lei non sembra pensare le stesse cose, si sente a suo agio e la differenza di carattere con Jeff non la mette per niente a disagio. I due guardano un film accoccolati sul divano avvolti in un plaid. La coscienza di Jeff fa continuamente capolino, ma non può rovinare quel momento, soprattutto, sapendo che quella sarebbe stata l’ultima sera che avrebbero passato insieme; lei non aveva nemmeno il sospetto di quella pagliacciata e non doveva saperlo! Quando il film stava per finire l’atmosfera si era già surriscaldata abbastanza e bacio dopo bacio si ritrovano l’uno nelle braccia dell’altra. Hanno fatto l’amore avvolti in tutta la passione e la tenerezza che si può creare tra due persone che si desiderano, poi, col sorriso stampato sulle labbra, si addormentano l’uno abbracciato all’altra.

Sono le 7:00 di mattina, Isabella si sveglia in modo soft, gli lascia un delicato bacio sulle labbra e senza far rumore si lava, si veste, si sistema i capelli, mette un filo di trucco e va in ufficio. Anche Jeff, qualche ora dopo ripete le stesse azioni in modo meccanico e fila al lavoro. I due non hanno modo di sentirsi durante la mattinata e lui è sconsolato, malinconico per tutto il turno: “Non posso nemmeno salutarla, non ho il tempo di accompagnarla in aeroporto … Dopo la serata di ieri non è il massimo non poterle dare nemmeno un abbraccio. Al diavolo! Parte tra meno di due ore! Se andassi alla fermata dell’autobus dietro l’angolo adesso, potrei farcela!”. Non finisce nemmeno di pensarle queste cose, che è già fuori sbattendosi dietro la porta insieme alle grida del capo. Arriva in tempo, sale sull’autobus e impaziente attende di arrivare all’aeroporto. Ma quando scende e arriva dinanzi ai check-in, vede che il volo per il Giappone era già partito. “Maledizione!” si volta per tornare fuori alla fermata e vede lei, con la valigia e la borsa e un sorriso smagliante :- Jeff! Guarda l’ora del volo: 12:45! È il volo precedente, io salirò su quello delle 16:00… ma tu cosa ci fai qui? – Oh tesoro… non potevo lasciarti volare così, senza nemmeno salutarti! – Tu sei matto! E il lavoro? – Al diavolo il lavoro! Dovevo correre da te! – Corre verso di lei e la avvolge con le sue braccia e, piegando la testa sulla sua spalla, si inebria del profumo dei suoi capelli. I due hanno tempo di salutarsi per bene; poi lei scompare tra la folla dirigendosi verso i controlli e lì Jeff ha la netta sensazione che tutto sarebbe cambiato, si sarebbe perso, avrebbe perso la persona che lei l’aveva reso. Il ragazzo torna a casa e riprende la sua monotona routine; non potevano tenersi in contatto perché la linea telefonica di Isabella non era più attiva lì. Quando Jeff arriva a casa non desidera altro che andare a letto, era emotivamente distrutto.

Nei due giorni seguenti non fa altro che ripetere meccanicamente sempre lo stesso tragitto: lavoro-casa, casa-lavoro; non ha la minima voglia di fare altro, il suo umore è proprio a terra. Ma le cose non sarebbero rimaste così fino al ritorno di lei, anzi, sarebbero cambiate del tutto. Sono passati due giorni e Jeff ha il giorno libero, si alza a metà mattina e decide di uscire per andare a fare la spesa, quindi si veste ed esce di casa. Nella strada di ritorno passa dalla bottega di Anthony, una stretta al cuore, Jeff lancia un’occhiata alla vetrina ma fa un respiro profondo e fila dritto. Sale a casa e inizia a sistemare la spesa avvolto da un profondo senso di noia e malinconia. Lancia un’occhiata al cestino dell’immondizia, è apparentemente vuoto; non c’è la bottiglia di Whiskey e improvvisamente arriva l’illuminazione, la dannata illuminazione! Mette una mano in tasca e tira fuori il cellulare, apre la rubrica, la scorre e trova il contatto di Ben, uno dei suoi vecchi amici, l’anima delle feste, quello che fa sempre più caciara di tutti. E a quel punto gli scappa un mezzo sorriso: affiorano tutti i ricordi delle serate passate in discoteca a rimorchiare ragazze e bere alcolici. Clicca sul tasto di chiamata, la linea è libera, ma Ben non risponde, così Jeff riattacca, posa il cellulare e si piazza davanti alla TV a seguire il telegiornale. Passa tutto il pomeriggio davanti alla tv a girarsi i pollici quando, improvvisamente sente squillare il cellulare. Corre in cucina con la speranza di vedere il nome di lei sullo schermo, ma si sbaglia, è Ben. “Ben! Ciao!”. “Bella Jeff! Ho trovato una chiamata! Scusa non potevo rispondere, sai … ero con una tipa – ride sguaiatamente e Ben ricambia: “Non cambi eh?”. ”Senti, che ne dici se mi venite a trovare stasera con i ragazzi? Passiamo una serata insieme come ai vecchi tempi, ho bisogno di staccare un po’ la spina e lei è fuori per un po’”. “Wooo amico, devi combinare qualche guaio? Hai chiamato la persona giusta!”. “Non ha capito nulla”. “No, no amico, niente di catastrofico, solo qualche giro per locali”. “Ricevuto capo, alle 21 siamo da te!”. Ben riattacca e Jeff è colpito da una stretta allo stomaco. “Sto sbagliando? No! Non c’è nulla di male a passare del tempo con gli amici dai…”.

