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Ebola, ecco cos’è il virus che terrorizza il mondo

ROMA – Nei primi mesi del 2014 ha avuto inizio quella che viene considerata la più grande epidemia di Ebola della storia. Si tratta di un virus altamente letale, con un tasso di mortalità del 60% nel focolaio corrente. Attualmente, non vi è alcun trattamento specifico o una cura per la malattia. L’epidemia è iniziata […]

ROMA – Nei primi mesi del 2014 ha avuto inizio quella che viene considerata la più grande epidemia di Ebola della storia.
Si tratta di un virus altamente letale, con un tasso di mortalità del 60% nel focolaio corrente.
Attualmente, non vi è alcun trattamento specifico o una cura per la malattia.
L’epidemia è iniziata con i casi di Ebola emersi in Guinea, e successivamente diffusa ai paesi limitrofi, Liberia e Sierra Leone.
Gli scienziati sono coinvolti nella lotta contro il virus sin dalla scoperta del suo primo ceppo, lo Zaïre ebolavirus (ZEBOV), con l’epidemia scoppiata nel 1976 nella Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire).
E’ lo stesso ceppo che ha causato la nuova epidemia, il più letale conosciuto.
Ecco cinque cose da sapere su questa infezione virulenta e spesso mortale.

1. Che cos’è l’Ebola?
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L’Ebola è un virus altamente letale, individuato per la prima volta in Africa.
Prende il nome dalla omonima Valle nella Repubblica Democratica del Congo (ex Zaïre), il sito della prima epidemia scoppiata nel 1976 in un ospedale missionario condotto da suore olandesi.
L’origine del virus non è nota, ma si pensa possa ricondursi ai pipistrelli.
Esistono cinque ceppi del virus, ognuno dei quali ha causato epidemie in diverse regioni africane.
Gli esperti sono rimasti sorpresi nel vedere che al posto del ceppo Tai ebolavirus, che si trova nei pressi della Guinea, sia stato l’Ebola Zaire a scatenare la nuova epidemia.
Questo ceppo è stato precedentemente trovato solo in tre paesi dell’Africa centrale: la Repubblica Democratica del Congo, la Repubblica del Congo e del Gabon.
L’Ebola Zaire è il tipo più letale del virus, e nelle epidemie precedenti ha ucciso fino al 90 per cento delle persone infette.

2. Come si trasmette?
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Gli esseri umani non sono gli ospiti naturali del virus Ebola.
Si ritiene che, in qualsiasi epidemia, la prima persona sia stata contagiata attraverso il contatto con un animale infetto.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) gli animali segnalati come possibili veicoli per la diffusione agli esseri umani includono scimpanzé, gorilla, antilopi forestali e scimmie cynomolgus.
Quando una persona è stata infettata, la malattia può diffondersi da individuo a individuo attraverso il contatto con il sangue, saliva, muco o altre secrezioni.
Nei paesi in cui si è esploso l’Ebola, la malattia si è spesso diffusa in ambito sanitario, tra i lavoratori che hanno avuto contatto con i pazienti senza indossare indumenti protettivi o maschere.
Può anche diffondersi con il ri-uso di aghi contaminati.

I ricercatori ancora non sanno dove risieda l’Ebola naturalmente.
Gli studi hanno mostrato che i pipistrelli possono essere infettati con il virus e sopravvivere senza sintomi della malattia.
Alcuni scienziati hanno ipotizzato un ruolo chiave dei mammiferi volanti nel mantenere il virus in vita.
In molte popolazione africane, i pipistrelli fanno parte dell’alimentazione comune: vengono cucinati alla griglia o bolliti in una zuppa piccante con peperoni e altri ingredienti.
Ma i mammiferi volanti sono anche contenitori di più di 60 virus che possono infettare gli esseri umani.
Secondo il Center for Disease Control e Prevention (CDC) oltre al virus Ebola, possono essere diffuse dai pipistrelli la rabbia, istoplasmosi, la SARS, Nipah (che provoca febbri cerebrali mortali), Hendra (una malattia respiratoria letale), Marburg, lyssavirus e altre malattie.

3. Quali sono i sintomi?
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I primi sintomi possono includere febbre, mal di testa, dolori articolari e muscolari, mal di gola e debolezza, seguiti da diarrea, vomito e mal di stomaco, secondo il CDC.
In alcuni casi, la malattia provoca eruzioni cutanee, occhi rossi, singhiozzo e emorragie interne ed esterne.
L’Ebola attacca le cellule del sistema immunitario, spazzando via le cellule T-linfociti.
Sono le stesse cellule attaccate dal virus dell’AIDS (HIV-1), ma l’Ebola le uccide in modo molto più aggressivo.
Esattamente quando e dove si è stati contagiati non è facile da definire.
L’infezione può essere presa dai 2 ai 21 giorni prima della comparsa dei sintomi.

Nel giro di una settimana circa dal manifestarsi dei primi sintomi, che comprendono inappetenza, mal di testa e mal di gola, l’infezione peggiora.
Nelle 24 epidemie di virus Ebola prima di quella attuale, un totale cumulativo di 1.590 persone, due terzi di tutti i casi, sono morte.

Iniziano dolori muscolari, addominali, si intensifica la febbre e si inizia a vomitare e sviluppare diarrea, finché non sopraggiunge il momento di crisi.
Ora i sintomi possono gradualmente regredire ma, nella peggiore ma più comune delle ipotesi, sopraggiungono gli orrori della “tempesta di citochine”, una convulsione del sistema immunitario che immergerà il paziente nella fase terminale della malattia, la febbre emorragica.

