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Il fenomeno delle challenge: la sfida è essere riconosciuti

Il bisogno di emulazione dell’altro non è che un tentativo di affermare se stessi

challenge

Dott.ssa Roberta Boncompagni, psicologa

Assistiamo periodicamente all’emergere di orientamenti estremi in voga tra gli adolescenti, che non si trasformano necessariamente in una tendenza, ma che li mettono temporaneamente alla prova per poi passare di moda in breve tempo, ma con delle conseguenze a volte molto gravi. È il caso delle cosiddette challenge, che consistono in delle vere e proprie sfide condivise attraverso i più popolari social; prestazioni che mettono alla prova il coraggio e la volontà di mettersi in gioco, bombe che esplodono all’improvviso tra le mani di milioni di adolescenti. Si accetta la sfida, si posta il video e la sfida viene lanciata ai prossimi giocatori, in una catena inarrestabile di condivisioni e visualizzazioni. Alcune di queste sfide sono innocue e divertenti, come quella lanciata dalla ASL Association che consisteva nel rovesciarsi in testa un secchio di acqua ghiacciata e che ha portato alla raccolta in tutto il mondo di centinaia di milioni di dollari per la lotta alla SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica). Scopi benefici che sanno far divertire e che raggiungono un pubblico molto vasto grazie al web, ma anche sfide fini a se stesse e molto semplici da realizzare, come i numerosissimi balletti e piccoli sketch che vengono quotidianamente lanciati su Tik Tok.

Le challenge più in voga

Ma le challenge hanno anche un’altra faccia in cui ad emergere non è un fine socialmente utile o la spassionata voglia di divertirsi, ma quella che apparentemente si presenta come pura e inconsapevole ricerca del rischio. È il caso di centinaia di challenge apparse sui social negli ultimi anni, nelle quali si è visto di tutto, come la recentissima Milk Crate Challenge, che negli USA sta mettendo a dura prova il sistema sanitario (già colpito dalla variante Delta) a causa della sua pericolosità: si tratta di scalare mantenendo l’equilibrio una piramide di cassette di latte alta due o tre metri. Quasi nessuno riesce nell’intento e il risultato sono migliaia di video che testimoniano rovinose cadute e in alcuni casi l’intervento dei soccorritori. In Italia alcune challenge pericolose hanno attecchito più di altre, come ad esempio la Eraser Challenge, che consiste nello sfregarsi la pelle tanto forte da farla sanguinare, la Skullbreaker Challenge (la “sfida spaccatesta”), il Balconing, l’Eyeballing, i selfie estremi in bilico sui grattacieli di Milano, la Blackout Challenge che consiste nel privarsi di ossigeno per più tempo possibile e con i mezzi più disparati. Alcune di queste sfide hanno causato diversi problemi ai “giocatori”, problemi che vanno dalla frattura di vertebre, ematomi, commozione cerebrale, fino ad arrivare a lesioni midollari e, nei casi più estremi, alla morte. Si può morire, nel 2021, per una manciata di like.

La necessità del riconoscimento del gruppo

Con questo non vogliamo demonizzare le challenge, che sono cadute nel mirino dello sdegno pubblico come accadde ai videogiochi negli anni ‘70 e ai fumetti negli anni ‘40. Dobbiamo però aprire una riflessione sul fatto che queste sfide non sono frutto solamente dell’incoscienza dei giovani: c’è qualcosa di più, esiste un senso. Esiste la necessità di ottenere un riconoscimento dal gruppo; il bisogno di emulazione dell’altro non è che un tentativo di affermare se stessi seguendo un percorso già tracciato, ma del quale non sono stati evidenziati a sufficienza i pericoli. Sembra che nella società odierna i più giovani abbiano bisogno di riconoscimento ancor più di quanto ne abbiano di amore e protezione. L’imprudenza è caratterizzante durante l’adolescenza, ma se trattati come esseri pensanti, come persone ragionevoli, se messi a conoscenza dei rischi, i ragazzi hanno la capacità di riflettere e di fare un passo indietro. Forse la vera challenge è quella di non lasciarli soli e a giocare stavolta devono essere gli adulti. Dott.ssa Roberta Boncompagni, psicologa

2021-10-12T17:10:46+02:00