Il pomeriggio passa velocemente, Jeff fa la doccia, si mette in tiro e mentre stava sistemando i capelli allo specchio suona il campanello “Ma che ore sono? Sono in anticipo!” Guarda l’orologio al polso: 20.45 “Pensavo fosse più presto! Vado ad aprire”. Jeff apre il portoncino: “Amico! Jeff! Ehi!”. Le voci dei ragazzi si accavallano e lo assalgono letteralmente riempiendolo di pacche alle spalle. Prima di uscire fanno un giro di vodka per “scaldarsi” un po’ e, poi, si dirigono verso la prima discoteca. “E’ da troppo tempo che non entro in questi locali, mi sento un po’ a disagio… occhio Jeff, contieniti e non combinare casini”. La serata procede abbastanza moderatamente con i ragazzi seduti al tavolo che ridono, scherzano e bevono qualche drink; ci sono delle ragazze al tavolo con loro rimorchiate da Ben e stavano sedute sulle gambe dei ragazzi ma Jeff manteneva le distanze. Dopo circa un’oretta Ben propone di cambiare locale e tutti acconsentono, Jeff li segue. In quest’altra disco c’è più confusione, musica Metal a palla, ragazze discinte, che barcollano qua e là, coppie aggrovigliate sui divani, confusione totale. Quella sensazione di spensieratezza che traspariva dai visi dei ragazzi fa nascere in Jeff una voglia matta di lasciarsi andare ed essere quello che era prima di incontrarla, ma tra quelle luci, quella musica e quelle ragazze stava vivendo una sorta di conflitto interiore tra il Jeff di prima e quello che era diventato. I drink scorrono, la musica è più coinvolgente, le ragazze intorno a lui sono sempre di più e lui è sempre meno cosciente. Tornano a casa, o meglio: si trascinano barcollando a casa, completamente sbronzi e privi di qualsiasi capacità di espressione linguistica. Farfugliano cose senza senso fino all’appartamento, si sistemano alla meno peggio per passare la notte e si addormentano.

L’indomani è domenica e Jeff dovrebbe iniziare il turno pomeridiano alle 15:00, ma quell’ora era già passata da un pezzo, quando Jeff si sveglia di botto, dà un’occhiata in giro e la sua casa è piena di sbronzi che puzzano; chi dorme sul divano, chi sul tappeto, chi si è comodamente sdraiato su due sedie unite. “Non è cambiato proprio niente! Aaaaah come farei senza di loro?”. Non appena finisce di pensare ciò arriva un forte mal di testa e Jeff si dirige in cucina a prepararsi un’aspirina, si gira di spalle e poggia le mani sul bancone della cucina quando sente squillare il cellulare dalla stanza da letto. Va lì e tra le lenzuola vede lo schermo illuminato con una chiamata in arrivo. “Ma chi è?” :- Jeff! Stupido imbecille! Ma dove sei? Sai che ore sono? E sai dove dovresti essere? Qui! dall’altra parte del telefono a servire le comande! Idiota! Non farti più vedere! – Butta il cellulare sul materasso e torna in cucina, a testa bassa a preparare qualcosa da mangiare per i ragazzi, che nel frattempo iniziavano a svegliarsi. Fanno tutti colazione in silenzio, prendono un’aspirina a testa e poi salutano Jeff e scompaiono dietro la porta. Lui resta lì impalato dietro l’uscio a fissare il vuoto e a cercare di ricordare cosa fosse successo la sera prima ed è lì che quella stretta allo stomaco si fa sentire. “Vado da quel matto a riprendermi il lavoro piuttosto”, fa una doccia veloce, si veste ed esce di casa mezzo stordito dai sintomi post-sbornia. Quando arriva dal capo, però, non c’è verso di convincerlo a ridargli il lavoro: – Senti Jeff, sei un ragazzo a posto che si impegna nel lavoro ma ci sono un paio di cosette che non vanno bene… l’ 80% delle volte sei in ritardo ed io sono costretto a richiamarti, a volte puzzi maledettamente di alcool ed è per questo che ti ho spostato dai tavoli alla cucina, non sei salito di grado per merito, ma perché era l’unica soluzione fino a quando non avessi trovato qualcuno per rimpiazzarti. Mi dispiace Jeff, vai a casa. – Guardi che sono cambiato! Sto con una ragazza che mi ha riportato sulla buona strada! – il capo gli volta le spalle e fa per andarsene – Non bevo più, sto bene! – quello si gira: – Davvero Jeff? Ti puzza da morire l’alito, te lo dico per l’ultima volta: va a casa! – Jeff si gira e si dirige a casa a testa bassa, ancora più bassa che all’andata. Quando apre la porta, un tanfo di alcool gli si scaglia contro il viso, ma lui è talmente arrabbiato, demoralizzato e deluso, che non fa nulla per rimediare. Si accascia sul divano, accende la tv e sta lì a contemplare il vuoto.

