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Paolo Carli (CNCM): “Cura degli educatori ha ‘sommerso’ il virus”

Una lettera per ringraziare ragazzi e operatori dopo la quarantena

ROMA – “La notte è scesa sui ragazzi e le ragazze delle nostre comunità ma la loro resilienza alle avversità è emersa con una forza enorme e si è compattata alla strada tracciata degli educatori che in ogni parte d’Italia hanno dato cura, attenzione, passione e professionalità tanto da sommergere tutto, anche il virus stesso”. Una lettera per ringraziare “tutte le creature abitanti le nostre case” degli enormi sforzi compiuti durante l’emergenza sanitaria è quella scritta da Paolo Carli, vicepresidente del Coordinamento Nazionale Comunità Minori (CNCM).

“Voglio dirvi grazie per tutto questo e non solo; voglio dirvi grazie anche per le fatiche che fate, che comunicate o tacete, che sostenete in tempi e modi diversi; voglio dirvi grazie anche per chi non vede, per chi non sa che cosa fate in queste case che pure sono rumorose e aperte, come le finestre d’estate- continua Carli che poi, recuperando don Lorenzo Milani chiosa- Se la Polis si mettesse a ricucire ‘le strade e i vicoli dell’individualità’ con la piazza del fare, allora sì che si creerebbe una vera, grande comunità che educa. Ogni cittadino dovrebbe essere un ‘garante’ per l’infanzia dei nostri ragazzi; ogni cittadino dovrebbe avere a cuore, “i care”, l’educazione dei nostri bambini”.

“Ricucire” è nella lettera di Carli ai suoi operatori una parola importante, una parola che esprime il senso profondo di essere e fare l’educatore: “Ricucire è un verbo che abita il linguaggio della comunità; ricucire è un’azione che vive nel nostro fare quotidiano; ricucire è spesso tra gli obiettivi del nostro lavoro perché in comunità, ricuciamo storie personali, ricuciamo relazioni, ricuciamo la mancanza col desiderio e le paure con i sogni; quotidianamente prendiamo il nostro ‘ago e filo’ e iniziamo a ricucire, strappi, lacerazioni, distanze; ricuciamo la speranza alla fiducia nell’altro, ricuciamo il bambino ferito all’adulto positivo, accogliente, responsabile; ricuciamo il legame affettivo con la condivisione, la condivisione con la voglia di riscatto”.

Azioni che, secondo Carli, anche in questo periodo di quarantena “in cui ogni giorno abbiamo avuto un frullato di emozioni e stati d’animo incessante”, sono state compiute, e “la prova è la risposta dei nostri ragazzi, proprio loro che con la privazione, la paura e la sofferenza hanno fatto i conti da subito nella vita. E pazienza se alle volte, quando sei entrato in casa, non hai rispettato la distanza perché non puoi schivare l’abbraccio di Franco e Matteo, o se mentre giocavi sul divano con Sara e Nino non hai messo i guanti e la notte quando Stela ha bussato alla tua porta per raccontarti che vuole trasformare il suo specchio in un desiderio ha versato lacrime sul tuo braccio come fossero parole e tu hai dimenticato la mascherina. Non importa. Nessun DPI (Dispositivo di Protezione Individuale), sarà mai ‘a misura’, per fare educazione”.

 

Di seguito la lettera integrale:

“RICUCIRE IN QUARANTENA SI PUÒ (?)”

Ricucire è un verbo che abita il linguaggio della comunità.
Ricucire è un verbo fondamentale del nostro essere educatori, del nostro fare educazione.
Ricucire è un agito, un azione che vive nel fare quotidiano di comunità. Ricucire è spesso tra gli obiettivi del lavoro di comunità. Perché in comunità ricuciamo storie personali, ricuciamo relazioni, ricuciamo la mancanza al desiderio e le paure ai sogni;
Quotidianamente prendiamo il nostro “ago e filo” e iniziamo a ricucire strappi, lacerazioni, distanze.
Ricuciamo la speranza alla fiducia nell’altro, ricuciamo il bambino ferito all’adulto positivo, accogliente, responsabile.
Ricuciamo il legame affettivo alla condivisione, la condivisione alla voglia di riscatto. Tutto questo e molto altro fanno un educatore e il gruppo di educatori che operano nelle comunità di accoglienza.
La domanda che ci dobbiamo porre in questo tempo in cui è “scesa la notte” è “cosa hanno fatto gli educatori con i ragazzi, i bambini e le madri che vivono dentro le nostre comunità, al tempo del corona virus”? E’ stato possibile educare e/o ricucire? E i nostri cari “ospiti” come hanno reagito alla “notte”?

È forse opportuno ricordare che nella nostra esperienza di fare comunità noi ci poniamo l’obiettivo di essere struttura che integra o sostituisce temporaneamente la casa e la famiglia, offrendo ai nostri cari uno spazio di vita in cui vivere il presente, elaborando il passato per costruire un progetto futuro; attraverso il nostro setting fatto di vari “linguaggi” organizzativi e relazionali, di rituali e regole cerchiamo di
rimettere al “centro” ciò che era periferico, che viveva sul confine, accogliendo, educando, accompagnando storie “al limite”.

