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Didattica a distanza, viaggio nella scuola a due velocità

Il racconto di Anna Maria Giusti, dirigente degli istituti 'Pomilio' e 'Savoia' di Chieti

ROMA – L’emergenza sanitaria in corso e la rivoluzione didattica che ha interessato le scuole di tutta Italia, non ha svelato nulla di nuovo nel sistema educativo del nostro Paese: gli istituti all’avanguardia non si sono fatti trovare impreparati, quelli che avevano problemi, ne hanno avuti anche in questa situazione. Di conseguenza i ragazzi motivati, iscritti a corsi di studi come licei o istituti tecnici, stanno continuando a studiare; quelli che avevano problemi di stimoli, iscritti a corsi professionali, provenienti da famiglie in difficoltà, stanno vivendo una realtà diversa.

È quanto emerge dal racconto della dirigente scolastica Anna Maria Giusti, che gestisce due scuole molto diverse tra loro: l’istituto tecnico industriale ‘Luigi Savoia’ e l’istituto ‘Umberto Pomilio’, a Chieti. Il primo, un istituto con cinque indirizzi tecnologici (informatica, chimica, elettronica, meccanica, trasporti e logistica) e un liceo delle scienze applicate, era avvezzo alla didattica e-learning ben prima dell’emergenza. Gli studenti (più di 1600) e i loro docenti, avevano già degli account con password di accesso alle classi virtuali, e anche se

“non tutti i docenti si erano aperti a queste possibilità, una percentuale consistente già utilizzava questa tecnologia in maniera stabile, come strumento di integrazione per le lezioni in presenza- raccontano i professori Massimiliano Ciancio e Domenico Caruso, docenti rispettivamente di matematica e informatica- un nostro collega aveva già realizzato gli anni precedenti un intero corso di matematica online, e lavorava con la classe capovolta: i ragazzi studiavano le lezioni a casa, e in classe facevano le esercitazioni con l’insegnante”.

Non stupisce, quindi, che subito dopo l’annuncio della chiusura delle scuole, l’istituto abbia potenziato gli strumenti che già aveva e invitato alla partecipazione i pochi docenti ancora scettici. Ben diversa, invece, è stata la situazione all’istituto ‘Pomilio’, circa 400 studenti divisi nei corsi di Mat (Manutenzione e assistenza tecnica), moda e socio-sanitario.

“Qui l’organizzazione è stata più lenta- racconta all’Agenzia di stampa Dire Anna Maria Giusti- avevamo già situazioni sociali abbastanza complesse anche da un punto di vista familiare. E i ragazzi spesso già a 16 anni vogliono abbandonare la scuola per andare a lavorare, quindi abbiamo fatto più fatica a motivarli, e all’inizio in tanti non seguivano le lezioni online. Adesso però, con il perdurare della situazione, vedo che stanno cambiando atteggiamento”.

Dove docenti e famiglie erano preparati ad usare la tecnologia come supporto alla didattica, i problemi sono stati risolti in poco tempo grazie al dialogo tra i professori e la collaborazione con gli stessi studenti. Dove invece mancava questa base, c’è voluto più tempo per costruirla.

“Da parte dei docenti ho visto un grande spirito di volontà, anche da parte di chi non aveva competenze informatiche ma si è cimentato a partire dal registro elettronico- spiega Luca Di Nunzio, professore di diritto ed economia- il problema è che in alcune classi o famiglie ci sono mancanze legate agli strumenti o alla motivazione dei ragazzi. I giovani di oggi non hanno un pc o non sanno usarlo con la stessa dimestichezza dello smartphone, e anche quando ci sono i cellulari, a volte manca una connessione wi-fi o i giga a disposizione”.

Mancanze strumentali, quindi, ma non solo, perché ad essere carenti a volte sono soprattutto gli stimoli da parte di ragazzi che già prima si lasciavano andare. Così le lezioni virtuali del ‘Pomilio’ sono frequentate dal 50-60% degli alunni, contro il 96% degli studenti del ‘Savoia’. È anche per questo che entrambi gli istituti hanno aderito ai programmi di assistenza psicologica organizzati dall’IdO (Istituto di Ortofonologia) e forniti dalla Task Force per l’emergenza educativa del ministero dell’Istruzione.

“Famiglie e studenti ci chiedono aiuto- commenta la dirigente scolastica, abituata a lavorare in emergenza sin dal terremoto che nel 2009 colpì l’Abruzzo- i genitori sono molto spaesati, mentre i ragazzi non sanno cosa fare. Gli mancano gli amici, la socialità, i primi amori: la scuola è l’ambiente dell’incontro, la scuola è tutto per loro. E il venir meno di quella dimensione li destabilizza. Il supporto tecnologico non può sostituire l’incontro, lo scontro, ed è questa la dimensione sociale grazie alla quale, proprio in questi anni, avviene la costruzione del sé”.

Ma c’è chi spera che proprio in situazioni di emergenza come questa, emerga il meglio dei ragazzi e delle ragazze.

“La didattica a distanza può anche diventare lo strumento attraverso il quale ragazzi demotivati possono riscoprire la scuola, i suoi valori e i suoi stimoli- conclude il professor Luca Di Nunzio– lo spero perché anche senza accorgersene, in questa emergenza i ragazzi stanno facendo molto”.

Ed è la stessa dirigente scolastica a sperare che le cose cambino con il tempo:

“adesso gli studenti hanno capito che non si tratta più di una situazione passeggera, e devono impegnarsi- aggiunge Anna Maria Giusti- la consapevolezza che questa fase durerà ancora ha portato a una maggiore applicazione, anche da parte di quegli studenti che vengono da nuclei con più in difficoltà”.

2020-03-30T17:52:14+02:00