La tempesta di citochine rilascia un torrente di molecole infiammatorie nel sistema circolatorio.
Il sistema immunitario, ormai completamente fuori controllo, attacca ogni organo del corpo.
Piccoli vasi sanguigni scoppiano ovunque e si comincia lentamente a sanguinare fino alla morte.
Gli occhi diventano rossi, vomito e diarrea sono ora intrisi di sangue e si sviluppano grandi bolle sanguigne sottocutane.
In questo momento si è al culmine della contagiosità.

4. Esiste una cura?
No.
L’Ebola fece la sua prima comparsa più di tre decenni fa, ma non vi è ancora alcuna cura o trattamento specifico per la malattia.
Le persone infette sono trattate solo con le terapie generali di supporto, che includono la somministrazione di fluidi (i pazienti sono spesso disidratati), il mantenere costante la pressione sanguigna e i livelli di ossigeno, e i trattamenti per eventuali infezioni complicanti.

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Parte del motivo della mancanza di una cura definitiva è il fatto che si tratti di un virus piuttosto che di un batterio.
La terapia antivirale è rimasta indietro rispetto a quella antibatterica per decenni.
Questo perché i virus sono piccole cellule che producono solo una manciata di proteine​​, quindi ci sono meno “obiettivi” per il trattamento.

L’Ebola inoltre evolve molto rapidamente, quindi non è chiaro se un vaccino sviluppato oggi sarebbe la protezione contro future epidemie (l’Ebola appartiene ad una famiglia di virus chiamati Filoviridae, e ci sono cinque ceppi conosciuti di virus Ebola).

E poichè il virus è altamente pericoloso (in alcune epidemie il tasso di mortalità ha raggiunto il 90 per cento), i ricercatori devono lavorare con il virus in strutture speciali con misure di sicurezza di alto livello, che limita il numero di esperimenti che si possono condurre.
Inoltre, relativamente poche persone sono state infettate con l’Ebola, e ancora meno sono sopravvissute, rendendo così difficile studiare il virus negli esseri umani o verificare se ci siano alcuni fattori biologici che aiutano i pazienti a sopravvivere.

Alcuni potenziali trattamenti per l’Ebola si dimostrano promettenti nei modelli animali, compresi i composti che interferiscono con il modo in cui il virus si replica.
Altri trattamenti sperimentali hanno lo scopo di evitare che il virus entri nelle cellule, bloccando le proteine ​​sulla superficie alle quali il virus si lega.

Un’altra terapia in fase di sperimentazione consiste nell’iniettare parti del virus ai topi, per poi usare i loro anticorpi per trattare l’infezione.
In uno studio del 2012, quattro scimmie con l’Ebola sopravvissero all’infezione dopo essere state trattate con questi anticorpi il giorno dopo il contagio.

5. Si può sopravvivere? E come?
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Come detto fino ad ora, l’Ebola è uno dei virus più letali e pericolosi per l’uomo.
I medici non sanno con certezza chi sopravviverà, e non vi è alcun trattamento specifico o una cura per la malattia.
Ma gli studi suggeriscono che esistano alcuni marcatori biologici connessi alla maggiore probabilità di sopravvivere.

Quando una persona si infetta con l’Ebola, il virus consuma le cellule immunitarie del corpo, che ci difendono contro le infezioni.
In particolare, il virus Ebola attacca le cellule immunitarie chiamate CD4 e CD8 linfociti T, che sono cruciali per la funzione del sistema immunitario.

Ma se il sistema immunitario di una persona riesce a resistere a questo attacco iniziale, cioè le cellule immunitarie non sono così impoverite nelle prime fasi dell’infezione, le ricerche mostrano che ci sia maggiore probabilità di sopravvivere alla malattia.

Ma se il corpo non è in grado di respingere questo attacco, il sistema immunitario diventa meno capace di autoregolarsi e la malattia raggiunge la sua fase critica.

Un altro indicatore collegato alla capacità delle persone di sopravvivere, è il cosiddetto MHC calsse 1B (o HLA-B) un gene che rilascia una proteina importante per il sistema immunitario.
Uno studio del 2007 ha scoperto che le persone con determinate varianti di questo gene, chiamate B * 07 e B * 14, avevano più probabilità di sopravvivere all’Ebola, mentre le persone con altre varianti, denominate B * 67 e B * 15, hanno più probabilità di morire.
Alcune varianti di HLA-B sono responsabili dell’immunità dall’HIV, sopprimendo la replicazione del virus e impedendo alla malattia di svilupparsi.

Infine, alcune persone possono essere resistenti alle infezioni di Ebola del tutto, se hanno una mutazione di un gene chiamato NPC1.
Quando i ricercatori hanno studiato le cellule di persone con questa mutazione, cercando di infettarle con l’Ebola in un piatto di laboratorio, queste cellule si sono diomostrate resistenti al virus.

Nelle popolazioni europee, da 1 su 300 a 1 su 400 persone hanno questa mutazione.
Ma in alcune popolazioni, è più comune: in Nuova Scozia, ad esempio, tra il 10 e il 26 per cento delle persone sono portatori della mutazione.

Tuttavia, poiché questi studi sono stati fatti in laboratorio, non è noto con certezza se i portatori del NPC1 siano veramente resistenti all’Ebola.
Si spera che i campioni raccolti nell’epidemia corrente possano aiutare i ricercatori a capire meglio il virus e come sopravvivere ad esso.

2017-05-08T18:50:55+02:00