Questo percorso lo svolgiamo utilizzando lo “Strumento Relazione” e il nostro “ESSERE E SAPER FARE GRUPPO”; lo svolgiamo in una dimensione che agisce contemporaneamente sul piano reale e quello simbolico, per un integrazione tra cognitivo, affettivo e terapeutico che diventa spesso “ESPERIENZA TRASFORMATIVA EVOLUTIVA” per i nostri cari. Ogni Educatore SA che per fare tutto questo deve mettere in gioco la propria “linea vitale” TESTA-CUORE-VISCERE che quotidianamente viene sollecitata, toccata, strapazzata. Ogni Educatore SA … che non si educa senza “compromettersi”. Ogni Educatore SA … che per educare ci vuole CORAGGIO, perché non si può educare con la paura, “se hai paura ti siedi e aspetti”. Ogni Educatore SA… che deve saper indossare molti abiti, che deve saper “mettere, colmare un bisogno, un vuoto e dall’altro far emergere dalla mancanza la capacità di colmarlo da soli” e che per fare tutto questo è fondamentale il proprio desiderio.

… ago e filo… ricucire… mani che si muovono veloci, decise, ferme e con tenerezza…

Eppure in questi mesi, quando “è scesa la notte”, quando ansia e preoccupazione hanno contagiato il nostro vivere, quando tutti siamo entrati in una “bolla” sia a livello personale che professionale, il lavoro svolto è stato straordinario ed è difficile da descrivere in poche parole. Ho avuto il privilegio di vedere, di osservare e ascoltare; ho avuto il privilegio di supportare, partecipare e confrontarmi con colleghi ed amici che, in ogni parte d’Italia, hanno dato cura, attenzione, passione, professionalità e così hanno sommerso tutto, anche il virus stesso. In poche ore c’è stata una rivoluzione del quotidiano in cui tutto inizialmente si è bloccato, anzi paralizzato, e poco dopo invece tutto si è ribaltato! In modo imperativo ci è stato detto che la scuola si fa da casa, le attività sportive si fanno in casa, il gioco si fa a casa, i sogni restano in casa e perfino la libertà la raggiungiamo, se stiamo a casa!

È sembrato tutto un paradosso o un brutto sogno eppure sappiamo che non lo è stato. Gli educatori hanno saputo contenere e indirizzare questa rivoluzione, attraverso la parola, attraverso una rilettura della realtà senza nascondere la verità; hanno utilizzato la creatività, la fantasia, la pazienza, la tolleranza, la frustrazione, in un tempo in cui ogni giorno abbiamo avuto un frullato di emozioni e stati d’animo incessante. Le risposte che hanno dato le creature abitanti le nostre case ne sono state la prova, proprio loro che con la privazione, la paura e la sofferenza hanno fatto i conti da
subito nella vita: la loro resilienza alle avversità è emersa con una forza enorme e si è così compattata alla strada tracciata degli educatori.

… ago e filo tra le dita… avete ricucito debolezza e forza, rabbia e tristezza, paura e speranza.

E pazienza se alle volte quando sei entrato in casa non hai rispettato la distanza, perché non puoi schivare l’abbraccio di Franco e Matteo, se mentre giocavi sul divano con Nino e Sara non hai messo i guanti e la notte quando Stela ha bussato alla tua porta per raccontarti che vuole trasformare il suo specchio in un desiderio, ha versato lacrime sul tuo braccio come fossero parole e tu hai dimenticato la mascherina. Non importa, credimi. Nessun DPI (Dispositivo di Protezione Individuale) sarà mai “a misura” per fare Educazione.

… ago e filo ricucire … dal bosco alla radura, per un nuovo tempo di possibilità, condizionato ma non determinato.

Voglio dirvi grazie per tutto questo e non solo; voglio dirvi grazie anche per le fatiche che avete fatto e che fate, che comunicate o tacete, che sostenete in tempi e modi diversi; voglio dirvi grazie perché mentre il nostro paese contava le vittime e cantava sui balconi terrorizzato dalla clausura, ogni mattina siete usciti di casa seguendo la vostra “ chiamata delirante”, scommettendo che anche in questo tempo si potesse Educare, che anche in questo tempo si dovesse “Ricucire ed Educare”. Voglio dirvi grazie anche per chi non vede, per chi non sa che cosa fate nelle “nostre case” che pure sono rumorose e aperte, come le finestre d’estate.

Ho sempre pensato che una comunità che accoglie, accompagna, che aiuta a crescere avrebbe molto più senso in UNA CITTÀ CHE SI PRENDE CURA, se è la Polis che diventa comunità. Se la Polis si mettesse a Ricucire “le strade e i vicoli dell’;individualità”, con la piazza del fare che ha desiderio di appartenenza e cittadinanza, allora sì che si creerebbe una vera, grande comunità che Educa. Ogni cittadino dovrebbe essere un GARANTE per l’infanzia dei nostri ragazzi; ogni cittadino dovrebbe avere a cuore, “I care”, l’educazione dei nostri bambini.

(ogni riferimento a Don Lorenzo Milani, Paulo Freire, Danilo Dolci, Riccardo Massa, Pietro Lucisano, Françoise Doltò, Franco Fornari e Massimo Recalcati non è casuale).

2020-06-09T11:50:05+02:00