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Nascono i bambini, come cambia il cervello di mamma e papà

L'istinto materno? Ce l'hanno anche i papà. I cambiamenti socio culturali degli ultimi decenni hanno decisamente modificato i ruoli in famiglia, tanto da spingere sempre più spesso i papà a prendersi cura dei figli.

L’istinto materno? Ce l’hanno anche i papà. I cambiamenti socio culturali degli ultimi decenni hanno decisamente modificato i ruoli in famiglia, tanto da spingere sempre più spesso i papà a prendersi cura dei figli. Eppure, finora, non si era mai indagato su cosa succedesse a livello cerebrale. Ebbene, nei papà si attiva una rete neuronale esattamente come accade alle mamme, nel momento in cui sono chiamati a prendersi cura del primo figlio. Questo significa che la gravidanza non è determinante per far diventare delle persone genitori e per modificare le attività del cervello in seguito alla nascita dei figli.

– PASSO IN AVANTI NELLA LOTTA AI TUMORI
– DALLE ROCCE LA CONFERMA: C’È ACQUA SULLA LUNA
– NUOVO CRATERE SULLA SUPERFICIE MARZIANA
– OSSERVATA LA VELOCE NUBE DI SMITH

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica Pnas ed è stato condotto dal team diretto da Ruth Feldman nell’università israeliana di Bar-Ilan. L’esperimento ha preso in esame 89 soggetti. Tra loro, mamme eterosessuali, papà eterosessuali e papà omosessuali, che però fossero genitori biologici di un bimbo. Gli scienziati li hanno seguiti passo passo, osservandoli nelle loro case, riprendendo ogni genitore con il bambino e entrambi i genitori con il piccolo. Gli scienziati, in collaborazione con il Tel Aviv Sourasky Medical Center, hanno anche prelevato campioni di saliva prima e dopo ogni ripresa video per misurare il livello di ossitocina. L’ossitocina è un ormone che il nostro corpo rilascia nei momenti di intimità e di affetto. Entro una settimana dall’osservazione i genitori sono stati poi sottoposti a una risonanza magnetica per evidenziare la reazione del loro cervello dopo aver rivisto i video in cui compaiono con i loro bimbi.


I risultati hanno fatto osservare che sia per le mamme, che per i loro mariti e per le coppie omosessuali, si attiva la cosiddetta rete genitoriale, cioè una rete neurale globale per la cura dei figli, in grado di integrare due diversi tipi di funzioni: un processo emotivo che coinvolge le strutture subcorticali e paralimbiche, come amigdala, insula e nucleus accumbens- le quali vengono associate alla vigilanza, alla ricompensa e alle emozioni-, e un processo legato all’esperienza e all’apprendimento, che coinvolge parti della corteccia prefrontale e il solco temporale superiore.
I risultati evidenziano l’attivazione di questa rete neuronale, ma con delle differenze. Nelle coppie in cui ad occuparsi del bambino è principalmente la madre, l’attivazione riguardava soprattutto il circuito emozionale, mentre per i papà eterosessuali a prevalere è l’area legata all’esperienza. Per i papà omosessuali, invece, predominava l’attivazione delle emozioni.

Queste scoperte dimostrano in maniera chiara che l’istinto per la cura dei figli non è affatto una prerogativa materna, ma insorge in chiunque abbia a che fare con i propri bambini. Oltretutto, anche nei papà eterosessuali si assiste all’attivazione del circuito emozionale basta sull’amigdala, che è direttamente proporzionale al tempo che trascorrono con i bambini, anche se il livello è comunque inferiore a quello delle mamme o dei papà omosessuali. Di fatto, non c’è nessuna differenza di attivazione cerebrale legata alle preferenze sessuali. Quindi siamo tutti nati con il circuito per aiutarci ad essere dei genitori sensibili e per attivare questo circuito non è necessario essere passati per l’esperienza della gravidanza o del parto.


