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Pillole di stile: il fashion sostenibile e le azioni dei governi

Nonostante le riviste ed i periodici abbiano frequentemente pubblicato articoli sull’argomento, di fatto il significato della parola “sostenibile” rimane ancora incerta

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“Ogni volta che spendi soldi stai votando il mondo che desideri”

                                                                                  Anne Lappé 

ROMA – Secondo l’ultimo rapporto 2019 della società di consulenza McKinsey intitolato: ‘Fashion’s new must-have: sustainable sourcing at scale’, la ricerca della parola ‘fashion sostenibile’ su internet è triplicata tra il 2016 ed il 2019. Le visite su Instagram che portano l’hashtag #sustainablefashion sono quintuplicate negli stessi anni 2016-2019. Ancora più interessante è il fatto che 100 ragazzi tra i 16 ed i 25 anni, fermati per le strade di Londra, Colonia, Madrid e Parigi e invitati a rispondere al sondaggio McKinsey sulla parola ‘fashion sostenibile’ non fossero sicuri del suo significato e di riconoscere brand o rivenditori più sostenibili rispetto ad altri.

Nonostante le riviste e i periodici abbiano frequentemente pubblicato articoli sull’argomento, di fatto il significato della parola ‘sostenibile’ rimane ancora incerta e complessa da spiegare al consumatore finale non necessariamente giovane. Le ragioni risiedono in una mancanza di linguaggio o vocabolario ancora non chiaro agli stessi addetti al settore.

Di fatto, quando si parla di fashion sostenibile sono diversi gli aspetti da prendere in considerazione quali: innovazione nella tecnologia, gli standard di riferimento, i processi, i materiali utilizzati e la trasparenza nella comunicazione di tali informazioni al consumatore.

Da un punto di vista legislativo, da quando gli obiettivi di sviluppo sostenibile (UN Sustainable Development Goals) sono stati adottati dai membri delle Nazioni Unite nel 2015, sono state intraprese altre azioni multilaterali sia a livello globale che dai singoli governi a favore del consumatore e dell’ambiente:

Livello Globale

• 2015 – Dichiarazione dei leader G7 che concordano nel promulgare standard di dovuta diligenza a livello industriale nel settore tessile e dell’abbigliamento confezionato
• 2017 – Guida OCSE sul dovere di diligenza per una catena di approvvigionamento responsabile nel settore dell’abbigliamento e delle calzature
• 2019 – Vertice G7 in cui viene inaugurato il patto della moda. Nello specifico, 32 grandi aziende di abbigliamento concordano una serie di obiettivi condivisi di sostenibilità ambientale

Alcuni esempi a livello nazionale:

• La Cina continua a inasprire le sue politiche ambientali come parte del suo tredicesimo piano quinquennale 2016-2020
• La Francia è in procinto di attuare una legge economica all’inizio del 2021 che vieterà alle aziende di abbigliamento di distruggere lo stock prodotto in eccesso
• La Turchia ha esteso la sua Zero Waste Campaign al settore dell’abbigliamento

Allo stato attuale, siamo ancora molto lontani dal raggiungimento di obiettivi completamente sostenibili ma l’industria del fashion ne sta realizzando l’importanza seppur a costo elevato.

Di seguito i 4 obiettivi su cui stanno lavorando le case di moda e di abbigliamento per i prossimi 5 anni e che speriamo vedere realizzati:

1. Utilizzo di materiali sostenibili dichiarati in maniera trasparente al consumatore finale
2. Maggiore trasparenza sulla catena di fornitura e condividere tali informazioni con il consumatore
3. Trasformare le relazioni con i fornitori in partnership strategiche. Le industrie della moda si stanno rendendo conto che investire in maniera pro-attiva nella sostenibilità ambientale, nel benessere dei propri impiegati e nei salari più equi apporterebbe un enorme vantaggio sia dal punto di vista ambientale che di credibilità e fiducia da parte del consumatore finale
4. Reinventare le pratiche di acquisto migliorando l’efficienza dei processi di produzione interna

2019-11-22T17:22:47+01:00