hamburger menu

Qui Tunisi, contare fino a dieci al museo del Bardo

Situato nell'antica residenza del Bey il Bardo è stato rinnovato con una serie di lavori conclusi nel 2012: oggi è "il luogo ideale per conoscere la storia della Tunisia"

TUNISI – Davanti al museo del Bardo ci sono tre autobus. Tre, thalatha. Uno grande, uno piccolo, uno piccolissimo. E’ il 6 gennaio 2017. All’ingresso, due venditori di souvenir cercano di rimediare qualche dinaro. I due (due: ithnan o, in tunisino, zouz) si contendono i pochi turisti che entrano ed escono dal museo con scarsi risultati.

Situato nell’antica residenza del Bey, ovvero del signore che amministrava Tunisi in rappresentanza dell’impero ottomano, il Bardo è stato rinnovato con una serie di lavori conclusi nel 2012: oggi è “il luogo ideale per conoscere la storia della Tunisia”, si legge sul depliant informativo. Dentro la struttura, oltre alla più bella collezione di mosaici romani del mondo, ci sono reperti di epoca preistorica, numidica, punica, ellenistica, islamica. Al piano terra una mostra temporanea, “Lieux Saints Partagés”, prodotta dal MuCEM, il museo delle civiltà del Mediterraneo di Marsiglia, affronta il tema dei luoghi sacri condivisi nel Mediterraneo da fedeli delle tre religioni monoteiste. Un segno di speranza, sottolineano diverse persone che lavorano qui, dopo l’attentato rivendicato dal gruppo Stato Islamico che il 18 marzo 2015 ha ucciso 21 turisti stranieri e un poliziotto tunisino. Al primo piano, una teca di vetro porta ancora i segni dei proiettili. Tra i lavoratori del museo, spiega la signora M., ci sono due correnti di pensiero: alcuni vorrebbero conservare la memoria dell’attacco, altri, e lei è tra questi ultimi, vorrebbero “lavarla via con un colpo di spugna” e cercano solo di dimenticare. “Ma come stanno andando le cose? Un po’ di turisti stanno tornando?” chiedo.

Qualcuno mi dice di sì, altri parlano di un calo massiccio. Quando, da giornalista, provo a ottenere dei dati, vengo indirizzata verso una persona che mi chiede di ritornare in un altro momento. Ritorno, a bordo di un affollatissimo tram numero 4. Quattro, arba’a. Una volta al museo mi viene chiesto un tesserino da giornalista, poi mi si dice che per avere accesso ai dati serve un’autorizzazione del ministero della Cultura. Wahid, ithnan, thalatha, arba’a, khamsa, sitta, sab’a, thamaniya, tissa’a, ‘ashra: conto fino a dieci, respiro, giro i tacchi. Sul Bardo, per ora, gli unici numeri che riesco a fornire sono questi:

wahid, uno, un museo;

ithnan, due, due venditori di souvenir;

thalatha, tre, tre autobus;

arba’a, quattro, quattro biglietti del tram;

khamsin, 50. E’ il numero di pullman turistici che, secondo una testimone, erano presenti nel parcheggio del museo il giorno dell’attentato.

Per saperne di più: tradizionalmente, per scrivere i numeri, gli arabi usano le cifre indiane (nella figura). “Kh” in khamsa si pronuncia come la “j” dello spagnolo Javier, il “th” di thalatha e ithnan come il “th” inglese di bathroom.

2018-06-05T15:34:24+02:00