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La sottile linea bianca: ghiacci dell’Artico mai così sottili

Questo è l'ammonimento di Walt Meier, esperto di ghiaccio della NASA al lavoro nel Goddard Space Flight Center del Maryland. "La tendenza sul lungo termine è fortemente al ribasso"

13 Settembre 2013
Il buco nero soffia e le stelle non nascono più
Le galassie, a un certo punto della loro vita, diventano incapaci di generare nuove stelle. E’ come se fossero di colpo sterili, ma finora non se ne conosceva il motivo. Adesso, grazie alle osservazioni coordinate di radiotelescopi in Europa e America, il mistero è stato svelato: il responsabile è il buco nero dentro le galassie stesse, che spazza via una nube che contiene il ‘cibo’ necessario alla nascita di nuove stelle. Per la prima volta l’azione del buco nero è stata compresa da un gruppo internazionale di ricercatori guidato dall’italiana Raffaella Morganti in forza all’Istituto olandese per la Radioastronomia e all’Università di Groninga.

Svelate nuove dinamiche del Sole
Cambia tutto all’interno della nostra stella. Le osservazioni dell”Helioseismic and Magnetic Imager‘ a bordo del Solar Dynamics Observatory (SDO) della Nasa rivoluzionano il modo di guardare alle dinamiche che si sviluppano dentro al Sole. Anziché un semplice ciclo di flussi che vanno verso i poli in prossimità della superficie e poi tornano indietro verso l’equatore, ora il materiale all’interno ha mostrato un sistema di circolazione strutturato su due livelli. Questo nuovo modello si lega al rovesciamento dei poli magnetici del Sole, che si verifica ogni undici anni circa. La nuova mappa dei movimenti interni che così è stata tracciata è un passo in avanti per capire a fondo i continui cambiamenti del magnetismo solare.

E’ il Tamu Massif il più grande vulcano del mondo
Hanno analizzato i carotaggi e i dati di sismica a riflessione e, infine, gli scienziati sono riusciti a stabilire che quel massiccio da 310.000 km quadrati adagiato nell’oceano Pacifico è il vulcano più grande della Terra. Il Tamu Massif è addirittura paragonabile, per mole, al gigantesco Olympus Mons di Marte. Prima dello studio si riteneva che non si trattasse di un unico vulcano, ma di un complesso di punti eruttivi. Ma ora, dopo aver analizzato la composizione della massa di basalto del massiccio e averne indagato la struttura, gli scienziati hanno potuto confermare che si tratta di un unico vulcano, basso e largo, con un solo punto eruttivo localizzato in prossimità del centro. Non si tratta di un vulcano attivo: si è formato circa 145 milioni ed è diventato inattivo pochi milioni di anni dopo.

La caccia ‘domestica’ agli esopianeti
Chi ama osservare il cielo potrebbe essere di aiuto agli astronomi professionisti. Scaricando il software OSCAAR, messo gratuitamente a disposizione dalla Nasa, e armandosi di un telescopio dotato di un fotorivelatore elettronico, si può contribuire alla caccia agli esopianeti. Grazie a Kepler, infatti, gli astronomi si sono resi contro che di pianeti da scoprire ce ne sono tanti e hanno deciso di aprire al grande pubblico la ricerca. In sostanza si tratta di misurare la brillantezza delle stelle e i cambiamenti dovuti al passaggio dei pianeti, accertandosi che si tratti di questo e non di variazioni dovute all’atmosfera terrestre. Il programma è open source, quindi è modificabile (e migliorabile) dagli utenti.



Sulla superficie terrestre non tutto è come sembra. E i ghiacci dell’Artico non fanno eccezione. Nel nostro continente il mese di settembre segna che ci siamo lasciati alle spalle l’estate, mentre al polo Nord questa è la stagione in cui si fanno i conti con quella grande distesa bianca e congelata che ricopre come un manto le acque dell’oceano.

L’anno scorso la situazione era sembrata preoccupante. Il 2012 infatti segnò il record negativo di 3, 41 milioni di chilometri quadrati ricoperti. Una cifra ben lontana da quella registrata nel 1996, quando il ghiaccio regnava indiscusso nell’Artico con la sua estensione di 8, 2 milioni di chilometri quadrati. Mai come l’anno scorso la misurazione era stata così bassa e così considerevolmente al di sotto della media. Stando alle rilevazioni della NASA, che da più di 30 anni tiene sotto controllo l’evoluzione del ghiaccio al Polo Nord, nel mese di agosto 2013 il trend negativo ha cambiato rotta. Non solo la superficie perduta non sarà da record come l’anno scorso, ma si registra anche una lieve ripresa. L’estensione della coltre bianca supera, di poco, i cinque milioni di chilometri quadrati. Eppure nessuno canta vittoria.


"Anche se quest’anno non è che al sesto o settimo posto nella classifica della minore estensione, quello che è importante considerare è che le dieci estensioni più ridotte sono state tutte registrate negli ultimi dieci anni". Questo è l’ammonimento di Walt Meier, esperto di ghiaccio della NASA al lavoro nel Goddard Space Flight Center del Maryland. "La tendenza sul lungo termine è fortemente al ribasso", annota. Ma questa non è l’unica nota negativa.

I dati della Nasa vanno incrociati con quelli dell’Agenzia spaziale europea (Esa). A scandagliare l’Artico c’è anche il satellite Cryosat, concepito proprio allo scopo di misurare lo stato di salute dei ghiacci. E quello che ha visto quest’anno non promette nulla di buono. Secondo le sue osservazioni, infatti, il manto bianco è sempre più sottile. Ed ecco spuntare un record negativo anche per il 2013: è l’anno con il minor volume di ghiacci artici. Facendo i conti, la quantità ammonta a meno di 15.000 chilometri cubi, cioè la quantità più bassa degli ultimi tre anni. Se da una parte, quindi, il ghiaccio aumenta, dall’altro questa nota positiva viene vanificata a causa della riduzione del volume. Ma c’è di peggio.

Il ghiaccio non è tutto uguale. Può essere distinto in base a due categorie: da una parte quello più fresco, che si forma durante ogni stagione invernale e alla successiva scompare, dall’altro quello che può dirsi storico, che resiste da ormai molti anni. La tendenza è che sia proprio quest’ultimo ad essere eroso maggiormente. Il ghiaccio fresco è spesso meno di due metri, quello più antico arriva anche a quattro, e, una volta, diminuito, ci possono volere anche cinque anni prima che si riformi. Tradotto, se la tendenza di perdere così tanto volume non si inverte, dopo il 2020 dei ghiacci artici potrebbe non esserci più traccia. A questa prospettiva catastrofica si aggiunge la consapevolezza che il Polo Nord sia una delle zone del pianeta in cui il riscaldamento globale faccia sentire di più i suoi effetti. Le temperature medie registrate nell’Artico sono superiori di 2,5 gradi alla media della Terra, rendendo la zona ancora più vulnerabile.



[image: ESA]

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