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Al via Cop25: i temi e le ambizioni della conferenza sul clima a Madrid

Cos'è la COP e di cosa si occupa

​ROMA – “Ci stiamo avvicinando a un punto di non ritorno”. È la constatazione di Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, pronunciata alla vigilia dell’apertura dei lavori della COP25, che si terrà da oggi fino al 13 dicembre a Madrid. Guterres ha esortato i delegati provenienti da 197 Paesi ad adottare misure concrete, al di là dei soliti annunci programmatici: “Ciò che manca ancora è la volontà politica- ha dichiarato il Segretario Generale dell’Onu- La volontà politica di mettere un prezzo sul carbonio, la volontà politica di fermare i sussidi ai combustibili fossili, la volontà politica di smettere di costruire centrali a carbone dal 2020 in poi, la volontà politica di spostare la tassazione dal reddito al carbonio, tassare l’inquinamento anziché le persone”.

Che cos’è la Conferenza sul Clima?

L’acronimo COP sta per ‘Conferenza delle parti’, il summit internazionale che si tiene annualmente a partire dalla stipula della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) nel 1992 a Rio de Janeiro. La convenzione, nota anche come ‘Summit della Terra’ o ‘Accordo di Rio’, è il primo trattato internazionale sul riscaldamento climatico, che punta alla riduzione delle emissioni di gas serra. Il trattato, nella sua versione originaria, aveva un carattere programmatico e non legalmente vincolante per i Paesi firmatari, ma ha istituito appunto le COP con l’obiettivo di adottare atti ulteriori (denominati ‘protocolli’) che avrebbero posto limiti obbligatori di emissioni. L’UNFCCC è entrata in vigore il 21 marzo 1994, con lo scopo di “raggiungere la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico”. La prima COP si è tenuta a Berlino dal 28 marzo al 7 aprile 1995, ma la più conosciuta dei primi anni è sicuramente la COP3, (dicembre 1997 a Kyoto in Giappone), nel corso della quale è stato adottato il tanto celebre quanto disatteso ‘Protocollo di Kyoto’.

La COP25 al via in una complessa situazione internazionale

Ancora prima dell’apertura dei lavori, le vicissitudini della COP25 dimostrano la complessità dell’attuale situazione politica internazionale. Inizialmente si sarebbe dovuta tenere in Brasile, ma l’anno scorso il neoeletto presidente di estrema destra Jair Bolsonaro ha voluto mandare un chiaro segnale politico rifiutandosi di ospitarla. La sede alternativa doveva quindi essere Santiago del Cile, visto che la conferenza è presieduta dal governo cileno, ma i gravi disordini politici che ancora interessano il Paese sudamericano hanno costretto a un trasloco dell’ultimo minuto. Per questo la COP25 si tiene eccezionalmente a Madrid, anche se il governo cileno ne mantiene la presidenza formale. Lo scorso venerdì, in concomitanza col Black Friday, il movimento di protesta internazionale ‘Fridays For Future’ ha indetto il quarto sciopero globale per il clima, proprio per far sentire ai governi la pressione della società civile. Varie manifestazioni sono previste anche a Madrid durante i lavori. La più grande il 6 dicembre, che vedrà anche la partecipazione di Greta Thunberg, iniziatrice del movimento di protesta internazionale contro la crisi climatica.