PASSO IN AVANTI NELLA LOTTA AI TUMORI
Un nuovo e importante passo nella lotta a tumori è stato compiuto dai ricercatori dell’Albert Einstein College of Medicine della Yeshiva University di New York. I risultati dello studio, diretto da Louis Hodgson, sono stati pubblicati sulla rivista Nature Cell Biology. I ricercatori si sono soffermati, in particolare, sul ruolo che la proteina Rac1, ha sulla diffusione delle cellule tumorali e sulla loro capacità di generare metastasi. Per migrare dal tumore primario, le cellule cancerose hanno la necessità di ‘rompere’ il tessuto connettivo circostante e, per farlo, formano una serie di piccoli ‘piedi’, detti ‘invadopodia’, che usano per compiere la propria invasione. Le invadopodia rilasciano, a loro volta, degli enzimi che degradano il tessuto circostante, mentre le altre protrusioni provvedono a ‘tirare’ la cellula tumorale. Gli studiosi hanno visto, grazie a un biosensore, che quando la protrusione si forma e si attiva per degradare il tessuto circostante, i livelli di Rac1 sono bassi. Invece, quando l’Rca1 è elevato, l’invapodium scompare. Poiché Rac1 è utile anche alle cellule sane la nuova sfida sarà quella di ricercare farmaci in grado di inibirla solo nelle cellule tumorali.

DALLE ROCCE LA CONFERMA: C’È ACQUA SULLA LUNA
Aiutati dalle nuove tecnologie e dalle recenti scoperte scientifiche Katharine Robinson e Jeffrey Taylor dell’Istituto di Geofisica e Planetologia dell’Università delle Hawaii, hanno potuto riscrivere la storia delle ‘pietre’ lunari arrivando a capovolgere le analisi che, sui materiali, erano state portate a termine nei decenni scorsi. I nuovi risultati sono ora stati resi pubblici e pubblicati sulla rivista Nature Geoscience. Secondo le analisi originarie effettuate sulle rocce lunari, quelle portate sulla Terra dalle missioni Apollo fra il 1969 e il 1972, la Luna era un satellite privo di qualunque fonte d’acqua. L’acqua, invece c’è, anche se non in maniera omogenea, come dimostra il nuovo studio. Le molecole d’acqua e la loro chimica sono risultate variabili a seconda del tipo di roccia analizzato, dallo zero assoluto delle rocce basaltiche a quelle dove la concentrazione assume aspetti molto interessanti. L’aver scoperto le molecole d’acqua e la loro distribuzione sulla superficie lunare, è per i ricercatori, un altro grande passo per capire la formazione e l’evoluzione del satellite.

NUOVO CRATERE SULLA SUPERFICIE MARZIANA
Sono le immagini della telecamera Marci, montata a bordo della sonda Mars Reconnaissance Orbiter, a regalarci la nuova fotografia della superficie di Marte, modificatasi tra il 27 e 28 marzo scorso, in seguito all’esplosione di un grosso meteorite. Il cratere è stato notato da Bruce Cantor, vice responsabile scientifico di Marci, che, incuriosito da una macchia nera mai notata prima, ha passato al setaccio tutte le immagini del pianeta scattate negli ultimi mesi. Lungo 48 metri e largo 43, il cratere è stato generato proprio da un meteorite che sarebbe esploso nei cieli marziani prima di precipitare al suolo. Un’altra dozzina di piccole voragini sarebbero poi nate, da detriti del meteorite o dall’impatto secondario di materiali schizzati fuori dal cratere principale. Secondo la Nasa, l’impatto sarebbe paragonabile, per la sua dinamica, all’esplosione del meteorite avvenuta sui cieli russi, nel febbraio del 2013.

OSSERVATA LA VELOCE NUBE DI SMITH
Colpo grosso per i ricercatori del Green Bank Telescope coordinati da Matthew Nichols, dell’Osservatorio svizzero di Sauverny, che sono riusciti ad immortalare la ‘nube di Smith’, una nube di idrogeno ad alta velocità che è riuscita ad attraversare la Via Lattea, milioni di anni fa, sopravvivendo al forte impatto. Questa sua estrema resistenza la si deve al ‘guscio’ di materia oscura, ossia la materia misteriosa che costituisce il 25% del cosmo, che la avvolge. Se fosse visibile ad occhio nudo, la nube di Smith, probabile embrione di una futura galassia, sarebbe grande quasi quanto la costellazione di Orione. Attualmente, la nube si trova a circa 8.000 anni luce dalla Via Lattea, si muove alla velocità di oltre 150 chilometri al secondo ed entro i prossimi 30 milioni di anni potrebbe tornare a scontrarsi nuovamente con la galassia del nostro sistema solare.

2018-06-05T17:27:38+02:00