Passano ore ed ore e, quando guarda l’orologio, si accorge che è già tempo di cena e così si alza, acciuffa il portafoglio che sta sul tavolinetto ed esce, come un automa, a comprare qualcosa da mettere sotto i denti. Non ha tanta voglia di camminare quindi tira un sospiro profondo ed entra nella bottega di Anthony. Passeggia tra gli scaffali con la testa fra le nuvole e di tanto in tanto, così con nonchalance mette qualche cosa nel cesto; poi va al reparto frutta e rimane fermo lì davanti a fissare le mele, sì, proprio le mele. Ne prende una e, poi, si dirige alla cassa, paga e sale in casa. Svuota il cesto, mette la mela sul tavolo e poi cena. Non ha parlato tutto il giorno, è silenzioso e malinconico. Si piazza davanti alla tv, la accende e segue il tg, ma le notizie sono tutte di cronaca nera, deprimenti: un vero e proprio bollettino di guerra, come sempre: spegne di colpo la tv, poggia la testa sulla spalliera del divano e fissa il tetto bianco latte. Poi, d’un tratto si alza e, senza pensarci due volte scende, con una “coazione a ripetere”, alla bottega, apre la porta e si precipita nello scaffale degli alcolici, afferra una bottiglia del solito RED LABEL per il collo e resta fermo alcuni secondi a contemplarla. “Che faccio? Non posso, non devo. La perdo. Perdo lei o perdo me? Al diavolo, non lo saprà mai”; paga e torna a casa, stappa la bottiglia in cucina e poi va sul divano, accende la tv e tra un sorso e l’altro non si accorge di averla scolata tutta. Fa in tempo ad alzarsi a cestinare la bottiglia, che già fila in camera da letto e scivola tra le braccia di Morfeo. È mattina e Jeff si alza poco prima di mezzogiorno. “Che bello… un’altra giornata a non far nulla, alziamoci via”. Si alza e va in cucina a prepararsi la colazione, mangia e poi esce a comprare il giornale. È indifferente a tutto ciò che gli succede intorno: ci sono le strade intasate di macchine, bambini che corrono, schiamazzi di gente, barboni ad ogni angolo che chiedono elemosina, ma niente…niente di tutto ciò cattura la sua attenzione! È completamente apatico, abulico! Quando arriva in edicola, mentre sta rovistando tra i giornali sul bancone, con la coda dell’occhio, vede un cappottino color borgogna, va verso la ragazza, questa si gira… – Oh… mi scusi – “Non è lei! Ovvio che non è lei! Ma che mi aspettavo?!” Jeff torna al bancone, paga ed esce.

E’ sulla strada di casa e sta passando davanti alla bottega, quella dannata bottega. Sente quell’inebriante profumo di Whiskey salirgli per le narici; non aveva sentito odori, né rumori per tutta la mattina: il Whiskey, quello sì. Poveraccio. Va fuori di testa, non pensa a nulla, entra prende la bottiglia e scappa a casa. Sapete come ci si sente quando non vedi una persona cara da molto tempo e non appena te la trovi davanti non senti più nulla se non il desiderio di abbracciarla? E quando è tra le tue braccia la stringi talmente forte da sentire la sensazione che si stia insinuando dentro il tuo stesso corpo? Diventate un tutt’uno. E nessuno dei due ha il coraggio di lasciare andare l’altro. Ecco. Jeff e il Whiskey erano così, dipendenti l’uno dall’altro ed ogni volta che quella immagine “giallo–miele” riaffiorava nella sua testa, correva da lei, correva da quella bottiglia e lui, a differenza nostra, riusciva a farlo entrare dentro il suo corpo, lo sappiamo tutti, lo sapeva anche il suo fegato! Entra a casa, stappa la bottiglia, e addio Jeff. Sempre la solita storia, sempre la solita fine: lui a letto privo di coscienza e la bottiglia in bella mostra sul tavolo, vuota. L’indomani quando si sveglia è colpito da un senso di colpa immenso, quindi, senza far colazione, prende il giornale e inizia a cercare annunci di lavoro; ma tutti, e dico tutti, facevano sempre la stessa domanda: – Hai problemi con la droga? – e fin lì tutto ok, rispondeva di no e si passava alla domanda successiva:- Problemi con l’alcool? – “Oooh no, non di nuovo” Jeff aveva smesso di rispondere a quella domanda dopo il terzo datore di lavoro; dopodiché riattaccava direttamente, assalito dai sensi di colpa e dalla rabbia. Passavano i giorni e la sua routine era sempre quella: giornale, sensi di colpa, Whiskey e sonno profondo… giornale, sensi di colpa, Whiskey e sonno profondo.

