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Medicina di bordo, un pletismografo per Samantha Cristoforetti

L’astronauta italiana porterà sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) uno strumento innovativo per misurare la circolazione cervicale

L’astronauta italiana Samantha Cristoforetti portera’ con se’ sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) uno strumento innovativo per misurare la circolazione cervicale. Tecnicamente si chiama pletismografo ed e’ stato messo a punto dal centro malattie vascolari dell’Universita’ di Ferrara, diretto da Paolo Zamboni. Il progetto e’ stato proposto alla Nasa dallo stesso Zamboni e dall’Agenzia spaziale italiana (Asi), ricevendo l’approvazione. Lo strumento che Cristoforetti indossera’ durante la missione ‘Futura’, la cui partenza e’ prevista nel novembre 2014, dara’ modo di capire cosa succede in assenza di gravita’ al sangue. La trasmissione continua dei dati consentira’ di capire se il ritorno del sangue dalla testa al cuore resta invariato rispetto a quello che accade sulla Terra oppure se si instaura un meccanismo adattativo che, studiato, potrebbe rivelarsi utile se applicato ai pazienti. Il pletismografo costruito da Zamboni, quando finira’ la sperimentazione spaziale, rappresentera’ un prezioso dispositivo che consentira’ l’erogazione di medicina a distanza e quindi di diagnosi e cura di tutte quelle patologie riferibili alla Insufficienza venosa cronica cerebrospinale. L’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e l’Asi stanno infatti avviando un progetto di telemedicina, KosmoMed, che andra’ a studiare l’accuratezza diagnostica della pletismografia cervicale trasmettendo dati non piu’ dallo spazio, ma piu’ semplicemente da un ambulatorio periferico a un centro di lettura e consulenza.

– UN ROBOT PER RIPULIRE LO SPAZIO
– SCOPERTO IL FRATELLO DEL SOLE
– PUNTO DI NON RITORNO PER L’ANTARTIDE
– SCIENCE CAMP, TRA NATURA E SCOPERTE

Gli esperimenti medici sono uno dei filoni più battuti dalla ricerca spaziale. Esplorare l’Universo non è solo utile per la conoscenza delle nostre origini e per cercare di decifrare i cambiamenti del nostro stesso pianeta e cercare quindi di anticipare quello che potrebbe succedere. C’è una varietà notevole di branche della conoscenza che vengono arricchite dagli esperimenti a bordo della Stazione spaziale internazionale. A partire, innanzitutto, dalla tecnologia che viene usata dagli astronauti per poter sopravvivere e che ha applicazioni anche terrestri. Basti pensare, per esempio, che l’80% delle imprese del manifatturiero utilizza tecnologie spaziali. Anche in ambiti all’apparenza molto distanti. Gli astronauti portano avanti più percorsi. Da un lato cercando di fare passi avanti per una futura sopravvivenza spaziale al di fuori dell’atmosfera terrestre. Sulla Stazione spaziale ci sono esperimenti per la coltivazione di ortaggi in orbita, per esempio. Contemporaneamente sottopongono i loro corpi a delle prove che chiariscono le reazioni all’assenza di gravità e che stimolano la ricerca medica con ricadute molto importanti per i pazienti terrestri. Anche gli astronauti, durante la permanenza nello spazio, sono costantemente in cura. Vivere tra le stelle ha delle conseguenze importanti per il nostro organismo. Le ossa si assottigliano e si indeboliscono, tanto che, una volta rientrati, il rischio di fratture risulta aumentato rispetto a chi non è mai andato orbita. Oltretutto aumenta la probabilità di avere calcoli renali e gli studi condotti dalla Nasa mostrano che la perdita di massa ossea dopo un mese di permanenza nello spazio è dell’1-1,5% del totale, proprio come quella che subisce in un anno una donna in menopausa. Peraltro questa perdita continua ancora per qualche tempo dopo il rientro a Terra. Ci sono problemi poi anche a carico dei muscoli a causa della prolungata inattività, e si può verificare un abbassamento della vista per cause ancora parzialmente ignote.
La scienza va avanti per tentativi, correzioni e ricerche. Così come è stato in passato, anche i sei mesi della missione ‘Futura’ di Samantha Cristoforetti possono rappresentare un piccolo grande passo verso il progresso.


