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Una docente: “Amavo il mio lavoro ma la Dad non è scuola”

Pubblicata su Facebook la lettera di un'insegnante

19 Marzo 2021

BOLOGNA – “Marzo 2021. Scuola, Italia – Corridoi e aule vuote. Docenti che parlano a dei monitor. Monitor da cui provengono, a volte, delle voci. Video che vanno. Appelli che si fanno, registri che vengono compilati. Voti che vengono dati. Telecamere accese e più spesso spente”.

È l’incipit di una lettera scritta da una docente bolognese e pubblicata sulla pagina Facebook del coordinamento bolognese di ‘Priorità alla Scuola’.

“Ma i volti dei ragazzi sono talmente pallidi e spenti, loro stessi, che non sai più se è peggio vedere loro o le sigle che li sostituiscono-  scrive la docente nella lettera- AF, E, LB: presenti. L oggi assente. Ci sei anche tu, sullo schermo: ogni giorno più tirata e più vecchia. Eppure era un lavoro che amavi. Ai tuoi studenti vuoi proprio bene. Fra i colleghi, alcuni sono anche amici. Il punto è che non è più il tuo lavoro, i colleghi sono fantasmi vaganti e gli studenti non ci sono più”.

“La Dad non è scuola, è portare avanti una macchina burocratica, coprire un monte ore, dimostrare al mondo esterno che lo stipendio statale è adeguatamente sudato- prosegue la professoressa- La didattica è relazione educativa, scambio, corpi, voci reali. Presenza. Lo affermano i pedagogisti da secoli ma oggi si fa finta di niente, hanno sbagliato tutti, da Socrate in poi. Socrate? Retrograda! Mettiti al passo con i tempi, lo vedi appunto che sei vecchia. Ripeti con me: digitale, meet, gsuite, ambiente virtuale, classroom, drive. Non senti come suonano bene? Che imparano finalmente anche l’inglese. Sì ma non è che io il digitale lo rifiuti, lo usavo anche prima, ma un conto è un supporto, uno strumento in più, che lo usi se e quando ti serve, un conto adesso, che è tutto e il meglio e l’oggi e il domani, e le magnifiche sorti e progressive. Vedi che lo capisci anche tu, l’hai detto adesso, è il futuro! Il progresso, una risorsa che non possiamo sprecare, lo dice anche il ministro”.

“Ma poi, sai cos’è- spiega– c’è che non mi sento molto bene. Non ho più voglia di preparare le lezioni, di insegnare. A metà pomeriggio mi sale una nausea che non ti so dire”. “E poi– aggiunge- non sono solo io, mi pare che stiamo tutti male, anche i ragazzi, i pixel, quando si palesano, non li vedo niente bene. Non seguono, hanno le occhiaie, hanno perso interesse, motivazione. Anche i bravi, sì, no, non solo gli scarsi”.

Nella lunga lettera la docente ricorda poi di quando, prima dell’emergenza sanitaria

“c’erano, degli specialisti, che parlavano di benessere dei bambini e dei ragazzi. Dicevano anche che per lo sviluppo cognitivo il virtuale non era proprio il massimo. Disturbi dell’attenzione, ansia, sonno agitato. Si raccomandavano che il tempo davanti al monitor fosse il minimo indispensabile”.

Ma poi il Covid ha imposto altro:

“è per la salute pubblica, vero, che accade tutto questo? Com’è, com’è che tante cose non mi tornano? Sarà questo che non mi fa dormire. Sarà Socrate, sì. Mi vengono di nuovo le lacrime, una rabbia, non so. Ok, aspetta che recupero il discorso Bianchi. Magari, sì, magari mi sento meglio. No”, conclude.

2021-04-29T17:44:39+02:00