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In memoriam

Giulia Nava I.S.S.S. “Riva” Sarnico (BG)

 

“Io sono un’ebrea italiana. Sono arrivata in Argentina nel 1939 per le leggi razziali.

Mio nonno è rimasto ed è finito deportato ad Auschwitz. Non c’è tomba!

Dopo molti anni, altro luogo, in Argentina, altra storia: mia figlia diciottenne. E non c’è tomba!

Queste due storie indicano un destino comune e fanno di me una militante della memoria.”

Questa frase e l’intera vita di Vera Vigevani Jarach mi hanno particolarmente colpito e, al contempo, attratto.

La sua storia è piena di dolore per i familiari deportati nei campi di concentramento e per la figlia uccisa perché aveva degli ideali diversi da quelli dell’allora politica di Videla; ma anche una storia

colma d’amore, amore per qualcuno che non c’è più, ma che rimarrà impresso nel suo e nei nostri cuori.

Vera è una donna di ottantasei anni, che da bambina è stata costretta a lasciare la sua città, le sue

amicizie, i suoi affetti e tutto quello che aveva solo perché ebrea, quindi ritenuta inferiore e non degna di studiare e di avere una vita.

Abbandonò l’Italia nel 1939, per recarsi in Argentina, lasciando nella sua terra natale il nonno,

anch’esso ebreo, e perciò deportato ad Auschwitz, luogo di morte e disperazione, dove non si era più persone, non si era più esseri umani, ma si diventava un numero, si diventava un niente.

E chi moriva lo faceva senza lasciare traccia di sé, perché non c’era differenza tra l’uno e l’altro, tutti uguali, donne, uomini, ragazzi, anziani o bambini, tutti non degni di vivere.

Quasi quarant’anni dopo, la storia per Vera si ripete, è cambiata la nazione, sono cambiate le abitudini, è cambiato il suo modo di vivere: ad essere perseguitati e torturati non sono più gli ebrei, ma i ragazzi, i desaparecidos.

In Argentina, nel 1976, scompaiono, vengono torturati ed uccisi trentamila giovani. Ragazzi che non

sopportavano più quello che stava succedendo, non volevano più una dittatura che imponesse loro cosa fare, come comportarsi, cosa e come pensare.

Loro volevano avere il diritto di essere liberi e questo significava ribellarsi a quella ingiusta politica con ogni mezzo a loro accessibile, pagando anche con la morte.

Tra questi giovani c’era anche Franca, studentessa modello, leader, carica di sogni e figlia di Vera; diciottonne desaparecida, sequestrata ed uccisa durante i Voli della morte.

Queste due storie sono legate da un fattore comune: tutte vittime innocenti che non hanno potuto avere un rito funebre e che non hanno una tomba, dove poterli ricordare e commemorare.

I loro corpi sono stati gettati via, bruciati o lasciati decomporre in mare, come inutili rifiuti.

Vera non chiede tanto, solo una tomba per suo nonno e sua figlia, una tomba per andarli a trovare, una tomba che rappresentasse concretamente tutte le crudeltà e le atrocità da loro subite, eppure questo non è stato possibile, a causa di persone che si credevano superiori, più pure e più degne di vivere.

Questo amaro destino di Vera fa comprendere la stupidità dell’uomo, di come, con il passare del tempo, l’essere umano non abbia imparato nulla, ma continui a produrre solo dolore e sofferenza.

La signora Vera si definisce “militante della memoria” e gira l’Italia e l’Argentina raccontando la sua storia, affinché questi orrori non si ripetano.

Durante il giorno della memoria, si ricorda la Liberazione del campo di concentramento di Auschwitz

da parte delle Armate Rosse; ma, in questo giorno e per tutto l’anno, non dovremmo mai dimenticare le

tragedie che sono successe non solo durante la Seconda guerra mondiale, ma in qualunque epoca e in qualsiasi parte del mondo.

La memoria, infatti, tende, purtroppo, a dimenticare anche gli eventi più recenti: sembra ormai che sia

passato un secolo dalle stragi di Parigi, sia quella del 7 Gennaio 2015 di Charlie Hebdo sia quella al

Bataclan del 13 Novembre dello stesso anno. Benché qualche volto ci sia rimasto impresso, la maggior

parte di essi si perde nell’anonimo ed asettico numero ufficiale di vittime. Ma in realtà, ogni giorno, siamo spettatori di morti senza nome, né tomba, dispersi nel mare, mentre cercano di fuggire da una

situazione insostenibile nei loro paesi d’origine. Profughi provenienti dalla Siria, dalla Libia o da altri paesi riempiono quotidianamente i nostri notiziari, mentre noi, indifferenti, continuiamo a svolgere le nostre occupazioni di sempre.

Giulia Nava 2 A Alberghiero I.S.S.S. “Riva” Sarnico (BG)

2016-05-09T15:58:15+02:00