Cyberbullismo è, come noto, il termine con cui si indicano gli atti di bullismo in forma telematica, che assumono forme sempre diverse in relazione alla rapida evoluzione dei costumi sociali e della tecnologia a cui si appoggiano. Tra le modalità di offesa più recenti sono quelle che colpiscono con l’invio di immagini e testi a sfondo sessuale offensivi o lesivi della privacy, che sfruttano la pratica del così detto ‘sexting’, neologismo con cui si indica l’invio di parole e di immagini sessualmente esplicite diffuso anche grazie ad applicazioni di messaggistica istantanea, come WhatsApp e Snapchat. In qualunque forma si presenti, il bullismo è spesso all’origine di drammi esistenziali che vedono i ragazzi fragili, incapaci di chiedere aiuto e di confidare nelle istituzioni.
Da anni si ragiona sul tema, ma recentemente si è avuta un’accelerazione, dovuta alla crescente emergenza, come attesta l’approvazione in Senato della “legge Ferrara” e quella, da parte della Regione Lombardia, di una legge su bullismo e cyberbullismo. Due strumenti importanti, anche se gran parte del lavoro di prevenzione e contrasto degli atti di bullismo consiste nel dare fiducia ai giovani e nell’accompagnarli a modalità di comunicazione valorizzanti e autentiche.
Ambito privilegiato per lo sviluppo di tale competenza è, certo, la comunità scolastica, chiamata oggi a formare i così detti “cittadini digitali”: Delia Campanelli (Direttore Generale in Lombardia) sostiene i percorsi di cittadinanza digitale nelle scuole, lo studio di diritti e doveri dei cittadini del web che, in una visione organica, integrino l’educazione alla legalità, alla salute e alle differenze e ricorda il ruolo strategico di una formazione specifica dei docenti, volta a creare prevenzione e interventi consapevoli e tempestivi nelle situazioni a rischio, auspicandone l’estensione anche ai neoimmessi in ruolo.
Spesso i ragazzi non si accorgono che la loro condotta scivola nell’illegalità e non attribuiscono alle proprie azioni l’etichetta di ‘reato’: «perfino un gesto che i nostri ragazzi, ma anche tanti adulti, considerano innocuo come postare su fb la foto di qualcuno senza consenso è reato» – dicono gli esperti. Tale inconsapevolezza può condurre a gesti pericolosi, a un uso lesivo della comunicazione come ad esserne vittime.
La testimonianza che più di tutti lascia il segno è quella di Carolina, suicida perché vittima di reati di bullismo e cyberbullismo: la sua storia, narrata dal padre, Paolo Picchio, che gira tra le scuole per suscitare consapevolezza tra i ragazzi, rappresenta un monito alla collaborazione solidale con le vittime e alla denuncia di bulli e cyberbulli.