ROMA – 9 ottobre 1963, come ogni mercoledì sera italiano, famiglie e amici si riunivano davanti al televisore per assistere alla partita di Coppa dei Campioni, la “vecchia” Champions League.
Quel campionato vedrà trionfare l’Inter, in finale contro il Real Madrid.
Ore 22.39. Una frana precipita dal monte Toc nel bacino della diga del Vajont.
Il muro di cemento regge il peso massiccio del fango e dell’acqua, ma non argina l’onda di 230 metri di altezza che scavalca la diga.
50 milioni di metri cubi di acqua si riversarono alle pendii del monte Toc, distruggendo le città di Longarone, di Erto e di Casso e spazzando via in 4 minuti 1910 persone.
Sono passati 54 anni dal disastro del Vajont, ma ancora quelle 1910 anime sono in attesa di giustizia.
Inchieste, indagini e testimonianze hanno aiutato a ricostruire la dinamica del disastro, ma la verità è ancora lontana.
Una tragedia annunciata, nascosta negli anni dietro la parola “fatalità”.
La colpa umana è stata la miccia del disastro. Evitabile. Su questo oggi sono tutti d’accordo.
Si parla di interessi economici e politici, di controlli geologici superficiali, di competenze architettoniche inadeguate.
Ma si parla anche di una frana programmata.
La denuncia viene da Francesca Chiarelli, figlia dello stesso notaio Isidoro Chiarelli, che già 40 anni fa aveva dichiarato che la frana del monte Toc fosse stata programmata.
Francesca riporta quanto testimoniato sotto giuramento al processo dal padre: “Durante o subito dopo la redazione dell’atto, il procuratore del compratore […] e il procuratore dei venditori […] mi dissero che i terreni compravenduti, il giorno successivo alle ore 21 sarebbero stati buttati in acqua. […] Aggiunsero che una spruzzata d’acqua non sarebbe stata la fine del mondo.”
L’ipotesi della frana programmata, trova conferme con le simulazioni che all’epoca vennero fatte a Nove.
La Sade aveva riprodotto un bacino artificiale nel quale vennero rovesciati dei carichi di sabbia per misurare l’impatto di una ipotetica sulla diga del Vajont.
Sono passati 54 anni e l’eco dell’onda della morte non è ancora svanito.
Del disastro del Vajont resta in piedi solo la diga, che rimane immobile al suo posto, simbolo delle colpe dell’uomo.