Ospite della Summer School per il Sud Italia, organizzata dall’agenzia stampa Dire e dal portale Diregiovani.it, Alessandro Gallo, regista e scrittore napoletano ma che oggi vive in Emilia Romagna, è stato il protagonista di un incontro con gli studenti molto intenso. Gallo ha raccontato del suo passato non facile e della sua famiglia legata a doppio filo con la camorra e con i clan del rione Traiano di Napoli. Lo scrittore è, infatti, figlio del camorrista Gennaro e cugino di Cristina Pinto, “la passionaria Nikita della camorra”. Vissuto in una realtà difficile, è riuscito ad evadere dal suo mondo fatto di criminalità e camorra grazie alla semplice passione per il teatro. Oggi, da uomo sposato e professionista affermato, racconta la sua storia cercando di trovare un modo, anche grazie al teatro di impegno civile, di contrastare il fenomeno della criminalità organizzata. Alessandro è autore di una trilogia – Scimmie, Tutta un’altra storia, Andrea torna a settembre – dove narra le vicende di alcuni giovani iniziati al mondo della criminalità e del loro riscatto.
Uno dei libri a cui lei ha collaborato, ovvero “La grammatica di Nisida”, le ha permesso di entrare in contatto con realtà molto difficili. Come ha vissuto questa esperienza?
“La raccolta de ‘La grammatica di Nisida’ è stata curata dall’insegnante del carcere Maria Franco. Lei stessa, tempo prima, mi aveva chiesto di incontrare alcuni detenuti per parlare di grammatica italiana per poi scegliere un complemento, e partendo da quest’ultimo, scriverci una storia. L’esperienza è stata ottima, è stato molto facile instaurare un rapporto in quanto molti detenuti provenivano da territori vicini in cui ero vissuto, di conseguenza conoscevano già la mia storia e le mie doti da scrittore ed attore”.
Dati i precedenti della sua famiglia come mai lei ha scelto di non seguire le loro orme?
“La realtà criminale che ho vissuto io è ben diversa di quella di oggi. Mio padre e mia cugina hanno portato avanti un modus operandi tipico degli anni 80′, la loro scelta fu di delinquere senza coinvolgere o spingere nessun’altro ad entrare nelle dinamiche criminali. Tenevano molto alla distinzione tra noi, considerati la parte buona della famiglia, e loro, il lato marcio. A volte si utilizza questo pretesto per giustificare le proprie azioni, ma non esiste la camorra buona. Nessuno deve delinquere per salvare il futuro di qualcun altro, chi delinque infatti lo fa solo ed esclusivamente per i propri interessi. Questo pretesto è utilizzato da loro per giustificarsi dopo decine di anni di galera, ‘in fondo tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per voi'”.
Come è riuscito a riscattarsi dalla sua famiglia ed essere giudicato per le sue qualità? É stato difficile?
“Si può riassumere tutto in una frase,’Non vi odierò mai, ma non chiedetemi di essere come voi'”.
La sua posizione antimafia le ha mai portato problemi? Ha comportato un allontanamento dalla sua famiglia?
“Problemi sì, ma non in casa. Sin da subito ho spiegato la situazione sia a mio padre che a mia cugina definendo che la mia scelta non era stata dettata dall’odio bensì dalla voglia di affermare che io non sono e non sarò mai come loro. Il problema è stato con il restante dei criminali in quanto non ho a tutti piaceva che venissero raccontate le loro gesta. Una parte della criminalità vedeva la mia carriera come un modo per rafforzare il proprio ego e di conseguenza la propria supremazia sul territorio, l’altro lato della criminalità mi vedeva come una minaccia che poteva portare alla rovina dei loro affari. Ci sono stati momenti difficili, ma sono stati superati”.
Ha mai pensato di denunciare direttamente alle autorità le azioni di sua cugina?
“Non ne ho avuto bisogno. Lo Stato è arrivato prima delle nostre denunce, le nostre vite erano già sotto il loro controllo”.
di Annapaola Maiellaro