Erano passate due settimane dalla partenza di Isabella e lui pensava sempre meno a lei e sempre più al suo Whiskey. È domenica e Jeff si alza a metà mattinata, ancora disoccupato e con l’alito che puzza di Whiskey, non ha nulla in programma per quel giorno, come non aveva avuto nulla in programma negli ultimi quindici giorni. Così senza pensarci due volte, prende il cellulare e chiama Ben. Si organizzano per una di quelle serate tra amici. I ragazzi arrivano la sera, fanno il solito giro di vodka ed escono di casa; ma stavolta Jeff si sente più libero, più disinibito, più sereno e quindi ai suoi drink peccaminosi aggiunge qualche ragazzetta discinta con cui ammazzare il tempo. Ogni locale un drink diverso, una ragazza diversa, un senso di colpa in più, sempre un po’ più di coscienza in meno. L’ultima volta che avevano organizzato questo tipo di serata erano tornati a casa da soli, sbronzi ma da soli; stavolta no. Jeff aveva rimorchiato una ragazza nell’ultimo locale, se l’era trovata appiccicata sulla pista da ballo e appiccicata gli era rimasta fino al suo appartamento. Risparmiamoci i dettagli della serata. Il telefono squilla, sono le 14:30 di lunedì pomeriggio, Jeff intontito prende il cellulare dalla tasca dei pantaloni che stanno sul pavimento e risponde: – Pronto? – Jeff? Sono Isabella! – Chi? – Isabella! Jeff stai bene? – “Diamine! Isabella!” si alza di scatto e si siede ai piedi del letto, cerca di scandire bene le parole per non farle capire cosa aveva combinato. – Ehi piccola! Scusa dormivo, ho passato una brutta serata, non riuscivo a prendere sonno. Ma come hai fatto a chiamarmi? – Ero in riunione e ho chiesto in prestito il telefono dell’ufficio, avevo voglia di sentirti, di sapere come stessi… Mi manchi – a Jeff sale un conato di vomito – Jeff? Stai bene? – “No che non sto bene! Sono sbronzo e non ci sto capendo nulla!” – Sì, sì sto bene. Devo staccare, fra poco devo andare al lavoro, torna presto piccola. – Riattacca. Jeff si gira e c’è una ragazza nel suo letto. “Ma chi è questa? Aaah che casino! Deve scomparire, devono scomparire tutti!” sta ancora seduto sul letto. – FUORI! FUORI TUTTI DA CASA MIA! HO DETTO FUORI! VIA! VIA! – si alza e inizia a svegliare tutti e a tirare i loro stessi vestiti addosso e a spingerli fuori casa. Si chiude la porta dietro, scivola per terra, mette la testa fra le mani e piange, piange disperatamente. Lo sa. Sa che l’ha perduta. Vergogna. “E ora? Ora niente Jeff, continuerai a fare quello che hai sempre fatto. Non puoi più rimediare, tanto vale continuare così.”

Nei due giorni a seguire non ha più richiamato i suoi amici né per dare loro spiegazioni né per scusarsi. Esisteva solo lui, lui e la sua maledetta bottiglia di Whiskey tra le mani. Mancavano solo otto giorni al ritorno di Isabella e lui li passava così, ad ubriacarsi giorno dopo giorno; la casa puzzava, era ridotta uno schifo, niente pulizia e niente ordine. Apatia assoluta. È il venticinquesimo giorno e Isabella sarebbe tornata il pomeriggio; le avrebbe fatto piacere vederlo lì ad attenderla all’aeroporto tutto pulito e sistemato, ma quando arriva lui non c’è. Non è da nessuna parte. “Ma dove sei Jeff?” Sta lì ad aspettarlo per un’ora piena di speranza, ma di lui nemmeno l’ombra. “Non sarà al lavoro? Non è che gli hanno cambiato di nuovo il turno?” Lo chiama al cellulare e lui non risponde. Chiama il taxi e si fa portare al fast food dove Jeff avrebbe dovuto essere. Entra, si siede e aspetta che qualche commessa la serva. Un ragazzo le si avvicina con il palmare delle prenotazioni e le chiede: – Cosa prende? – Vorrei parlare con Jeff, per favore – Jeff? Chi è Jeff? – “Cosa? Sarà un ragazzo nuovo” – Ehm… Jeff lavora in cucina, no? – No signora, non c’è nessun Jeff in cucina che io sappia. La faccio parlare col capo? – Sì, grazie, sarebbe meglio – gli si rivolge scontrosa. “Ma tu guarda questo… Lavora qui e non sa i nomi dei suoi colleghi. Guarda un po’ che gente assumono ormai. – Il capo esce dalla cucina e le si siede di fronte, le stringe la mano. – Salve. Devi essere Isabella. – Sì, vorrei parlare con Jeff. – Jeff non c’è. Non lavora più qui da circa due settimane, non gliel’ha detto? – “Eh?!” il volto di Isabella diventa teso tutto d’un colpo, una vampata di calore attraversa il suo corpo e senza dire nulla al capo risponde : – Ah sì, mi scusi – prende la borsa ed esce. Infuriata corre verso casa di Jeff, e lungo il tragitto riflette sull’ultima telefonata che hanno fatto. “Mi sa che ho capito tutto.” Quando arriva davanti alla porta del suo appartamento, fa un profondo respiro, espira e bussa. Nessuna risposta. Bussa ancora una volta. Nessuna risposta. “Ma dove è finito quel deficiente?” – Jeff! Jeff sono Isabella! Apri!- Queste parole rimbombano nella testa di lui, dorme ancora ma quel fastidioso bussare alla porta lo sveglia, sente Isabella che urla. Si alza di colpo, guarda l’ora sul cellulare. “No! Nonono Jeff! Maledizione!”. Si infila i pantaloni di fretta e corre alla porta. Apre e il viso di Isabella è rosso dalla rabbia e lo sta aspettando con le mani ai fianchi e il piede destro che picchietta sul pianerottolo. È arrabbiatissima. Allunga le braccia verso di lei per abbracciarla ma lei lo spinge indietro ed irrompe in casa. Corre dappertutto, urla, butta all’aria tutto ciò che le passa tra le mani.

