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Milano, con Emergency studenti protagonisti contro la guerra

L'iniziativa in collegamento satellitare con 21mila giovani

MILANO – Come i principi attivi dei farmaci, così le buone pratiche e i gesti concreti possono fermare le guerre. È questo il senso di ‘Principi attivi contro la guerra’, l’evento per le scuole superiori italiane organizzato da ‘Emergency’ nella sua sede milanese con ‘Unisona’. A casa Emergency hanno seguito l’evento gli studenti dell’istituto ‘Galilei-Luxemburg’ di Milano e l’istituto ‘Zappa’ di Saronno. Sono 21mila di 268 scuole superiori diverse gli studenti di tutta Italia collegati in diretta satellitare con casa Emergency. Obiettivo della mattinata: parlare di conflitti e migrazioni attraverso l’enunciazione di cinque principi attivi: conoscere la guerra, affermare l’uguaglianza, informarsi, coltivare la memoria e la bellezza.

È Camila Raznovich per il terzo anno di fila a presentare l’appuntamento che l’ong organizza per gli studenti. Ad aprire la mattinata è stata Rossella Miccio, la presidentessa di Emergency, che ha parlato del principio di ‘conoscere la guerra’. Prima domanda sulla situazione dei curdi siriani: ‘si trovano da sempre in un limbo, considerati minoranza fastidiosa se non alla stregua di terroristi. Questo popolo ha visto ripetutamente calpestati i suoi diritti. Eppure avevano combattuto l’isis nella coalizione internazionale. Invece appena gli americani si sono ritirati i turchi hanno lanciato la loro offensiva militare. Altroché primavera di pace. Stiamo registrando un aumento di arrivi di curdi siriani nel Kurdistan iracheno nonostante fosse chiuso il confine’. L’Iraq è il paese in cui Emergency sta da più a lungo insieme all’Afghanistan. Un paese, questo, in guerra da 50 anni, ha notato Raznovich: ‘la situazione è diventata sempre più pericolosa- ha risposto Miccio- le strade sono totalmente insicure. Ci sono scontri a fuoco di continuo. Ogni anno il numero di feriti civili che curiamo nei nostri ospedali è in aumento’.

‘Quello che potete fare voi contro la guerra è impegnarvi nel quotidiano. Il volontariato, il servizio civile, l’alternanza scuola-lavoro- ha detto Miccio che poi ha risposto alle domande degli studenti collegati in direct su Instagram- non abbiate pregiudizi, credeteci. Oggi la sfida è più difficile, in questo momento in cui il lavoro delle ong non è molto apprezzato, dobbiamo continuare a parlare di diritti senza mai cedere alla violenza, nemmeno verbale’ ha concluso, precisando poi come Emergency interviene in situazioni di conflitto.

‘Costruire bellezza’ è il principio assegnato a Omaid Sharifi, fondatore del collettivo di street art ArtLords di Kabul: ‘ho vissuto tutta la mia vita nella guerra, ho 43 anni. Cosa significa la pace? Io non lo so. Corruzione, violenza, mancanza di pace, questa è stata la nostra vita. Però questo non ci ha impedito di fare qualcosa di bello per il paese. Ecco perché abbiamo fondato il collettivo: l’arte come modo per risanare gli animi feriti. Le immagini possono mandare dei messaggi. Allora- ha proseguito Sharifi in perfetto inglese- abbiamo invitato le persone a dipingere i muri anti-esplosione di Kabul. Sono alti 8 metri e ci tolgono spazio, rendono brutto il nostro paesaggio, perciò li coloriamo. Pensate che molti di noi non sono mai stati nemmeno in un museo. Attraverso il dipinto di questi muri potevamo dare voce ai cittadini. Noi siamo ‘Lords’, che significa signori, non della guerra ma della bellezza. L’arte è un modo di coltivare il pensiero e di spingere le persone a esprimersi’ ha concluso, per poi rispondere alle domande degli studenti e delle studentesse.

‘Voi prendete la vostra vita sicura come un dato di fatto, io invece quando esco da casa non sono certo di tornare vivo. Mia madre vorrebbe che io me ne andassi da Kabul. Certi giorni vorrei solo fuggire ma poi mi sento in debito col mio paese. Se non lo faccio io chi lo fa? Per me c’è un forte senso di responsabilità. Devo fare la mia parte, anche se rischio di morire. Dobbiamo fare di tutto per porre fine alla guerra. Quanto all’arte, io penso che l’arte non ha confini, è un linguaggio universale per trovare soluzioni’.

In conclusione ha tutti a chiesto di cambiare la percezione dell’Afghanistan: ‘il paese è sempre raccontato in maniera negativa. Non c’è solo violenza, non ci sono solo mariti che uccidono le moglie. C’è anche arte, cultura. Voglio che capiate la mia gente e che capiate il nostro dolore per esseri stati abbandonati, prima dai sovietici poi dagli americani. Io oggi ho speranza. Abbiamo fatto tanti sacrifici e ottenuto tanto. I nostri media sono i più liberi nella regione, abbiamo un’ottima costituzione. Ora serve porre fine alla guerra’. Sono più di 1000 i murales realizzati dal collettivo in tutto paese, anche da artisti internazionali che il gruppo ha invitato a Kabul.