UN ROBOT PER RIPULIRE LO SPAZIO
Non si può parlare ancora di emergenza rifiuti ma, il problema dei detriti di ogni genere vaganti nello spazio c’è. A ripulire lo spazio infinito ci penserà, a breve, il primo ‘robot spazzino’, un braccio meccanico messo a punto dai ricercatori del Polytechnique Fédérale de Lausanne. Il robot, della grandezza di circa un metro e mezzo, dispone di una mano con quattro dita progettata per afferrare oggetti volanti dalle forme più svariate e dalle traiettorie variabili e complesse. Proprio quella di poter catturare gli oggetti vaganti al primo tentativo è stato, per i ricercatori, il maggior scoglio da superare. La soluzione in un’equazione in grado di far reagire, grazie ad una serie di giunture meccaniche, telecamere e parametri preimpostati, il robot in appena cinque centesimi di secondo.

SCOPERTO IL FRATELLO DEL SOLE
Anche il Sole ha un suo fratello. È HD 162826, una stella formatasi, con molta probabilità, dalla stessa nube di polvere e gas. Posizionata tra la costellazione di Ercole e quella della Lira, a circa 110 anni luce dalla Terra, HD 162826 risulta essere il 15 per cento più massiccia del nostro Sole, e il suo sistema solare, seppur sterile, grazie alla sua luce, potrebbe aiutare gli scienziati a scoprirne altri. Il suo avvistamento si deve a un team di ricercatori dell’Università di Austin, nel Texas, guidati dall’astronomo Ivan Ramirez. La scoperta sarà pubblicata sul prossimo numero di giugno della rivista ‘The Astrophysical Journal’. ‘Se riusciamo a capire in quale parte della galassia si sia formato il Sole, ha detto Ramirez, saremo in grado di vincolare le condizioni nel Sistema Solare primordiale, e questo potrebbe aiutarci a capire perché siamo qui’. Per l’astronomo, dove è presente una stella simile o uguale al nostro Sole, è possibile che vi siano altri pianeti che ospitano la vita per come la conosciamo, anche se da ‘uomo di scienza’, ha spiegato ancora Ramirez, ‘le possibilità sono piccole’, ma non pari a zero.

PUNTO DI NON RITORNO PER L’ANTARTIDE
Si moltiplicano, lasciando poco spazio ai dubbi, gli studi scientifici sui pericoli legati allo scioglimento dei ghiacci antartici. Il 7 maggio scorso la pubblicazione, sulla rivista scientifica ‘Nature Climate Change’, di uno studio sulla fragilità del bacino di Wilkes, la vasta distesa di ghiaccio nell’Antartide orientale. Ieri, l’annuncio di due nuovi lavori, questa volta sul futuro della calotta glaciale occidentale, il cosiddetto Western Antarctic Ice Sheet. Sia l’Università di Washington che la Nasa, in collaborazione con l’Università della California, parlano ormai, dopo aver studiato l’area lungo la costa di Amusden, dove si trova il ghiacciaio Thwaites, di ‘punto di non ritorno’. Le ricerche concordando, infatti, sul fatto che il ghiacciaio, come altri vicini, ha iniziato a collassare. Secondo le simulazioni effettuate, la perdita di ghiaccio continuerà, nel corso del prossimo secolo, con una velocità piuttosto modesta, ma tra 200-500 anni accelererà in maniera repentina e potrebbe determinare un innalzamento del livello dei mari anche di 3 o 4 metri.

SCIENCE CAMP, TRA NATURA E SCOPERTE
Esperimenti, gite nel verde ed invenzioni: quest’estate un gruppo di divulgatori scientifici ha deciso di organizzare uno ScienceCamp in Val Samoggia. La formula è stata già testata in Piemonte e Lombardia ed approda in Emilia Romagna grazie al team di TecnoScienza, di cui fanno parte gli autori più noti di libri di scienza per ragazzi. Nel Camp ci saranno attività su misura, ritagliate sulle esigenze delle diverse fasce d’età, in un continuo avvicendarsi di momenti di scoperta e momenti di sperimentazione, senza dimenticare giochi, sport e gite all’aria aperta. I ragazzi avranno anche la possibilità di preparare un loro progetto da presentare ai genitori all’ultimo giorno, durante la Festa della scienza.


2018-06-05T17:27:45+02:00