La casa è un disastro, scatole di pizza sul divano, lattine di birra ovunque, tv accesa, lavandino pieno di piatti sporchi e una scatola di aspirina aperta sul bancone della cucina. L’afferra e corre verso di lui urlando: – Mal di testa, Jeff? Perché questo mal di testa? Troppo lavoro? Turni pesanti? Eh?! – Jeff non risponde; Isabella torna in cucina e va dritta verso il cestino, lo afferra e torna da lui che è rimasto sotto la soglia del portoncino con le mani ai capelli: – Mi fai schifo Jeff. Il cestino era stracolmo di bottiglie di Whiskey e lui puzzava da morire. – Avevo intenzione di ripulire tutto prima che arrivassi tu… – non lo lascia finire.- Ah sì? Beh, io sono qui! E qui ci sono anche tutte queste schifezze! Incosciente! – Isabella continuava ad urlare e le sue urla si materializzano come macigni nelle sue orecchie. La sua voce era sempre più bassa, sempre più sfumata, il mal di testa sempre più forte, il rimorso sempre più pesante. Non c’è più niente che lui possa fare, l’ha persa. Ha perso tutto. Stupido. Isabella afferra la valigia e corre via, lui nemmeno prova a fermarla, non ne ha le forze. Chiude la porta, chiude con il mondo. Inizia a fare ciò che avrebbe dovuto fare prima: pulizia! Butta tutto in un grande sacco nero che poi porta giù in strada. Passa il pomeriggio sul divano a fissare il vuoto, tv accesa, ma cervello spento. “Ho bisogno di rilassarmi”. Prende il portafoglio e scende da Anthony, entra, afferra due bottiglie, paga e si rintana in casa. Si siede sul divano e beve … beve, beve, beve, beve fino allo sfinimento. Poi chiude gli occhi e si addormenta. Quando si sveglia, prende un’aspirina e va a fare una doccia fredda. Quando è in camera per vestirsi, vede il cellulare sul comodino, lo prende e apre la cartella dei messaggi “Nessun nuovo messaggio”; preme su “nuovo messaggio” e inizia a scrivere: Isabella. Sono Jeff… Ho sbagliato, me lo riconosco e me ne pento amaramente. Mi manchi, possiamo parlarne? Preferirei di presenza. Ti aspetto sui gradini di casa mia… Aspetterò fin quando non vieni. Si alza dal letto e va a sedersi fuori, aspettandola.

Passa un’ora, due ore. Continua a guardare lo schermo del cellulare ma non c’è nessuna chiamata, nessun messaggio, niente di niente; così decide di chiamarla, magari è al lavoro e non ha letto il messaggio. Il cellulare squilla, squilla fino alla fine, ma Isabella non risponde. Prova di nuovo ma al terzo squillo la linea è occupata: “Ha rifiutato la chiamata. Maledizione aveva letto il messaggio e visto la prima chiamata, significa che non vuole parlarmi. Non verrà”. Jeff torna in casa e fila dritto a letto senza cena, senza forze, senza parole, senza respiro. Non riesce a dormire, si gira e rigira nel letto, cambia sempre posizione, ma nulla cambia. Il ricordo di lei è vivido nella sua mente, indelebile, la sua voce risuona come un’eco, il suo sguardo risplende, il suo tocco è soffice; il senso di colpa aumenta, il rimorso è più opprimente, il dolore è più lacerante! Rischiarano le prime luci dell’alba e Jeff era ancora in dormiveglia, si alza e va in cucina a prendere un caffè, non ha voglia di fare colazione, non ha voglia di fare nulla se non sentire il profumo dei suoi capelli. “Devo vederla”. Si veste e va al suo ufficio, entra e chiede alla segretaria di avvisarla che lui era lì e che l’avrebbe aspettata; quella si alza e va da Isabella ma quando torna la sua espressione non è delle migliori: – Signore, l’avvocato ha molto lavoro da fare, non può riceverla. L’accompagno fuori. Quando Jeff esce, a testa bassa, una lacrima riga il suo volto; l’asciuga e va a casa. Ma prima, ovviamente, passa da Anthony. È sempre la stessa storia, Jeff non cambia. Sono passati poco più di tre mesi e di Isabella nessuna traccia.

