La storia inizia all’alba del Novecento. Allora Bagnoli non era ancora la speranza di una Napoli industriale, né la delusione di chi ha visto dismettere le fabbriche qualche decennio più tardi. All’epoca, Bagnoli, era una campagna che si distendeva alle pendici della collina di Posillipo e si allungava verso il mare. Quando è arrivata la bonifica, Bagnoli si modella sull’orizzonte dei capannoni e delle ciminiere, quelle della più grande industria siderurgica nazionale, l’Ilva. Era il 1910. Spuntano acciaierie e cementifici e al debutto degli anni Sessanta l’Ilva diventa Italsider, dopo la fusione con la Cornigliano. E’ uno dei maggiori gruppi dell’industria di Stato negli anni del boom economico. Ma non dura in eterno. Nel 1992 l’Italsider chiude definitivamente.
Dove c’era un’acciaieria, carbon coke, vapore e fumo, ora c’è un centro nevralgico che basa tutto sulla conoscenza. Il motto della Città della Scienza è proprio questo: "far conoscere tutto a tutti, costruire un’economia basata sulla conoscenza". Ma la vita di quell’esperimento felice e riuscito naufraga nel fuoco. E’ la sera del 4 marzo, un lunedì. E’ il giorno di chiusura settimanale della Città della Scienza. E’ il giorno in cui va tutto in fumo. Un violento incendio riduce in cenere 4 capannoni, quasi tutto il materiale va perduto. Brucia anche il server ufficiale del sito. Le indagini sono in corso, probabilmente il rogo è doloso.
In attesa di conoscere la verità, intanto, qualcosa si muove. Per gestire l’ondata di solidarietà che arriva da tutta Italia, e anche da Oltralpe, vengono attivati 2 canali di aiuto. Si chiamano DeRev e CambioMerci, sono due start up campane che, gratis, hanno messo a disposizione la loro piattaforma web. DeRev raccoglie fondi, mentre CambioMerci è il punto di incontro per professionisti e imprese, dove si possono scambiare materiali e competenze utili per la ricostruzione. E per stare vicini a Città della Scienza, è stato organizzato per domenica 10 marzo, alle 11, un flash mob ai cancelli di Bagnoli. Maglia bianca e lutto al braccio. Da lì, si riparte.
Si chiamano Everest e Sherpa e sono il nuovo orologio dell’universo. Si tratta di due supernove, stelle esplose centinaia di milioni di anni fa. La loro luce è arrivata solo adesso sulla Terra e aiuta a migliorare il ‘metro astronomico’, la misura che gli scienziati usano per calcolare l’accelerazione dell’espansione dell’universo. Everest è esplosa più o meno 450 milioni di anni fa, mentre l’esplosione di Sherpa risale a 230 milioni di anni fa: la luce che si è generata da questo evento ha viaggiato verso la Terra sin dal periodo Triassico, quando i dinosauri vagavano ancora sul pianeta. Nessuna delle due è notevole per essere la più giovane, la più antica, la più vicina, la più lontana o la più grande. Eppure, sono importantissime. Grazie a loro gli astronomi possono calibrare con maggior precisione la velocità crescente con cui il nostro universo è in espansione. E così, comprendere meglio anche l’energia oscura.
Herschel al capolinea, niente più elio, liquido refrigerante a bordo
E’ partito quasi 4 anni fa e adesso, dopo aver accumulato 22.000 ore di osservazione -il 10% in più della pianificazione iniziale- cambia completamente rotta. Sta per succedere questo ad Herschel, il più grande e potente telescopio a infrarossi mai mandato a studiarel’universo. L’osservatorio spaziale dell’Esa fu spedito nello spazio il 14 maggio 2009 e si trova, attualmente, a 1,5 milioni di chilometri dal nostro pianeta. Ma ora la sua scorta di elio liquido refrigerante sta finendo. Gli scienziati si preparano a trovargli una nuova rotta. Un’ipotesi è quella di introdurlo in un’orbita solare che non intersechi quella della Terra per i prossimi secoli, mentre un’altra possibilità è quella di progettare l’impatto sulla Luna, con una collisione ad alta velocità. Questa seconda ipotesi sarebbe utile per lo studio e la ricerca dell’acqua sul nostro satellite. Per scoprire dove Herschel passerà la sua pensione c’è ancora qualche settimana di tempo.
Quanti anni ha l’Iliade? 2.279
Chi abbia narrato l’ira funesta del Pelìde Achille, lo struggente addio di Ettore e Andromaca e il dolore del vecchio Priamo che si trascina a chiedere indietro il cadavere del figlio, è ancora un mistero. Di Omero non si sa se sia esistito o meno, ma di sicuro adesso si conosce la data di composizione del poema epico più famoso di sempre. L’assedio di Ilio è stato narrato in forma di cronaca, così come lo conosciamo, 2.779 anni fa. Sono stati gli esperti della School of Biological Sciences ad utilizzare modelli statistici di evoluzione del linguaggio per attribuire una data certa alla composizione. E il responso è questo: la stesura dell’Iliade risale al 762 avanti Cristo. Gli scienziati hanno analizzato le differenze in un insieme comune di parole del greco omerico, greco moderno e ittita e hanno valutato poi la distanza temporale che separa i tre idiomi. Secondo i loro calcoli la scrittura dell’opera si può collocare con una certezza del 95% nel periodo tra il 376 e il 1157 avanti Cristo. L’anno più probabile è, appunto, il 762.
Buio sul buco nero
Il triangolo c’è e si vede. Nel sistema binario Swift J1357.2-0933, distante 5.000 anni luce dalla Terra, ci sono una stella e un buco nero. Ma anche un ‘intruso’. Si tratta di un oggetto imprevisto, di struttura verticale, che si alza al centro del disco di accrescimento del sistema e che oscura parzialmente il buco nero. Il sistema binario è stato studiato grazie ai telescopi Isaac Newton e William Herschel nell’isola di La Palma e l’osservazione ha svelato con grande precisione forma, posizione e dimensione del misterioso oggetto. Gli scienziati lo hanno capito studiando le anomalie dello spettro luminoso ricevuto dai telescopi. Ora la sfida è capire di quale oggetto si tratti esattamente e se esistono dei suoi ‘gemelli’ in sistemi analoghi.
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