hamburger menu

Per non dimenticare il Grande Torino

La squadra di calcio che risollevò l’Italia intera e poi precipitò

ROMA – Erano gli anni quaranta e in Italia c’era una squadra di ‘invincibili’ chiamata il Grande Torino. Era una squadra di calcio amatissima, che sapeva solo vincere, fatta di quei campioni di una volta: giovani che giocavano non solo con umiltà ma anche con coraggio, altruismo e fantasia. Avevano conquistato il cuore di tutti gli italiani, non solo i torinesi, anche perché a un certo punto, nel 1947, nove giocatori giocatori su undici della nazionale allora guidata da Vittorio Pozzo, provenivano dal ‘Torino che tremare il mondo fa’. Non è mai più successo nella storia degli azzurri.

La loro leggenda iniziò nella stagione 1942-43 quando gli ultimi due acquistati, Mazzola e Loik, completarono l’undici da sogno che passò alla storia come una delle formazioni più forti della storia del calcio italiano. La squadra granata, detta così per il colore della divisa, un rosso scuro, assai vicino al bordeaux, che ricorda gli arilli della melagrana o granata (il cui nome significa mela piena di grani), realizzò per la prima volta il cosiddetto double: la vittoria sia del campionato che della Coppa Italia. In un ciclo sportivo di otto anni, oltre alla Coppa, il Grande Torino fu pluricampione d’Italia conquistando cinque scudetti consecutivi.

Erano anni in cui l’Italia, dopo essere stata per mesi spezzata in due dalla linea gotica, uscì sconfitta e umiliata da una guerra che l’aveva devastata, sia economicamente che moralmente. Come spesso succede, anche in quegli anni il calcio ebbe un ruolo fondamentale per ricostruire una solidarietà e un’unione tra i cittadini fatta di speranza, orgoglio e fiducia. Quei ragazzi, quei campioni che sbaragliavano gli avversari in ogni competizione, entusiasmavano generazioni di tifosi italiani, di ogni provenienza.

Poi il 4 maggio del 1949, all’apice del loro successo, durante il rientro da un’amichevole con il Benfica giocata davanti a 40.000 persone allo Stadio Nazionale di Lisbona, l’aereo su cui viaggiavano si schiantò. Non sopravvisse nessuno.  Contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga, che sorge sull’omonima collina torinese, persero la vita 31 persone, a causa di un errore del pilota, delle cattive condizioni meteorologiche e di un presunto guasto tecnico.

Quell’evento improvviso, noto come ‘la tragedia di Superga’, spezzò il cuore e lasciò senza fiato tutta Italia. I funerali degli ‘invincibili che solo la morte poteva fermare’ furono un evento straziante che ancora oggi, a distanza di più di settant’anni, riempie di lacrime gli occhi di molti. Oltre mezzo milione di persone si riversarono per le strade di Torino a salutare per l’ultima volta i calciatori. La camera ardente si tenne a Palazzo Madama, ex residenza reale che si trova nella centralissima piazza Castello alla presenza, tra gli altri, anche di Giulio Andreotti in rappresentanza del Governo e Ottorino Barassi, presidente della FIGC, che fece l’appello della squadra come dovesse scendere in campo. Il giornalista Vittorio Veltroni, l’allora redattore capo cronache della Rai, effettuò la radiocronaca in diretta delle esequie della squadra.

Nella ‘tragedia di Superga’ persero la vita giocatori i Valerio Bacigalupo (25, portiere), Aldo Ballarin (27, difensore), Dino Ballarin (23, portiere), Émile (detto Milo) Bongiorni (28, attaccante), Eusebio Castigliano (28, mediano), Rubens Fadini (21, centrocampista), Guglielmo Gabetto (33, attaccante), Roger (detto Ruggero) Revelli Grava (27, centravanti), Giuseppe Grezar (30, mediano), Ezio Loik (29, mezzala destra), Virgilio Romualdo Maroso (23, terzino sinistro), Danilo Martelli (25, mediano e mezzala), Valentino Mazzola (30, attaccante e centrocampista), Romeo Menti (29, attaccante), Piero (detto Pierino) Operto (22, difensore), Franco Ossola (27, attaccante), Mario Rigamonti (26, difensore) e Július (detto Giulio) Schubert. 

Insieme a loro morirono anche tre dei migliori giornalisti sportivi italiani: Renato Casalbore (fondatore di Tuttosport), Renato Tosatti (Gazzetta del Popolo) e Luigi Cavallero (La Stampa) oltre ai membri dell’equipaggio Pierluigi Meroni, Celeste D’Inca, Celeste Biancardi e Antonio Pangrazi. Il giornalista Indro Montanelli scrisse, a poche ore dalla tragedia: “Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta”.

2020-05-04T09:44:39+02:00