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Dori Ghezzi: “Fabrizio De Andrè patrimonio di tutti, premiamo l’arte in suo nome”

Diregiovani.it, in esclusiva per i propri lettori, ha intervistato Dori Ghezzi, moglie del cantautore e Presidente della Giuria del “Premio De Andrè”

25 Novembre 2016

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ROMA – “Fabrizio De Andrè, poeta di tutti”. La scritta, per anni, dodici per l’esattezza, ha fatto bella mostra di sé su di un muro in una delle vie che intersecano il centro di Roma tra il Ghetto e Piazza Venezia, proprio dietro quello che per anni è stato il triangolo della politica italiana, tra Botteghe Oscure e Piazza Del Gesù. Piccolina, ma impossibile da non notare, proprio all’ingresso di Via dei Polacchi. Poi, agli inizi del 2011, qualche solerte disposizione di riqualificazione comunale l’ha cancellata. Ma a distanza di diciassette anni dalla sua morte, avvenuta l’undici gennaio del 1999, è ancora così che Fabrizio De Andrè viene percepito nella nostra cultura. “Poeta”, e “di tutti”. Non ci stupisce, dunque, se da oramai quindici anni, lo ricordano così i suoi più stretti amici e collaboratori, la moglie Dori Ghezzi.

Quindicesima edizione per il “Premio De Andrè” ghezzi_de_andre

Il “Premio De Andrè”, giunto alla sua quindicesima edizione, è pervaso dallo spirito che il messaggio e il significato dell’opera di De Andrè non restino chiusi e isolati a pochi, ma siano a disposizione di tutti. Il prossimo 1 Dicembre il prestigioso riconoscimento giunge alla sua ultima fase: dodici autori, esordienti o non noti al grande pubblico, si esibiranno sul palco della Sala Sinopoli dell’Auditorium di Roma, e con i loro inediti cercheranno di aggiudicarsi il premio. A tutti è stata chiesta “una creatività non vincolata alle mode, ai generi e ai falsi concetti di commerciabilità, al fine di ridare originalità e vitalità alla produzione artistica, all’insegna della qualità e della libertà artistica”, come si legge nel regolamento. Ma non sarà solo musica: seguendo un convincimento di De Andrè, e cioè che la musica è cultura ma non solo la musica, spazio anche alla sezione “Poesia”(anche qui dodici autori in gara) e alla sezione “Pittura”, dove le canzoni del cantautore genovese hanno ispirato le tele dei sei pittori in competizione. Per parlare del premio, dei suoi significati, di Fabrizio De Andrè, e di altro ancora, diregiovani.it, in esclusiva per i propri lettori, ha intervistato Dori Ghezzi, moglie del cantautore e Presidente della Giuria del “Premio De Andrè”.

Signora Ghezzi, respiriamo subito l’atmosfera della serata del 1 Dicembre. “Premio De Andrè alla carriera” ai Negrita, mentre al rapper Clementino andrà il “Premio per la reinterpretazione dell’opera di Fabrizio”. Un suo giudizio?

“Dunque: riguardo i Negrita, non credo abbiano bisogno di presentazioni, hanno una carriera alle spalle che parla, e bene, per loro e di loro. Trovo quindi giusto e meritato questo riconoscimento che tributeremo. Riguardo Clementino, debbo dire che la reinterpretazione che fece allo scorso Sanremo della canzone “Don Raffaè” ci lasciò piacevolmente colpiti. Debbo aggiungere che entrambi i premiati hanno cantato Fabrizio per il tramite delle loro personalità, cosa che io trovo sacrosanta, perché Fabrizio appartiene a tutti. Se mi permette la battuta, la convinzione che l’opera di Fabrizio sia per pochi o vada ai più preservata, posizione che sostiene qualche “talebano”, mi pare una vera e propria stupidaggine”.

“Creatività non vincolata alle mode”: a ciò è stato chiesto di ispirarsi agli autori in gara. Secondo lei, c’è ancora spazio per una produzione musicale autentica, lontana dai talent, spesso fabbrica di facili illusioni?

“Non le nascondo che è durissima. I media sono definitivamente concentrati su questo genere di show e di intrattenimento, che spesso e volentieri si dimenticano del talento di molti autori o addirittura nemmeno se ne accorgono. Io non dico che non debbano esistere; dico solo che andrebbero presi per quello che sono, vale a dire una parte della proposta musicale e non la proposta musicale. Col “Premio De Andrè” noi vogliamo porre l’attenzione su quegli artisti che, anche a costo di duri sacrifici, cercano di portare avanti un loro discorso e una loro idea di arte”.

Il premio comprende le sezioni musica, poesia e pittura; il modo migliore di ricordare De André è quello di dare non solo valore alle giovani generazioni di artisti ma anche spazio all’originalità e alla libertà artistica. Il Premio appare dunque quasi un “festival delle arti”. Sarebbe piaciuta, questa interpretazione, a De André?

“Assolutamente si. Non c’è modo migliore per ricordare Fabrizio che attraverso la cultura, l’arte più in generale. Prenda la musica, ad esempio. È fatta sì di suoni, di melodie, ma anche e soprattutto di testi, di parole scritte che sono cultura, che si tramanda e si mantiene nei ricordi, nella vita delle persone. Si, Fabrizio sarebbe più che contento di un premio così come lo proponiamo”.

Un De André agli esordi, con quale brano si sarebbe presentato e quali tematiche avrebbe cantato?

“Non ne ho proprio idea! (ride divertita, ndr). Senta, Fabrizio era un tipo controcorrente, se avesse cantato da esordiente in questi tempi, sicuramente avrebbe cantato l’oscurità delle cose che viviamo quotidianamente in queste nostre società. Sono convinta, però, che ci avrebbe lanciato un messaggio di speranza, ci avrebbe indicato un percorso da seguire, una strada “di luce”. Domani, 25 novembre, sarà la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. De André ci ha fatto conoscere l’universo femminile raccontando tante storie, parlando del mondo delle donne come “mondo del sacrificio”.

Cosa ne penserebbe ora De André delle tante notizie di cronaca che riguardano donne vittime di violenza? E cosa ne pensa Dori Ghezzi?

“Fabrizio De Andrè si è sempre avvicinato al mondo delle donne con grande rispetto e una timidezza genuina, da non confondersi con falsi imbarazzi o sensi di vergogna. Avrebbe mal sopportato questo stato di cose, questo drammatico stillicidio dato dalle tante storie di sopraffazione che oggigiorno leggiamo sui giornali o ascoltiamo in televisione. Io credo che debbano crearsi le condizioni per un’educazione alla parità di cui devono farsi carico anche le madri, che spesso sottovalutano la potenza della loro capacità educativa”.

2018-02-13T10:39:54+01:00