Lo scenario climatico attuale

Se il contesto geopolitico internazionale è problematico, lo scenario ambientale è catastrofico. Come evidenziato da una serie di report ONU, stiamo facendo peggio del 2015, anno del famoso “Accordo di Parigi” stipulato dalla COP21; invece di diminuire, la concentrazione di CO2 e altri gas serra non fa che aumentare. L’ultimo report dell’UNEP (link a https://www.unenvironment.org/interactive/emissions-gap-report/2019/ ), l’Agenzia ONU per l’Ambiente, che risale a meno di una settimana fa, ha fatto il punto sull’ ‘Emission Gap’, il dislivello fra gli obiettivi ideali e le emissioni reali di gas serra. Lo studio ha certificato che “non si può neanche aspettare la fine del 2020” perché, mantenendo gli insufficienti sforzi attuali, otterremo un aumento medio delle temperature globali di 3,2°C entro fine secolo, ben oltre l’obiettivo di mantenerlo al di sotto dei 2°C e puntando al grado e mezzo, come stipulato dall’Accordo di Parigi. Un obiettivo lontano, quindi, dalla realtà attuale e considerato comunque troppo blando: “Bisogna eliminare il divario di impegno fra ciò che diciamo che faremo e ciò che va fatto per prevenire livelli pericolosi di cambiamento climatico” sono le conclusioni dello studio. Secondo gli esperti, qualsiasi frazione di riscaldamento superiore a 1,5°C rispetto all’era pre-industriale, che già di per sé avrà un grave impatto sull’ambiente, sarà fonte di sconvolgimenti ancora più catastrofici e drammatici. Per restare entro la soglia del grado e mezzo, avvisa l’UNEP, bisognerebbe ridurre le emissioni del 7,6% l’anno entro il 2030. “Oggi, anche i più ambiziosi piani nazionali per l’azione climatica sono molto al di sotto di questo obiettivo”. Una sfida inderogabile quindi, ma già oggi titanica dato lo scenario politico globale, con alcuni fra gli Stati più inquinanti guidati da governi negazionisti o climatoscettici, come il Brasile di Bolsonaro, l’India di Modi, la Russia di Putin, fino agli Stati Uniti di Trump, che proprio lo scorso 4 novembre ha ratificato formalmente alle Nazioni Unite l’uscita dall’Accordo di Parigi da parte degli Stati Uniti.

Quali sono i temi sul tavolo?

La parola d’ordine fissata dal Segretario Generale Guterres è “ambizione, ambizione, ambizione”, per ribadire che gli impegni di ogni Paese dovranno essere molto più coraggiosi di quelli fissati dalla COP21 di Parigi. Lo scenario è desolante, se si tiene conto del fatto che nel contesto europeo, ad esempio, soli tre Stati su 28 hanno raggiunto questo obiettivo di per sé insufficiente: Svizzera, Norvegia e Ucraina. Si cercherà quindi di fissare dei paletti più stringenti ed efficaci, per andare nella direzione di una drastica riduzione delle emissioni e raggiungere l’obiettivo delle emissioni zero entro il 2050, la cosiddetta “neutralità climatica”. Obiettivo che ad oggi, ricorda l’UNEP, è condiviso da soli cinque Paesi del G20, che nel loro insieme sono responsabili del 78% delle emissioni totali di gas serra.

Alla COP25 il tema di negoziazione più spinoso riguarderà i ‘Mercati del carbonio’, regolati dall’articolo 6 dell’Accordo di Parigi, che prevede la possibilità per chi inquina di comprare ‘crediti’ da imprese ecologicamente virtuose, potendo così continuare ad emettere gas nocivi. Questo meccanismo di ‘greenwashing’, infatti, si sta rivelando controproducente ed ingiusto soprattutto per i Paesi più vulnerabili. Si punterà a regolare in modo più stringente il meccanismo di compensazione e gli scambi di ‘crediti’ fra Paesi diversi, possibilità che oggi è deregolamentata.

Un altro tavolo di trattativa importante è quello degli aiuti economici per far fronte alle ‘Perdite e Danni’ (‘Loss and Damage’) causate dei disastri climatici, nonché il potenziamento del ‘Green Climate Fund’, il fondo istituito per assistere i Paesi in via di sviluppo nelle pratiche di adattamento e contrasto dei cambiamenti climatici. Questi ultimi si batteranno per intensificare il finanziamento e rendere più agevoli gli aiuti economici, considerando che il deterioramento delle condizioni climatiche, dovuto soprattutto ai sistemi produttivi dei Paesi ricchi, causa le conseguenze peggiori in quelli più poveri, che sono molto meno responsabili delle emissioni.

2019-12-03T10:24:59+01:00