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Istituto agrario Marsala: “Segni sofferenza ci insegnano rispetto”

MARSALA (Trapani)- Boiro è un 31enne segenalese approdato in Italia nel 2008 che, dopo due anni di attesa a Marsala per ottenere il permesso di soggiorno, ha intrapreso un percorso di studi fatto di sacrifici, lavorando la sera nei ristoranti per mantenersi. Ha guadagnato a sufficienza per affittare casa e per comprare una macchina. La […]

19 Aprile 2018

MARSALA (Trapani)- Boiro è un 31enne segenalese approdato in Italia nel 2008 che, dopo due anni di attesa a Marsala per ottenere il permesso di soggiorno, ha intrapreso un percorso di studi fatto di sacrifici, lavorando la sera nei ristoranti per mantenersi. Ha guadagnato a sufficienza per affittare casa e per comprare una macchina.

La sua storia d’integrazione ci viene raccontata da Domenico Pocorobba, dirigente dell’Istituto Agrario Abele Damiani di Marsala, una delle scuole professionali più frequentate in città, che ha fatto rete nella progettazione formativa contro la tratta degli esseri umani; una scuola dove le storie di vita di alunni di diverse culture, si intrecciano a quella dei docenti, della popolazione all’insegna della forza del lavoro.

“Fianco a fianco siamo tutti uguali, anzi, abbiamo solo da imparare dai ragazzi provenienti dall’Africa che hanno un grande senso del dovere, un estremo rispetto delle regole – dice Pocorobba – A seguire i nostri corsi scolastici, sia diurni che serali, sono tutti gli immigrati, richiedenti asilo o lavoratori già inseriti. Alcuni di loro seguono le cinque ore di lezione, arrivando dalle lontane contrade periferiche in bicicletta”.

Quest’anno sono state persino interrotte le iscrizioni per l’eccessivo numero di richieste di inserimento, dovuto al fatto che l’istituto Damiani, a differenza di altre, è una scuola professionale dove si può concretamente operare sia in attività agraria che alberghiera, superando facilmente i limiti della comprensione della lingua, poiché  l’apprendimento parte dalla manualità.

Il dirigente ci racconta di una realtà particolarmente aperta all’accoglienza, che già da tempo vanta esperienze di conoscenza diretta con alunni che vengono da altri paesi. Il suo racconto  è molto dettagliato nelle differenze fra le diverse zone dell’Africa che vede, per esempio, marocchini e tunisini
più in linea con le nostre abitudini, ma molto rigidi nell’educazione familiare con una reale soggezione soprattutto della figura paterna, che nutre profonde aspettative nella carriera scolastica del figlio.

Nell’ottica dell’integrazione l’unico ostacolo che si è presentato è stato relativo alla nuova normativa che regola l’inserimento degli stranieri, poiché è diventato obbligatorio il passaggio di acquisizione del diploma di scuola secondaria di primo grado, non considerando più età e anni di scuola frequentati nel proprio paese di appartenenza. Nel percorso didattico, la scuola ha già visto la partecipazione ad attività
che hanno coinvolto i ragazzi provenienti dai centri di accoglienza inseriti in laboratori di cucina, per seguire lezioni tecniche e pratiche. Un interscambio, quello lavorativo, che si verifica anche sul territorio, con le realtà commerciali con cui si lavora a stretto contatto, e che consente di scardinare qualsiasi pregiudizio dal punto di vista sociale.

L’approccio descritto da Domenico Pocorobba è stato rafforzato da tutti i docenti, che hanno mostrato una naturale apertura all’accoglienza, supportato da un adeguato percorso formativo. Nella complessità  delle relazioni umane, il quadro descritto è quello di una piccola ma importante comunità  capace di dare impulso all’integrazione seppur deve scontare l’assenza di adeguati strumenti per la gestione di vittime di tratta, nonostante sia il luogo dove queste potenziali situazioni possono essere maggiormente percepibili.

Fra i punti di riferimento della scuola, c’è il professore Alfonso Sanfilippo, docente di inglese che ha maturato una grande esperienza lavorando nei centri di accoglienza. Lui possiede una prospettiva strutturata del problema della tratta, che nel caso del fenomeno migratorio ritiene come fondamentale
per la prevenzione, lavorare direttamente nei paesi di loro provenienza. Ma c’è una grande sensibilità che porta sempre a considerare le pesanti storie di vita degli immigrati, più di ogni altro fattore. Il preside più  volte parla dei segni evidenti che portano sul loro corpo; segni di torture e di violenza che non possono non essere osservati. “Guardando i loro occhi – dice – è evidente la sofferenza che portano dentro”.

2018-04-24T18:33:48+02:00