Cristina Cattaneo è l’ospite a cui è stato assegnato il principio di ‘coltivare la memoria’. La Cattaneo è il medico legale che ha preso l’impegno di dare una identità a tutte le vittime morte nel Mediterraneo: ‘i morti si identificano per pietà ma anche per i diritti di chi è vivo, i cari del defunto. Ignorare se un caro sia vivo o morto può avere cause sanitarie gravi, depressione, follia. Siamo di fronte al disastro di massa più grosso del nostro tempo ma più della metà delle persone che muoiono non hanno una identità certificata. Non possiamo non vedere’, ha detto la dottoressa che poi ha spiegato agli studenti come funzionano l’esame autoptico e le indagini utili al riconoscimento del cadavere. ‘Abbiamo vissuto con il leit motiv del ‘tanto chi li cerca questi’ oppure ‘in quei paesi non avranno l’anagrafe’. È stato difficile ma alla fine abbiamo creato un modello, facendo interviste con le famiglie. Al primo nostro appello dopo la strage del 3 ottobre hanno risposto venendo a Milano più di 80 famiglie. Oggi sia in Europa che nei paesi di origine è possibile fare richieste e aprire dossier per identificare i morti’.

Pagelle, fagottini di terra del proprio paese, documenti cuciti addosso alle persone ritrovate in mare, ha proseguito la Cattaneo per questo ‘vogliamo dare un nome alle persone per restituire la loro umanità. Noi medici dobbiamo tutelare la vita contro la disumanizzazione. Nostro è il compito di dimostrare la sofferenza delle persone che accogliamo, attraverso la lettura dei loro corpi. Identificare i morti è un diritto, continuare a parlare di come sono morti è un dovere’ ha concluso, stimolando i ragazzi a non dimenticare e a non voltarsi dall’altra parte.

Informarsi è quello che, dati alla mano, cerca di fare Matteo Villa, responsabile del programma migrazioni dell’istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI). ‘Oggi in mare ci sono due ong, duecento persone che non possono sbarcare. I riflettori sul mediterraneo centrale sono quasi spenti’ ha denunciato Villa prima di sfatare alcuni falsi miti: ‘noi italiani siamo più nel mondo degli africani che lasciano il loro paese. Moltissimi di quelli che arrivano in Italia non restano qui, da noi resta lo 0,5% delle persone emigranti. E negli ultimi mesi sono passate da qui solo 4000 persone, un numero in netto calo. È difficile smontare una fake news ma la verità è a due click da noi, doppio click e approfondiamo. Verificate sempre, voi siete i migliori fact checker se lo desiderate’ ha ammonito in modo ironico rivolgendosi agli studenti.

‘Ci sono moltissimi conflitti in corso nel mondo da almeno 15 anni. Se ne parla però molto poco. Questa è una responsabilità dei media che vogliono cercare sempre storie nuove’ ha proseguito citando l’esempio del conflitto drammatico in Yemen. ‘Il nostro decreto flussi impedisce alle persone di entrare legalmente nel nostro paese, perciò chi ha bisogno di partire deve farlo illegalmente- ha spiegato Villa rispondendo alle domande- Un’altra fake news che gira è che in Italia si diano già molte cittadinanze. La verità è che siamo in ritardo di anni nel conferimento a chi è nato qui perché le nostre procedure sono molto lente’.

Si chiama ‘affermare l’uguaglianza’ l’ultimo principio attivo di ‘Emergency’ contro la guerra. A raccontarlo Gino Strada, alla luce delle oltre 10 milioni di persone alle quali in 25 anni di attività l’organizzazione da lui fondata ha fornito cure medico-chirurgiche in zone di conflitto. ‘Uguaglianza è una parola difficile da spiegare e capire anche se sembrerebbe tanto intuitiva- ha raccontato Gino Strada in collegamento video- Non vuol dire essere fotocopie o cloni, è una cosa che sta sopra a tutto questo. Questa parola viene ripresa spesso e in tutte le dichiarazioni universali. Se non si ha la percezione che gli essere umani sono uguali al di là delle loro differenze si finisce inevitabilmente per considerare qualcuno al di sopra o al di sotto. È allora che iniziano a vacillare i concetti di legge e giustizia fino alla teorizzazione del razzismo come opposto dell’uguaglianza- ha proseguito- Se l’altro è diverso da noi non c’è più una famiglia umana. Lo sforzo di praticare l’uguaglianza è alla base di ogni pratica di pace. Noi lo abbiamo sperimentato nel nostro lavoro di cura dei pazienti. La cura è un diritto da applicare a tutti, così emerge l’utopia dell’uguaglianza’.

‘Insistiamo su ciò che ci accomuna, condividiamo con gli altri i nostri diritti- ha aggiunto Strada- L’uguaglianza è il miglior antidoto alla guerra. Se ci riconosciamo come simili non uccideremo il nostro prossimo. È difficile la pratica dell’uguaglianza, richiede un esercizio quotidiano, specie in un mondo dove sempre più si inneggia alla guerra. Perciò non esiste pace senza uguaglianza né libertà. Dovremmo riscoprire l’uguaglianza come fondamento del nostro vivere. Ma non è un decreto che ci verrà comunicato, è una pratica diffusa che richiede necessariamente l’impegno di tutti. Nessuno ce la regalerà, dobbiamo conquistarcela o più semplicemente costruirla’.

2019-10-29T13:13:25+01:00