La vita di Jeff è sempre uguale, monotona, come da routine incolore: niente lavoro, niente relazioni, niente soddisfazioni, e ovviamente, bottiglia sempre in mano, quasi un’appendice del suo stesso corpo. È venerdì mattina e Jeff esce di casa per andare a fare la spesa, prima di rientrare passa dall’edicola e compra un giornale per cercare qualche lavoretto e poi da Anthony. A quell’appuntamento non mancava mai. Il pomeriggio, dopo pranzo, stappa la bottiglia e si mette sul divano a leggere il giornale nella speranza di trovare qualcosa e, mentre lo sfoglia, scorge un annuncio: “SERVIZI gratis DI PREPARAZIONE SCOLASTICA PER IL DIPLOMA DI SCUOLE SERALI: indirizzo TECNICO – TURISTICO”, sotto c’è pure un indirizzo e un numero di telefono. Afferra il cellulare, digita il numero e aspetta che qualcuno risponda. – Pronto? – è una voce maschile, calda e Jeff sorride, è come se in quella voce avesse percepito una speranza di miglioramento, di cambiamento. I due si mettono d’accordo su quando iniziare i corsi, gli orari, la sede e tutto. Avrebbe iniziato da quel lunedì stesso. Il week end lo passa, ahimè, in quell’unico modo che conosceva: con una bottiglia in mano e col ricordo di lei che riaffiorava sempre meno. La prima settimana del corso era andata a meraviglia, stava raggiungendo ottimi risultati… dietro i banchi, ma quando tornava a casa era sempre la solita storia. Un giorno, uscendo dal corso e percorrendo la via di casa, in attesa di poter attraversare, la vide. Vide quella bellissima creatura avvolta nello splendido cappotto borgogna. Sono sullo stesso marciapiede. Quando lei stava passando vicino a lui, alza gli occhi e i loro sguardi si incrociano, Jeff s’infiamma, arrossisce e una stretta allo stomaco lo coglie di sorpresa “Isabella!” lei gli sorride ma non si ferma, non è sola; accanto a lei, mano nella mano c’è un ragazzo, completamente diverso da lui. Da quell’incontro Jeff rimane sconvolto, ferito, deluso, ma non sarebbe cambiato nulla lo stesso. Passa quasi un anno e Jeff ha appena concluso il corso, quindi soddisfatto, inizia a comprare giorno dopo giorno un giornale per cercare qualche lavoro che possa fare con il suo diploma, ma non è quello il problema, il problema era il Whiskey, non il diploma. E lui non lo capiva. Ad ogni chiamata, un rifiuto: ad ogni colloquio, una delusione. Delusione che affoga nel Whiskey: è un circolo vizioso! Una sera, di mercoledì, Jeff esce per andare da Anthony ma lo trova chiuso. Resta chiuso per uno, due, tre interminabili giorni. Al quarto non resiste più.

È sabato e sono quattro giorni che non beve. Chiama i suoi amici e passano una di quelle solite, inutili, serate tra donne, locali, musica e drink. La sera, o anzi, all’alba, tornando a casa barcollando tra due ragazze discinte, volge gli occhi dall’altra parte della strada e qualcosa attira la sua attenzione: c’è una donna appoggiata ad un palo e sta guardando verso di loro. Ma lui è troppo ubriaco per capire chi sia, non la vede nemmeno bene, è buio e la sua vista non è tra le migliori. L’indomani, mentre è in cucina a preparare la colazione per sé e quelle due ragazze insieme alle quali si è svegliato, un flash gli compare davanti gli occhi: la donna dall’altra parte della strada, il buio, la confusione. “Era lei! Isabella! Era lei!” torna in camera da letto, sveglia quelle due, e le butta fuori di casa in tutta fretta. Prende il cellulare, scorre nella rubrica e la chiama: niente. Nessuna risposta. Passa così tutta la mattina fino a quando all’ora di pranzo, mentre lui è sotto la doccia, gli arriva un messaggio. Non ha idea di chi sia, quindi ne rimanda la lettura. Quando finisce di fare la doccia, va in camera da letto e prende il cellulare per leggere l’SMS. “Jeff … smettila. So tutto, non farmi sbagliare, addio.” Muore, muore nel leggere quelle parole. Inutile dire come colmi quel dolore. “Anthony ha chiuso. Devo bere, faccio quattro passi.” Esce di casa e va nel locale dove era stato la sera prima; è pomeriggio ed è quasi vuoto, si siede al bancone e ordina il primo bicchiere di Whiskey, poi il secondo, poi il terzo, poi il quarto. Quando inizia fargli male la testa fuori è già buio, quindi barcollando paga il conto e torna a casa. Va a letto e si addormenta di sasso.

