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Fab Labs: dalla conoscenza alla tecnologia, come cambiano le biblioteche

Si chiamano Fab Labs e sono delle vere e proprie officine in cui ognuno può costruire, da solo, degli oggetti tecnologici.

Si chiamano Fab Labs e sono delle vere e proprie officine in cui ognuno può costruire, da solo, degli oggetti tecnologici. Questi spazi sono dotati di strumenti computerizzati che permettono di far leva sulla creatività per ottenere prodotti tecnologici su misura, personalizzati in base ai desideri e alle esigenze di chi li realizza. Ma possono anche essere declinati come Maker spaces o Learning labs, vale a dire luoghi in cui le tecnologie digitali danno una mano all’apprendimento e alla concretezza.
Di fatto, sono luoghi in cui la conoscenza si fa applicazione. E di solito trovano ospitalità in biblioteche o centri culturali. Proprio su questa evoluzione degli spazi tipici del sapere si è incentrato lo Spring Event di quest’anno. Lo Spring Event è l’incontro, organizzato dall’ambasciata americana e dalla American University of Rome, per discutere del futuro delle biblioteche.
Uno dei relatori è stato Neil Gershenfeld, docente americano del MIT e artefice e promotore dei Fabrication Laboratory in tutto il mondo. Noi, lo abbiamo intervistato.


Dieci candeline per Mars Express
Sono passati 10 anni dal lancio della sonda europea Mars express alla scoperta del pianeta rosso. Era il 2 giugno del 2003 e la missione partiva con gli obiettivi di studiare l’atmosfera e le sue interazioni con il vento solare, caratterizzare mineralogicamente la superficie e mappare fotograficamente il pianeta. Ma soprattutto la sonda si sarebbe dedicata alla ricerca di acqua, ghiacchio o altre tracce di vita. E’ grazie a Mars Express se oggi sappiamo che, in passato, il pianeta rosso non era l’arido deserto che vediamo oggi. Per fare questo, sulla sonda sono stati imbarcato sette strumenti. Due di questi, veicolati dall’Asi, sono italiani: si tratta dello spettrometro di Fourier PFS per lo studio dell’atmosfera e del radar subsuperficiale MARSIS. Ma il contributo italiano non finisce qui, perché comprende anche lo spettrometro ad immagini VNIR per lo strumento OMEGA, il sensore di atomi neutri per l’esperimento ASPERA, e la partecipazione all’analisi scientifica dei dati della telecamera stereo HRSC

Anche i robot hanno il senso del tatto
L’apripista è Roboskin, il progetto europeo realizzato da una collaborazione di ricercatori italiani, svizzeri ed inglesi, e coordinato dall’università di Genova. Grazie a lui è stata realizzata una pelle artificiale che, per merito dei sensori di cui è dotata, può raccogliere informazioni tattili. Queste vengono poi processate con dei software implementati nel cervello artificiale dei robot. Per gestire queste informazioni, i ricercatori hanno creato una sorta di meccanismo cognitivo per l’utilizzo dei dati. Per i sensori, invece, la tecnologia più adatta sembra essere quella dei semiconduttori organici flessibili. La vera novità è che Roboskin ha sviluppato un procedimento per costruire sensori tattili su robot di tipi diversi. Ed è questo, spiegano dal team, che risolve il problema, vecchio di decenni, di fornire una maggiore percezione sensoriale.

L’esoscheletro che fa camminare chi è paralizzato
Si chiama MindWalker ed è il robot che permette ai disabili di camminare usando la mente. E’ una sorta di esoscheletro che funziona basandosi su tre elementi. Il primo è il marchingegno che mantiene il peso del corpo e muove le gambe secondo le istruzioni ricevute; il secondo è l’ambiente di realtà virtuale in cui le persone che lo indossano imparano ad usarlo e infine c’è una componente che decodifica l’attività cerebrale dell’operatore. Il risultato è che le persone paralizzate possono camminare. Il progetto ha ricevuto il finanziamento delle Commissione europea ed è il risultato della sinergia tra varie università ed aziende.

Via Lattea, il sistema solare non è in periferia
La mappa della via Lattea, per quanto dettagliata, non è definitiva. E ora recenti studi ipotizzano che il nostro sistema solare potrebbe non essere periferico, come si è sempre ritenuto. Il Very Long Baseline Array, il radiotelescopio più grande al mondo, ha osservatoVia Lattea che lo Sperone di Orione, dove è collocato il sistema solare, non sarebbe un braccio secondario, ma un braccio della spirale della nostra galassia. La posizione è tra il Braccio Carena-Sagittario, più vicino al centro galattico, e il Braccio di Perseo, che si trova all’esterno della galassia. I dati pubblicati su Astrophysical Journal dimostrano che non si tratta di uno sperone, ma di una struttura più grande e importante, forse una diramazione del Braccio di Perseo.

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2018-06-05T17:31:11+02:00