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AFRICA: TUKO PAMOJA, INSIEME SI PUO’ FARE!

KENYA, NAIROBI. Primo articolo di presentazione alle molte condivisioni che verranno raccontate nel corso di questi mesi. Racconti di un'esperienza che ha cambiato le nostre vite. Ora vogliamo condividere con voi al fine di cominciare a lavorare insime per il bene e la gistuzia comune, che è tutta la nostra forza

KENYA, NAIROBI. Primo articolo di presentazione alle molte condivisioni che verranno raccontate nel corso di questi mesi. Racconti di un’esperienza che ha cambiato le nostre vite. Camminando per quelle strade, con un bersaglio sul cuore pronto ad accogliere tutte le frecce che lo avrebbero colpito. Insime abbiamo vissuto, abbiamo pianto, riso. Abbiamo amato. Ora vogliamo condividere con voi al fine di cominciare a lavorare insieme per il bene e la gistuzia comune, che è tutta la nostra forza.

kenya missionari giacomogiacomo

ROMA – Mesi fa ho scelto.
Le mie azioni dovevano essere alimentate da voglia di consapevolezza e desiderio di verità. Questa scelta mi ha portato in Kenya, a Nairobi, dove tra sorrisi e pianti è iniziata una esperienza grande.
C’è una onlus chiamata ‘Giacomogiacomo’ e ci sono 28 persone che in dicembre sono andate alla ricerca di un’altra vita, in un luogo che molti descrivono come dimenticato da Dio. Oggi noi sappiamo che se Dio ha una casa, quella è nelle baraccopoli e che sono gli uomini ad essersene dimenticati.
Ogni nuovo giorno, dopo le lodi del mattino, il gruppo si divideva in due: chi andava nell’orfanotrofio delle suore di Madre Teresa e chi a fare attività nello slum di Bangladesh.
Ci saremmo rivisti solo la sera, carichi di emozioni e storie che, anche se celate dentro di noi, avrebbero trovato la forza di essere condivise con parole d’amore, a volte spezzate dal pianto, altre volte alimentate da sorrisi.

Nairobi, città costruita dagli inglesi alla fine dell’ottocento, era una città d’apartheid. Con l’indipendenza diventa una megalopoli con 4 milioni di abitanti: oggi l’apartheid non è più razziale ma economico. Oltre metà dei suoi abitanti è costretta a vivere nel 1,5 per cento del territorio totale. E’ la gente delle baraccopoli. Questo 1,5 per cento della terra appartiene al Governo che quando vuole può distruggere le baracche e spingere altrove le persone. E’ così che i potenti ricambiano i favori ricevuti, regalando ai ricchi le terre dei poveri.
Ci sono oltre 120 baraccopoli a Nairobi. La più grande è Kibera con 800.000 abitanti, che vive ogni giorno all’ombra dei grandi grattacieli. Poi c’è Mathare Valley con 250.000 e Korococho con 100.000 . Gataka, Kweri, Bangledesh e tutte le altre sono di ridotte dimensioni e ospitano 3-4000 persone. Gli abitanti sono stipati in piccoli spazi dove sopravvivono tra lamiere e fango, senza cibo e senza cure. Baracche grandi tre metri per quattro dove vivono dalle cinque alle otto persone, per la maggior parte donne e bambini. Un solo letto, spesso senza materasso. Una sola porzione di zuppa da dividere con parsimonia, deve durare una settimana. Fogne a cielo aperto e niente acqua. La poca disponibile viene venduta ad un prezzo cinque volte superiore rispetto al resto della città, per capirci: un litro di acqua costa ad un povero quanto ad un ricco quella che serve per riempire una piscina. Tutto questo non è avvertito come un problema da chi detiene il potere. Basti pensare che nelle mappe catastali le baraccopoli non esistono.

Al degrado sociale si aggiunge il degrado morale. Qui le norme etiche crollano per dar spazio a una violenza inaudita. Tra le baracche non esiste la proprietà privata, tutti posso perdere il poco che hanno, tutti possono commettere atti feroci, per un pezzo di pane o un sorso d’acqua. Non tutti i bambini posso permettersi di andare a scuola, non tutti, quasi nessuno. L’ istruzione costa troppo, ogni trimestre sono tre euro di retta e sono questi tre euro che non possono permettersi, gli stessi tre euro che noi spendiamo ogni giorno per una colazione al bar. Questi bambini sono quelli che quando ti vedono corrono e gridando ” muzungo” (uomo bianco), fanno a gara per riuscire a prenderti la mano. Sono scalzi tra vetri e fogne ma i loro occhi sono su di te. I loro piedini corrono per stare al tuo passo e per non rischiare di perdere il contatto. Ti guardano come se gli avessi fatto il regalo più bello. Glielo hai fatto.
E’ importante poi parlare della discarica di Korogocho che si sviluppa su una lunga collina dove ogni giorno centinaia di camion arrivano a scaricare l’immondizia dei ricchi. Questo luogo è dimora per molte persone, quelle dimenticate, quelle rifiutate perfino dai più poveri, quelle dell’ultimo gradino della scala sociale. Gli ultimi. Si scavano la loro casa tra i rifiuti e questi, oltre a dargli un tetto, danno cibo e attrezzi utili. E’ un luogo pericoloso, dove l’uomo si confonde con l’animale. E’ costretto.
Ma ci sono anche luoghi di pace. Grazie ai social worker gli abitanti della discarica, per lo più ragazzi, possono ricevere cibo, cure sanitarie e una vaga idea di istruzione. Oltre a questi, ci sono i luoghi di disintossicazione, dove sacerdoti e persone che hanno deciso di dedicare la propria vita al prossimo, si impegnano nella lotta contro la droga. La colla è il più grande nemico, brucia il cervello, blocca la crescita ma toglie la fame.

Infine ci sono i malati di AIDS: la metà delle persone che vive negli slum è affetta da HIV. Donne e uomini e poi bambini che fin dalla nascita sono condannati alla sieropositività. Bimbi ai quali non è consentita la crescita, il virus blocca lo sviluppo. Bambini che nonostante ciò sognano un futuro. Sono 700 le persone che ogni giorno muoiono di Aids in Kenya.
In questa società fondata sulla disuguaglianza e sull’emarginazione, vivono uomini che ogni giorno camminando per le loro piccole vie sono accompagnati da un forte credo. Il loro Dio è vicino , vive nelle loro case e combatte la loro stessa causa. Il Dio dei poveri è anche il nostro. Apriamo gli occhi.
Sono tante le domande che mi vengono in mente.
Perché il Governo non fa nulla?
Perché il mondo consente tale divario?
Chi ha permesso tutto questo?
Come possiamo essere felici e sentirci appagati della nostra vita sapendo che tutto questo esiste e che è sul dolore della gente che si fonda parte della nostra comodità?
La risposta che Maurizio, un social worker, mi ha dato è questa:
“Tutto esiste perché la più grande povertà da combattere non è quella materiale ma quella dello spirito. Al Governo costerebbe troppo puntare ad una ripresa sociale e indietro avrebbe troppo poco”.
Quel troppo poco che questa gente, gli abitanti delle baraccopoli, non vedrà mai. Quel troppo poco che questa gente non può neanche immaginare.

Il viaggio continua. Ogni settimana, una nuova risonanza. Aprite i vostri cuori e restate con noi!

GiacomoGiacomo Onlus

FOTO CREDITS: Lavinia Inciocchi

2018-06-05T15:38:52+02:00