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Da onde gravitazionali a polvere: Planck svela l’errore

Secondo le sue osservazioni non c'è nessuna prova certa della presenza di onde gravitazionali risalenti al Big Bang

6 Febbraio 2015
Bicep2 si è sbagliato. L’esperimento che fa base in Antartide aveva annunciato lo scorso anno una scoperta sensazionale: sembrava che avesse captato i ‘primi vagiti’ dell’Universo, come il fenomeno fu subito ribattezzato dalla stampa. Si trattava delle rilevazioni delle onde gravitazionali primordiali, quelle che si erano originate dopo il Big Bang e che legittimavano la teoria dell’inflazione. All’enorme esplosione da cui tutto ebbe origine è seguito un periodo di espansione forsennata, di cui sembrava che fossero state individuate delle tracce inequivocabili. Le onde gravitazionali dopo la propagazione nello spazio avrebbero interagito con la radiazione cosmica di fondo, lasciando delle tracce tipiche, poi rinvenute da Bicep2. Adesso sappiamo che c’era un errore e che Bicep2 si è ingannato: quelle che ha visto non erano onde gravitazionali primordiali. A svelarlo è stato Planck, il potente satellite dell’Agenzia spaziale europea (Esa).

– TELECOMUNICAZIONI, AVANTI TUTTA: L’ASI TRASMETTE IN ALTA FREQUENZA
– NON SOLO ROSSO, MARTE SI MOSTRA ANCHE IN ALTRI COLORI
– IL SISTEMA IMMUNITARIO DEGLI ASTRONAUTI INVECCHIA PRIMA
– SMAP, IL CACCIATORE DI UMIDITA’

Secondo le sue osservazioni non c’è nessuna prova certa della presenza di onde gravitaioni risalenti al Big Bang. Per arrivare a questa conclusione Planck si è alleato con Bicep2 e con Keck Array, altro telescopio che fa base al Polo Sud. Mettendo in comune tutti i dati, gli scienziati hanno capito che c’era stata una forte contaminazione da polvere galattica. Come hanno fatto a scoprirlo? Si sono concentrati su ciò che è già noto. Sappiamo che la prima luce dell’Universo è stata la radiazione cosmica di fondo, conosciuta anche come Cmb, che risale a 380.000 anni dopo il Big Bang. Della Cmb abbiamo una mappa a tutto cielo realizzata proprio grazie a Planck. E’ lì che si può trovare la chiave per capire cosa è successo molto tempo prima. Osservando la polarizzazione della luce, cioè la vibrazione delle onde elettromagnetiche in una certa direzione, si può risalire alle onde gravitazionali che si sono prodotte durante l’inflazione. Ma la caccia non è semplice. Il team di Bicep2 ha attribuito alle onde gravitazioni primordiali delle tracce rinvenute nella polarizzazione della radiazione cosmica di fondo. E qui si è generato l’errore.


Quelle tracce possono essere state generate anche dalla polvere interstellare della via Lattea. ‘Pulire’ la luce dalla polvere è un’operazione molto delicata. Per Bicep2 impossibile. L’impresa è invece alla portata di Planck, che ha a disposizione nove canali di frequenza che gli permettono di separare i vari elementi. I dati di Planck sono stati comparati con quelli di Bicep2 ed è emerso che la polvere interstellare individuata dal satellite dell’Esa era sovrapponibile con il segnale che l’esperimento aveva captato. Lo studio che ne è derivato è stato proposto per la pubblicazione alla rivista scientifica Physical Reviews Letters. A contribuire anche gli scienziati del Dipartimento di Fisica e Scienze della terra dell’università di Ferrara. Lo studio delle onde gravitazionali primordiali “è un punto di contatto assolutamente notevole tra cosmologia e fisica fondamentale. Siamo orgogliosi di contribuire a una tematica davvero alla frontiera della ricerca fisica, a livello mondiale”, spiega il direttore del Dipartimento, Roberto Calabrese.

"Abbiamo avuto l’ennesima conferma delle eccezionali capacità di Planck, che proprio grazie alla sua capacità d’osservare l’intero cielo in nove frequenze ha permesso d’arrivare a una conclusione condivisa”, spiega Reno Mandolesi, responsabile dello strumento LFI, a bordo di Planck. “E’ bene sottolineare che, pur non avendo trovato una prova convincente della presenza d’un segnale dovuto alle onde gravitazionali primordiali ciò non invalida in alcun modo l’ipotesi dell’inflazione cosmica”.

