ROMA – “Unlockdown è un film eccezionale girato in un momento eccezionale” è questa la frase che introduce il mediometraggio ‘(Un)lockdown’ dei tre registi Andrea Di Paola, Camilla Borò e Pietro Repisti che ha visto la partecipazione di 32 classi di scuole italiane. Il progetto, curato da Cineteca Milano, ha coinvolto oltre seicento fra ragazzi e ragazze e aveva l’obiettivo di raccontare, in poco più di mezz’ora, l’esperienza del lockdown, rendendo omaggio alla creatività e alla resilienza di studenti e insegnanti.
Una narrazione a tappe scandita da orari ben precisi, si inizia dal capitolo 1 la sveglia ore 7.00 fino ad arrivare alle 13 l’ultimo capitolo. Si racconta per immagini la nuova dimensione delle classi virtuali, ma si sogna anche di ritrovare le interazioni fisiche irraggiungibili sulle piattaforme virtuali. Una necessità che nel film prende la forma di una pallina di carta che i ragazzi si lanciano da un riquadro all’altro durante la lezione su Meet proprio come se fossero in classe.
Un film che rimarrà come una preziosa testimonianza di una realtà stravolta, di un quotidiano che si è dovuto riorganizzare in nuove forme per continuare a esistere e, in questo passaggio, la scuola è stato un banco di prova cruciale. Il lockdown ha avuto un effetto dirompente che ha distrutto gli argini che separavano il pubblico dal privato entrando nelle case degli studenti e delle loro famiglie, spostando dalla classe alla camera l’ambiente di apprendimento, ha riempito il fossato fra la cattedra e i banchi inserendo gli insegnanti in un riquadro insieme ai loro studenti.
Non è un caso se le prime immagini del film sono le sveglie, tutte diverse, dei ragazzi, i loro letti, le loro camere, i luoghi del loro privato che diventano d’improvviso gli scenari in cui si svolge la loro nuova sfera pubblica. Alle immagini, girate dagli stessi ragazzi coi loro smartphone, si alternano dei disegni animati che si compongono come un patchwork sullo schermo, come in un lungo sogno dove si alternano navicelle spaziali a piramidi egizie; perché se c’è una cosa che rimane la stessa, in classe o fuori, sono i lunghi viaggi a occhi aperti che, durante le lezioni, rapiscono gli studenti per portarli altrove, fuori dalla classe, fuori da scuola, fuori dalla realtà; una fuga che di questi tempi sa anche di libertà.