L’indomani mattina, anzi è già pomeriggio quando si sveglia, la prima cosa che fa è accendere il cellulare e mandarle il buongiorno, sperando in una risposta; il pomeriggio guarda la tv e fa un po’ di ordine in casa, la sera va al bar e, poi ubriaco, torna a casa. Il giorno dopo è sempre la stessa storia, e anche quello dopo, e quello dopo ancora. Che tristezza. Lei gli manca tantissimo ma continua a non fare nulla per migliorare le cose, è più forte di lui, è una persona debole ormai, con il cervello e lo stomaco pieni d’alcool. Una sera, mentre era al bar, tra un bicchiere e l’altro il ricordo di lei lo tormenta, non va via e lui continua a berci sopra, beve come un matto, con gli occhi rossi e pieni di lacrime. Aveva appena finito di scolarsi quei tre bicchieri di Whiskey in quel baraccio di periferia “Blue Moon”, Jeff, venticinque anni, originario di Brooklyn. Stava lì, poggiato con i gomiti sul bancone del bar a stropicciarsi gli occhi e stringersi le tempie, a piangersi addosso e rimproverarsi di aver rovinato così stupidamente quello che per tutto il corso di quell’ultimo anno aveva costruito. – Jeff… basta, ti prego, smettila di farti del male – lui si gira e tra le ciglia e le lacrime la vede, vede lei bionda, delicata, bellissima. – Cosa vuoi da me? Sono un mostro, stammi lontano, non voglio far male anche a te. – Lo hai già fatto Jeff, non te lo permetterò di nuovo. Gli prende il bicchiere, lo posa sul bancone, poi prende la sua mano e lo trascina piano piano fuori di lì – Andiamo a casa… Per tutto il tragitto nessuno dei due tira fuori qualche parola. C’è un silenzio assordante, quasi fastidioso. Jeff non parla perché ha bevuto e la nausea iniziava a prendere il sopravvento; Isabella non aveva voglia di parlare con un muro che olezzava di alcool.

Arrivano a casa, lo porta in bagno, lo spoglia, lo infila sotto la doccia e gli apre il getto d’acqua fredda; poi va in camera da letto e aspetta che finisca di lavarsi. Poi, lui la raggiunge, mette il pigiama e si sdraia accanto a lei. Piange, piangono insieme, ed è così che si addormentano. L’indomani mattina Jeff è svegliato da un delizioso profumo di caffè e biscotti; si alza e va in cucina dove Isabella lo aspettava seduta al tavolo con una tazzina e due biscotti poggiati davanti. – Buongiorno – gli sorride. – Isabella, non mi aspettavo di trovarti qui, credevo te ne fossi già andata. – Ti sbagliavi. Ti ho osservato durante l’ultima settimana, sai? – “La ragazza dall’altro lato della strada! Chissà quante altre volte mi ha spiato senza che me ne accorgessi!” – smettila di farti del male, ti conosco bene e non sei così stupido da buttare al vento la tua vita. – Perché mi stai facendo questa ramanzina? Non è a me che devi dire queste cose, ma al tuo ragazzo. O forse lui non ne ha bisogno? – Sto cercando di aiutarti! Non mi piace il tuo comportamento e non ho intenzione di guardarti mentre ti uccidi con le tue stesse mani! E comunque, per la cronaca, l’ho lasciato… – Isabella abbassa la testa e arrossisce un po’. – Beh, non sono fatti miei così come non sono fatti tuoi il modo in cui “rovino la mia vita”. Jeff si alza e va in bagno, chiude la porta a chiave e Isabella gli corre dietro ma non fa in tempo a raggiungerlo, che le sbatte la porta in faccia. – Jeff, non fare il bambino apri la porta e parliamone. Possiamo parlarne anche con la porta chiusa, parla! Non mi sembra il caso reagire così. Dovresti essermi grato dato che ti sto offrendo il mio aiuto. – Aiuto? Non mi hai aiutato affatto l’ultima volta che te ne sei andata e non mi hai nemmeno dato segni di vita! – “Ma cosa sta dicendo?!” – Guarda che sei stato tu stesso a dirmi di andare! NON RINFACCIARMI LE COSE!- Jeff esce dal bagno, la sposta violentemente e va in cucina; lei lo segue correndo e quando la raggiunge gli prende il volto tra le mani, lo guarda dritto negli occhi e poi gli tira un ceffone :- Non ti permettere di rivolgerti così a me! SEI UN FALLITO! NON SAI NEMMENO TENERTI LA RAGAZZA! E PER COSA, POI, PER QUELLA STUPIDISSIMA BOTTIGLIA DI WHISKEY CHE TIENI STRETTA COME SE FOSSE QUESTIONE DI VITA O DI MORTE, COME SE FOSSE LEI “LA TUA RAGAZZA”! – LO E’ MALEDIZIONE, LO E’ ! E’ L’UNICO CONFORTO NEI MOMENTI DI DEBOLEZZA, NEI MOMENTI DI NERVOSISMO, NEI MOMENTI DI STRESS E IN QUELLI DI SOLITUDINE! SÌ, ESATTO HO DETTO: SO-LI-TU-DI-NE! PERCHE’ MI HAI LASCIATO QUI DA SOLO E MI MANCAVI TROPPO E NON AVEVO NESSUNO CON CUI PARLARE E IL SOLO MODO CHE CONOSCO PER SFOGARMI E’ QUESTO, VA BENE? – mentre ancora urlava quelle parole le afferra il braccio e inizia a stringerla e stringerla e stringerla… – Jeff, stai stringendo troppo, Jeff fa male! JEFF MI STAI FACENDO MALE! – resta sbalordita di quanta forza stava mettendo in quella stretta, che le stava stampando come un cerchio rosso sul braccio. Non si era accorto di cosa stava facendo, i loro occhi si riempiono di lacrime. Isabella prende la borsa a va via.