La caccia alla prima impronta dell’Universo continua.


TELECOMUNICAZIONI, AVANTI TUTTA: L’ASI TRASMETTE IN ALTA FREQUENZA
L’Agenzia spaziale italiana (Asi) ha realizzato in prima mondiale una videoconferenza via satellite a 40-50 GHz tramite il satellite Alphasat. Questo tipo di comunicazione è resa particolarmente ostica dalla difficoltà di propagazione del segnale attraverso l’atmosfera, ma il tentativo di successo dell’Asi dimostra che è possibile comunicare anche in una frequenza così alta. "Nessuno, per lo meno in campo civile, aveva prima creduto in questa particolare modalità- commenta il presidente dell’Asi, Roberto Battiston-. Ancora una volta l’Italia si conferma allo stesso tempo leader e pioniere in uno dei campi più strategici, da sempre, delle applicazioni satellitari: le telecomunicazioni. È stata sperimentata una innovativa possibilità di comunicazione, ricchissima di potenziali sviluppi". La frequenza più alta permette l’utilizzo di una banda più larga, con un doppio vantaggio: scambiare molte più informazioni e contemporaneamente ridurre nelle dimensioni sia gli apparati a terra sia a bordo del satellite.

NON SOLO ROSSO, MARTE SI MOSTRA ANCHE IN ALTRI COLORI
Lo indichiamo tutti con l’espressione ‘pianeta rosso’, ma adesso gli scienziati hanno appurato che Marte nasconde anche altre colorazioni oltre a quella che gli conferisce l’ossido di ferro. E’ il rover della Nasa, Curiosity, ad aver rinvenuto delle rocce di colore grigio scuro dopo alcune trivellazioni. Sarebbero le tracce di un passato remoto vulcanico. E subito il pensiero degli scienziati corre a ‘Black Beauty’, la bellezza nera da 320 grammi rinvenuta in Marocco nel 2011. Si tratta di un frammento di meteorite di origine marziana che risale a 4,4 miliardi di anni fa e che contiene acqua e carbonio, analizzato con la spettroscopia ad immagini. Il confronto tra i campioni ha confermato la natura delle rocce osservate tramite Curiosity. Questo sancisce il passato turbinoso di Marte, la cui superficie è stata ‘bombardata’ da impatti meteorici e eruzioni vulcaniche.

IL SISTEMA IMMUNITARIO DEGLI ASTRONAUTI INVECCHIA PRIMA
Gli scienziati sono al lavoro per individuare le conseguenze di lungo termine della vita in microgravità, a cui sono sottoposti gli astronauti che abitano per mesi e mesi sulla Stazione spaziale internazionale. Una nuova ricerca, pubblicata su The Faseb Journal, dimostra che il volo umano può essere associato all’accelerazione dell’invecchiamento del sistema immunitario. In particolare, gli scienziati hanno condotto degli esperimenti su topi tenuti in condizioni di gravità bassa e osservato così cambiamenti nella produzione di linfociti B, che li avvicina ad altri topi tenuti in condizioni terrestri ma molto più vecchi. Il fenomeno che si verifica è quello dell’immunosenescenza, che provoca una diminuzione della capacità di risposta di fronte agli agenti patogeni e anche un rallentamento della guarigione in caso di malattia.

SMAP, IL CACCIATORE DI UMIDITA’
E’ stato lanciato lo scorso 31 gennaio Smap (Soil Moisture Active Passive), il satellite della Nasa destinato a misurare il livello di umidità del nostro pianeta. Resterà in orbita per tre anni e fornirà la mappa più accurata mai realizzata sull’umidità della superficie Terra, fino a 5 centimetri di profondità. Un terzo del suo peso è costituito da strumentazione scientifica, tra cui spiccano un radar e un radiometro che saranno attivi notte e giorno e anche in condizioni di meteo nuvoloso. Sarà addirittura in grado di ‘leggere’ la Terra attraverso la vegetazione. Il satellite è stato realizzato dal Jet Propulsion Laboratory, in California.


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