
ROMA – La quarta puntata del nostro approfondimento sulle fake news in collaborazione con il noto debunker Paolo Attivissimo si concentra sul lato economico delle notizie false, ossia di come la produzione di bufale sia diventata un’industria.
“Una delle cose che molti non conoscono è che oggi le fake news sono diventata un’industria- ci ha spiegato Attivissimo– Non tanto un’industria nel senso tradizionale del termine cioè aziende che fanno cattiva informazione o dei grandi Governi che fanno propaganda; queste sono le fake news del passato. Oggi esiste la possibilità tecnologica di fare l’artigianato delle fake news, vale a dire nascono in molti Paesi delle piccole organizzazioni, spesso è un singolo utente che capisce come funziona questo meccanismo si organizza e con le semplice risorse informatiche che abbiamo tutti a disposizione quindi un computer, un accesso Internet e un po’ di savoir faire nella ricerca degli argomenti giusti e dei canali pubblicitari da sfruttare riesce a monetizzare le fake news”.
Un esempio classico “è Veles- ha specificato– una cittadina nella Macedonia del nord che è diventato il polo industriale delle fake news intorno al 2016 perché si è capito che lì gli stipendi erano bassi, la connessione Internet era buona ed era possibile grandissime cifre in poco tempo con delle notizie che facevano presa sul pubblico europeo e statunitense. Tanti click portano visualizzazioni pubblicitarie e tante visualizzazioni pubblicitarie portano a grandi incassi quindi migliaia di euro per singolo utente che inventava queste notizie false. Con il collega David Puente abbiamo fatto la stessa osservazione anche per il fenomeno italiano, abbiamo visto che c’erano numerosi siti apparentemente italofoni scritti in lingua italiana che separatamente raccontavano più o meno le stesse notizie inventate, non corrispondente alla realtà, virgolettati attribuiti a politici con frasi piuttosto irritanti”.
Stesso meccanismo, stessi obiettivi “l’obiettivo di questi siti, apparentemente separati, era quello di ottenere tanti click- ha sottolineato Attivissimo- ma in realtà non erano siti separati, ma interconnessi e tutti gestiti dallo stesso editore, un imprenditore italiano che si era trasferito in Bulgaria e che aveva fiutato l’affare delle fake news e quindi acquistando nomi di dominio che erano molto simili come nomi a quelli delle testate giornalistiche vere (Il Giomale al posto de Il Giornale o Il Fatto Quotidaino al posto del Fatto Quotidiano) contando sul fatto che noi siamo tutti di fretta e che quindi raramente ci fermiamo a guardare in alto la barretta dove c’è l’indirizzo vero e verificare l’ortografia del nome finendo sui siti di questo genere avremmo ricevuto queste pubblicità associate alle notizie false. È un’industria e se non ci rendiamo conto che oggi è così dannatamente facile monetizzare notizie false non ne usciremo più, ci sono troppe persone che sono ancora convinte che oggi internet sia il luogo dove non ci sono influenze, non ci sono controlli, siamo tutti liberi di parlare schiettamente. Non è assolutamente così anche su internet e soprattutto nei social network c’è una vera e propria industrializzazione della comunicazione”, basti pensare “all’acquisto e alla compravendita dei like. Io stesso recentemente per un esperimento ho acquistato dei like per promuovere una notizia che in realtà non era vera, è bastato investire circa 50 euro per ottenere visibilità di quella notizia su un social network. La notizia poi è arrivata proprio in virtù di questa promozione agli occhi di una persona che voleva credere a quella notizia e da lì è esplosa nei media. È un esperimento che abbiamo fatto con molta cautela su un argomento molto blando, ma nonostante tutte queste precauzioni è bastato pochissimo per ottenere una una reazione emotiva molto forte e quindi far arrivare anche i media tradizionali”.
Questo messaggio “è finito su ‘La Stampa’ e a quel punto le persone che lo leggono sul giornale fanno un ragionamento del tipo: è sul giornale deve essere vero e il gioco funziona così; dobbiamo stare estremamente attenti. Tutti, noi giornalisti, chi fa parte del pubblico, chi studia il fenomeno delle fake news, anche perché in realtà siamo tutti intercambiabili, io sono giornalista e sono anche un lettore di giornali e guardo i telegiornali e molto spesso mi ritrovo a domandarmi se i colleghi mi stanno riportando le cose correttamente o meno”.