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Droghe leggere e droghe pesanti. Esiste una differenza?

Silvio Garattini e Luigi Gallimberti hanno risposto ad alcune domane per capire insieme se esiste una differenza

Silvio Garattini, ricercatore scientifico e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche ‘Mario Negri’ e Luigi Gallimberti, psichiatra, direttore del Servizio di tossicologia clinica delle farmacodipendenze del Sert dell’Azienda Ospedaliera e docente dell’Università di Padova hanno risposto ad alcune domane per capire insieme se esiste una differenza tra le droghe leggere e quelle pesanti.

“Le droghe hanno un loro effetto che è diverso le une dalle altre- ci risponde Garattini- quindi dire leggera o pesante non ha significato perché per esempio la cannabis, che viene considerata una droga leggera, può dare degli effetti molto pesanti perché ci sono studi che indicano come chi ha assunto cannabis in epoca diciamo adolescenziale dopo anche magari 15 anni ha molto più malattie di tipo psichiatrico”.

In questo senso sottolinea come ” l’apertura di cannabis shops non è stata certamente una buona idea da parte del Governo e soprattutto ha creato una falsa impressione che se la cannabis si può mettere in tutti i prodotti alimentari vuol dire che fa bene, è un brutto messaggio che abbiamo lanciato ai giovani”.

Anche perché quella fascia d’età è particolarmente sensibile visto che è il periodo in cui il cervello, per usare un termine non scientifico, è in crescita. Il cervello di un adolescente è in continua evoluzione perché riceve tutta una serie di messaggi, di informazioni, di stimoli da parte dell’esterno che lo aiutano a formarsi con tutte le sue connessioni, quindi inserire sostanze chimiche certamente rappresenta un turbamento di questo processo e decisamente non è utile allo sviluppo”.

Un rischio che corrono anche gli adulti “perché abbiamo dei recettori cioè delle proteine a cui si legano i principi attivi della cannabis e questo fa sì che anche nell’adulto avvengano degli effetti. Naturalmente questa è anche la ragione per cui si sta cercando di utilizzare alcuni dei principi attivi come farmaci, perché ci possono essere delle situazioni in cui l’assunzione del principio attivo, non naturalmente di tutto il complesso, può dare dei risultati. Ci sono degli studi sull’attività antidolorifica che però non hanno niente a che fare con il problema dell’utilizzo a scopo ricreativo, si tende a fare un po’ di confusione perché così si dà l’idea che possa far bene, ma insomma in realtà sono piani molto diversi e anche questi principi attivi a livello medico sono ancora molto in discussione perché le prove sono ancora insufficienti. Mancano degli studi comparativi per esempio nel campo del dolore con i farmaci classici antidolorifici”.

Al dottor Gallimberti abbiamo chiesto invece se sono utili le politiche proibizionistiche.
“Nelle varie sostanze- ha spiegato Garattini – che possono andare dal bicchier di vino alla cocaina rintraccia una certa capacità di produrre una dipendenza più o meno feroce. Con la riga di cocaina il rischio è molto alto con il bicchiere di vino è molto basso. Per capire l’entità del rischio è utile riferirci agli animali da laboratorio. Indurre una dipendenza in questi animali è molto semplice per sostanze come cocaina ed eroina, molto complessa per sostanze come il thc, alcol o alcuni farmaci come gli ansiolitici. Per evitare pandemie da abuso e dipendenze da sostanze è evidente che quelle ad alta potenzialità di indurre dipendenza vanno “proibite”, le altre potranno essere oggetto di regolamentazioni, più o meno rigide, a seconda della sostanza in questione”.

2021-03-18T12:33:12+01:00