Lui è sconvolto e deluso e arrabbiato; lei era andata lì per aiutarlo e lui al solito non ha saputo come comportarsi, aveva ancora i postumi della sbornia e un mal di testa lancinante. Va in cucina e si prepara un’aspirina; quando ancora è poggiato al bancone ad aspettare che quella si sciogliesse completamente, gli passano davanti agli occhi tutti i bei momenti passati con lei: quando la vide per la prima volta, quando la invitò a cena, le gite, le serate davanti alla tv, poi la sera in cui gli disse che sarebbe partita, i giorni senza di lei, Ben e i ragazzi, i locali, la musica forte, i drink, le ragazze mezze nude, CONFUSIONE. Beve l’aspirina e si sdraia sul divano, si addormenta. E’ sera e Jeff sente squillare il cellulare dall’altra stanza, mentre sta per alzarsi si interrompe la chiamata; quando raggiunge il cellulare, trova una chiamata senza risposta di Isabella – “Che faccio? La richiamo, devo chiederle scusa”. Lei risponde al secondo squillo: – Jeff? – Ehi, scusa non ho fatto in tempo a rispondere… – Silenzio. Di nuovo quel silenzio imbarazzante. – “Senti”- rispondono in contemporanea: – Oh… dimmi!- esclama lei. – No niente, volevo chiederti scusa per come mi sono comportato, ho sbagliato e ne sono mortificato. Ho sbagliato tutto. Ho lasciato che il mio problema prendesse il sopravvento, ero debole, non sono stato in grado di dominarmi, di autocontrollarmi…- Mi manchi, Jeff. – Ma ho rimediato, sai? Ho preso il diploma alla scuola serale! Non ho avuto il massimo, ma ho raggiunto un buon risultato! – Mi hai sentito? Ho detto che mi manchi… – Jeff continua a parlare e parlare e non si rende conto di quello che dice lei dall’altra parte del cellulare. Isabella riattacca. – Pronto? Isabella? Pronto? – “Ma ha riattaccato?” Non aveva nemmeno finito di pensarlo, che sente bussare alla porta, va ad aprire, i suoi occhi si riempiono di lacrime: lei è lì, in tutta la sua gentile avvenenza, con gli occhi lucidi e il cellulare in mano. – Posso offrirti un posto di lavoro nel mio ufficio, sai? Ah…Ti ho detto che mi manchi…- corre verso di lui e gli si butta al collo, si stringono forte forte, fino a farsi male; poi lei prende il suo viso tra le mani dolcemente e gli sussurra: – Non permetterò che ti rovini. Faremo lo stesso cammino insieme ed io ti guiderò. – Ed io che faccio? Come posso collaborare? Come posso esserti grato? – Intanto, comincia con non lasciarmi la mano…-.

AMOR VINCIT OMNIA

Non sprecare la tua vita. Il tempo che perderesti davanti ad una bottiglia, andrà perso per sempre insieme alla tua esistenza. Ognuno di noi vorrà essere ricordato per qualcosa di bello, tu per che cosa?
Spero, non per quello stupido “RED LABEL”…da porre, inesorabilmente, come ultimo “epitaffio”!

NOELIA RAGUSA IV A – LICEO CLASSICO – IST. SUPERIORE “G. CARDUCCI – COMISO (RG)

2016-03-02T15:09:15+01:00