ROMA – “Siamo a Roma, piu’ precisamente nel quartiere Trieste, in uno dei luoghi di svago e d’incontro piu’ frequentato dai bambini della zona, il Parco Nemorense. Ci metto anche un po’ di me nel raccontare questa storia, perche’ e’ qui che ho giocato le mie prime partite di pallone, qui sono salito sulle prime mitiche giostre, ed e’ qui che ho fatto le prime amicizie. Insomma, al Parco Nemorense ci sono cresciuto”. Inizia cosi’ l’articolo di Emanuele Caviglia, studente di 17 anni che partecipa al progetto La scuola fa notizia promosso dall’Agenzia Dire e diregiovani.it.
“Tra gli altri luoghi d’incontro presenti nel parco – prosegue Emanuele- c’era anche un bar, frequentato spesso da ragazzini come me, che dopo infinite giornate passate a correre qua e la’, stanchi si rinfrescavano e si rifocillavano. Ora sono diventato grande e, al parco come potete immaginare non ci gioco piu’, ma tenendomi aggiornato su cosa gli succede, ho saputo che quel vecchio bar era stato chiuso. Dopo qualche tempo pero’, passandoci casualmente davanti, l’ho visto aperto di nuovo, con una nuova gestione. E con una particolarita’: il bar era diretto da un gruppo di migranti. Che parola scottante oggi, ‘migranti’. Cosi’ delicata che bisogna calibrarla con precisione, a seconda del contesto e delle persone con cui si parla, per evitare di cadere in equivoci”.
“Questi ragazzi mi hanno subito colpito per la loro volonta’ di lavorare e per la loro determinazione, dipinta sulle loro facce allegre. Per questo motivo, incuriosito, ho deciso di farmi raccontare la loro storia, facendogli un’intervista. E’ opportuno fare una premessa – specifica lo studente – la maggior parte di loro, all’arrivo in Italia si era stanziata a Rosarno, in Calabria. Li’ raccoglievano frutta e verdura lavorando strenuamente per una misera somma che, comunque, gli consentiva di mantenersi. Nel 2010, pero’, questi ragazzi si sono trovati in mezzo a una guerriglia contro gli abitanti locali, scaturita da una sparatoria contro tre africani: ‘la rivolta degli extracomunitari’. Le condizioni per rimanere in Calabria non ci sono piu’, e di conseguenza, anche la loro unica fonte di sostentamento e’ persa. Devono trasferirsi a Roma, smarriti, ma non sanno che e’ proprio qui che nascera’ il colpo di magia”.
Di seguito il testo integrale dell’intervista Cheikh, uno dei ragazzi che lavorano nella struttura.
– Quando siete arrivati in Italia e qual e’ il vostro paese d’origine?
“Io mi chiamo Cheikh, sono arrivato in Italia nel 2007 e vengo dal Senegal; assieme al mio gruppo portiamo avanti questa cooperativa, di nome Barikama’, nata dopo le rivolte di Rosarno nel 2010 contro il razzismo e lo sfruttamento dei braccianti agricoli. Per questo siamo arrivati a Roma, e abbiamo cominciato a produrre yogurt e ortaggi biologici”.
– In questo periodo si parla molto di un pregiudizio del popolo italiano, a causa della sua chiusura mentale, ad accogliere profughi. Quando siete arrivati qui che atmosfera e quali difficolta’ avete trovato?
“Tutti noi migranti arriviamo qui in Italia con la speranza di trovare un lavoro per mantenere le nostre famiglie. Giunti nel 2007, il primo problema che abbiamo incontrato e’ stato quello della lingua, seguito poi dall’ostilita’ nei nostri confronti e dal razzismo, che purtroppo abbiamo vissuto personalmente. Percio’, l’unico lavoro con cui potevamo guadagnarci da vivere senza sapere bene l’italiano, e’ stato quello di lavorare nei campi come abbiamo fatto”.
– Come siete passati dal raccogliere arance a Rosarno a fondare poi una cooperativa sociale?
“Paradossalmente e’ tutto nato dalla difficolta’ di trovare lavoro, perche’ da li’ e’ sorta l’idea di unirci tra migranti, producendo yogurt. Seguiamo questo procedimento: una volta preso il latte lo mettiamo dentro un contenitore chiamato ‘zucca’ , svuotato e coperto a meta’, e dopo un giorno il latte assume la consistenza dello yogurt. Oltre a questo si aggiunge anche l’attivita’ di produzione di ortaggi biologici, grazie alla concessione di due fratelli che ci hanno fornito tre ettari di terra sul lago di Martignano, vicino a Roma”.
– Da quando gestite il bar del Parco Nemorense e da chi e’ composto il vostro staff?
“Abbiamo partecipato al bando insieme al Grandma srl e al Casale di Martignano e abbiamo inaugurato il locale a settembre scorso.Ci occupiamo anche della manutenzione e della pulizia del parco. La nostra squadra e’ composta da sette ragazzi, sei africani piu’ un ragazzo italiano con la sindrome di Asperger;nel nostro piccolo, offriamo possibilita’ lavorative a persone socialmente svantaggiate che trovano difficolta’ ad inserirsi”.
– Piani per il futuro?
“Il mio sogno e’ di poter tornare in Africa, raccontare della mia esperienza in Italia e consigliare ai giovani di non trasferirsi per forza fuori, ma di rimanere in Senegal”.
– Un consiglio per tutti i profughi che, smarriti, arrivano in Italia con la speranza nel cuore?
“Il mio suggerimento e’ di avere pazienza, ma soprattutto cercarsi o inventarsi un lavoro da soli come abbiamo fatto noi, perche’ nessuno ti regala niente. Bisogna inquadrare subito l’ambito in cui si crede avere le competenze giuste”.
Al termine dell’intervista – racconta Emanuele – “Ringrazio Cheikh, ci facciamo una foto e mi incammino verso casa. Dopo pochi minuti, pero’, giro la testa e ritorno indietro. Lo trovo ancora li’, mentre vende i suoi prodotti biologici, e gli chiedo: ‘Cheikh! Un’ultima curiosita’, ma che significa Barikama’?’ Lui si gira, mi sorride e mi risponde: ‘Resistenza!’ Lo ringrazio e ricontraccambio il sorriso, con uno di quei sorrisi di chi ha capito all’improvviso qualcosa”.
“Gia’ so che titolo dare a questo articolo – conclude – La Resistenza per noi e’ stata quell’insieme di movimenti politici e militari che si opposero al nazifascismo, combattendo fino allo stremo delle forze per la liberazione del nostro paese. Con un coraggio e una caparbieta’ commoventi. Non mollando mai. Una persona resistente e’, infatti, chi non molla mai. Questi ragazzi, sono venuti da un paese che in comune con l’Italia non ha assolutamente niente. Hanno imparato la nostra lingua, completamente diversa dalla loro, il bamba’ra. Sono stati sfruttati, hanno lavorato sopra le loro forze, si sono uniti superando le difficolta’. Anzi, sono riusciti persino a garantire un, se pur micro, reddito a chi non ne ha e sta avendo grandi difficolta’ a trovare un lavoro. Perche’ l’unione fa la forza. Ecco, tutto questo e’ la Resistenza al tempo di oggi. Questo e’ Barikama’”.